Dopo l’ottimo riscontro di pubblico della puntata dedicata alla birra, Report è tornato a occuparsi della nostra bevanda anche domenica 15 giugno dedicandole poco meno di mezz’ora. Piuttosto che affrontare l’argomento a trecentosessanta gradi, come accaduto la settimana scorsa, il servizio si è concentrato su un tema specifico: la birra trappista e le sue differenze con le più generiche birre d’abbazia, che spesso le multinazionali del settore sfruttano muovendosi ai limiti della pubblicità ingannevole. Il risultato anche stavolta è stato positivo: un prodotto ben confezionato, privo di strafalcioni – decisamente meglio rispetto all’occasione precedente – e ricco di suggestioni per lo spettatore medio. Un ottimo lavoro, dunque, caratterizzato tuttavia da una nota piuttosto stonata. Ma su questo aspetto torneremo più avanti.
Bernardo Iovene ha strutturato il servizio alternando le riprese all’interno delle abbazie con una “chiacchierata” con tre esperti italiani. Ancora una volta la selezione degli interlocutori è stata perfetta, poiché a rispondere alle domande di Iovene sono stati chiamati Lorenzo “Kuaska” Dabove, Maurizio Maestrelli e Luigi “Schigi” D’Amelio, riuniti a un tavolo presso l’Hopduvel di Milano. È stato proprio Kuaska a introdurre il tema con un inizio ex abrupto, utile per calare subito lo spettatore nel contesto della birra trappista e distinguerlo dal concetto di birra d’abbazia. Sul tavolo sono state inquadrate diverse bottiglie: autentiche trappiste come Orval, Westmalle, Rochefort e La Trappe, nonché etichette delle multinazionali come Grimbergen e Leffe. Come nella scorsa puntata, i tre esperti sono stati coinvolti nella degustazione di tutte le birre.
La visita a Chimay e Westmalle
Dopo la parte introduttiva, le riprese di Report si sono spostate all’interno dei monasteri di Notre-Dame de Scourmont a Chimay e di Westmalle. Probabilmente è la prima volta che una trasmissione generalista italiana porta lo spettatore all’interno di strutture del genere: si tratta di un’esperienza televisiva molto suggestiva ed estremamente importante in termini di divulgazione birraria. Godibile e interessante anche l’intervista a Padre Damien, abate di Notre-Dame de Scourmont, che in poche parole ha chiarito il rapporto della comunità monastica con la birra. L’intervista si è soffermata in particolare sulla destinazione dei proventi della vendita, tema che spesso attira facili ironie non solo tra i neofiti. Le riprese all’interno di una struttura per l’inclusione lavorativa di ragazzi autistici – una delle realtà destinatarie dei profitti di birra Chimay – sono state particolarmente toccanti, fornendo una risposta concreta a chi si chiede dove finiscano i soldi della birra trappista. È infatti fondamentale ricordare che una birra trappista può definirsi tale solo se non prevede scopo di lucro, oltre a rispettare altre regole.
Affascinanti anche le riprese da Westmalle, dove a fare da portavoce è stato Manu Pauwels, direttore marketing del birrificio. La comunità di Westmalle è infatti più riservata e non ha permesso a Iovene di riprendere le attività dei monaci. Però non è mancato un tour all’impianto di produzione, al caseificio, al panificio e alle stalle del monastero. Gran parte del servizio è proseguito così, in un susseguirsi di approfondimenti sulla birra trappista: l’attenzione maniacale per la schiuma, la cura del lievito originale, il recupero delle antiche ricette, l’invecchiamento di alcune etichette, la storia e l’assaggio delle birre di Chimay e Westmalle. Un viaggio eccezionale, anche in senso letterale, poiché entrare all’interno delle abbazie trappiste non è concesso a tutti, figuriamoci al telespettatore medio di Report – e Iovene è riuscito addirittura a riprendere alcuni secondi di una riunione dell’Associazione Internazionale Trappista! A nostro avviso Report ha restituito perfettamente il senso più ampio di comunità che è alla base dell’esistenza stessa della birra trappista.
