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Crescono i consumi di birra in Italia: superato il record del 2007

Difficile dire se è merito del crescente interesse nei confronti dei prodotti artigianali, ma il mercato globale della birra in Italia sta mostrando importanti segnali di risveglio. È quanto emerge da uno studio (qui in pdf) condotto dall’Osservatorio Birra della Fondazione Birra Moretti, un ente senza scopo di lucro fondato nel 2015 da Heineken Italia – quello del famoso “baffo” è infatti un marchio di proprietà della multinazionale olandese – e il distributore Partesa. La ricerca mostra un dato molto rincuorante: nel 2016 i consumi sono aumentati dell’1,6% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la soglia dei 19 milioni di ettolitri. Dopo anni di stagnazione, causati principalmente dalla crisi economica, ora il mercato della birra sembra ripartire, mostrando un trend migliore rispetto a tanti altri segmenti del settore alimentare.

L’innalzamento dei consumi ha portato i dati pro capite a raggiungere la cifra di 31,5 litri annui, con un incremento di 0,7 litri nell’arco di soli 12 mesi. Di per sé può non sembrare un dato molto interessante, ma al contrario è degno di menzione per almeno due motivi. Il primo è nel superamento del record risalente addirittura al 2007, quindi al periodo precedente alla crisi economica mondiale. In soli 10 anni si è passati da un drastico calo (28 litri pro capite nel 2009), a una fase di stabilità fino all’attuale momento di ripresa, cominciato lo scorso anno e ora diventato ancora più evidente. Il secondo aspetto importante è che l’Italia stacca la Francia, dopo averle lasciato il “cucchiaio di legno” nel 2015: ora sono i nostri cugini a portare l’onta della peggior nazione bevitrice di birra in tutta l’Unione Europea.

Ovviamente non è facile risalire alle cause che hanno determinato questa inversione di tendenza. Inevitabilmente la birra artigianale sta giocando un ruolo importante, ma è impensabile che un segmento configurabile ancora come una nicchia possa trainare l’intero comparto. Il timore – se di timore è giusto parlare – è che il nostro mondo abbia fatto da apripista alle stesse multinazionali, che negli ultimi anni hanno sicuramente solleticato la curiosità dei consumatori con prodotti che parlano un linguaggio completamente diverso dal passato. Mi riferisco al linguaggio stesso della birra artigianale, imitato però e scimmiottato dalle cosiddette birre crafty: prodotte dall’industria secondo i suoi criteri, ma confezionate come se fossero brassate all’interno dei microbirrifici.

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Secondo l’Osservatorio Birra uno dei motivi della ripresa dei consumi è da ricercare nella reputazione e nell’immagine di cui gode la bevanda in Italia. Nonostante non siamo un paese tradizionalmente birrario – o forse proprio per questo – i consumatori italiani assegnano alla birra un punteggio reputazionale di 78,2 punti, ben maggiore della media europea ferma al 65,5%. Tra le righe leggo un riferimento indiretto alla campagna Birra io t’adoro che Assobirra promosse nel 2015 e che vide le donne protagoniste. Magari è solo una coincidenza, ma è proprio in concomitanza di quella campagna che i consumi in Italia sono ripartiti. Dimostrazione che – seppur viste con diffidenza da parte degli appassionati di birra artigianale – iniziative del genere sono sempre importanti. Basti pensare che l’ultima mossa del genere in Italia risaliva a 30 anni prima: fu la pubblicità con il famoso “Meditate gente, meditate” di Renzo Arbore, diventata un simbolo nazionalpopolare degli anni ’80.

Anche sul fronte della produzione i dati sono molto incoraggianti, se non addirittura ottimi. Nel quinquennio tra il 2010 e il 2015 la produzione di birra in Italia è cresciuta del 9,4%, seguita a distanza dalla Spagna (4,7%), mentre ha subito contrazioni più o meno spiccate in nazioni con lunghe tradizioni brassicole, come Regno Unito, Olanda e Germania. Il giro di affari totale ammonta a circa 2 miliari di euro (+21% in un decennio), coperto per l’86% dalle prime 10 aziende produttrici. A livello di bilancia degli scambi commerciali l’import è ancora dominante, con il 37% della birra consumata che arriva dall’estero. Questa esterofilia chiaramente non si avverte in altri paesi con un maggiore background birrario: per la Germania arriva al 7,6%, per l’Olanda al 14,3%, per il Regno Unito al 20,6%. La morale è che l’import continua a essere il principale competitor dei produttori italiani, direi sia industriali che artigianali.

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A proposito di produttori artigianali, il documento dell’Osservatorio Birra è interessante perché cita una percentuale precisa dei consumi di birra craft, sulla quale però torneremo. Ecco il relativo passaggio:

I microbirrifici (realtà con una produzione annua inferiore ai mille ettolitri), sono arrivati a +500 unità nel 2015, con una crescita dell’84% rispetto al 2010 (fonte: Assobirra), per un totale di 716 comprendendo anche i brewpub (fonte: Unionbirrai). Tuttavia, è giusto ricordarlo, questi soddisfano solo il 2,1% del consumo complessivo, andando ad accontentare le esigenze di piccole nicchie di mercato (per qualità e localizzazione).

Non so da dove nasca la scelta di limitare il concetto di birrificio a una produzione non superiore ai mille ettolitri annui. È una decisione non solo completamente arbitraria, poiché non si ritrova né nella legge italiana, né nello statuto di Unionbirrai, ma soprattutto che tende a escludere un gran numero di birrifici artigianali importanti (e dunque fondamentali alla definizione della percentuale di mercato). Se aggiungiamo anche questi ultimi, la fetta di mercato è infatti destinata ad aumentare considerevolmente. In mancanza però di un censimento davvero valido, ogni tesi al riguardo sarebbe totalmente speculativa.

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Non rimane che verificare se i dati dell’Osservatorio Birra saranno confermati dall’