L’attacco alle birre d’abbazia Leffe e Gimbergen
Nella sua ultima parte il servizio ha assunto più la forma d’inchiesta, sottolineando le differenze tra le birre trappiste e quelle d’abbazia. Queste ultime non sempre comportano un legame reale con la struttura religiosa di cui portano il nome: spesso sono prodotte su licenza da multinazionali che nulla hanno a che fare con la relativa abbazia, utilizzando addirittura impianti situati in altre parti del mondo. Come nel caso della Leffe (di proprietà di AB-Inbev) o della Grimbergen (di proprietà di Carlsberg), siamo al cospetto non solo di prodotti poco interessanti a livello organolettico, ma che sfruttano un cono d’ombra legislativo che finisce per confondere il consumatore. Chi acquista una Leffe o una Grimbergen probabilmente pensa che sia realizzata all’interno dell’abbazia belga raffigurata in etichetta – abbazia peraltro esistente davvero – quando invece è prodotta altrove con logiche proprie dell’industria.
Le birre d’abbazia sollevano un tema spinoso che Report ha fatto benissimo ad approfondire, portandolo alla conoscenza di un pubblico generalista. Peccato che sull’argomento non siano stati intervistate le rispettive multinazionali, coinvolte nel servizio solo per un paio di spiegazioni poco risolutive, inviate via mail come risposta alle domande poste dalla redazione di Report. Le spiegazioni si limitano a sottolineare che Leffe e Grimbergen sono prodotte sotto una licenza ufficiale, risultando perciò totalmente in regola. Ma il punto non è la loro liceità, quanto il modo in cui essa viene sfruttata per confondere il consumatore finale. Sono dubbi sull’etica di certi prodotti, con i quali purtroppo AB-Inbev e e Carlsberg non hanno dovuto confrontarsi – se non, appunto, chiudendo la questione con semplici email.
L’assenza di Tre Fontane
In generale il secondo servizio di Report sulla birra è stato realizzato in maniera decisamente valida, sia come impostazione che come contenuti. L’argomento birra trappista è piuttosto trasversale, perché funziona tanto con gli appassionati, quanti con i neofiti. Cosa c’è di più suggestivo, infatti, di una comunità di monaci che produce birra all’interno del proprio monastero, seguendo consuetudini antichissime e inserendola all’interno della vita monastica? Bernardo Iovene ha indagato l’argomento con il giusto approccio, confezionando una serie di contenuti di grande valore culturale.
In un contesto del genere, di alto livello qualitativo, stona allora la totale assenza del romano Tre Fontane, ossia l’unico birrificio trappista italiano esistente al mondo. A parte essersi intravista per un attimo una bottiglia tra quelle assaggiate da Kuaska, Schigi e Maestrelli, l’abbazia non è stata mai menzionata, nemmeno di sfuggita. Sicuramente una visita a Tre Fontane non sarebbe stata pittoresca come quelle da Chimay o Westmalle, ma citarla avrebbe restituito una visione più completa del mondo della birra trappista. Senza considerare il valore narrativo di avere un birrificio trappista in Italia, considerando che al momento quelli attivi in tutto il mondo si contano sulle dita di due mani. Negli ultimissimi anni il monastero ha subito alcuni cambiamenti, ma a scanso di equivoci ci teniamo a precisare che la birra è ancora prodotta in loco, con tanto di bollino esagonale visibile in etichetta – discorso valido anche per i lotti più recenti. Insomma, l’assenza di Tre Fontane è clamorosa e inspiegabile.
Conclusioni
In definitva, anche questa seconda puntata di Report dedicata alla birra ha dimostrato una notevole capacità di sintesi, chiarezza e profondità, contribuendo a diffondere presso un pubblico ampio temi spesso confinati agli appassionati. La scelta di focalizzarsi sulla birra trappista si è rivelata vincente, soprattutto grazie al taglio divulgativo, alle riprese esclusive e all’autorevolezza degli esperti coinvolti. Un servizio ben costruito, capace di coniugare approfondimento e accessibilità, e che conferma il valore che può fornire la televisione generalista al mondo della birra, quando a raccontarlo sono voci competenti e sguardi rispettosi.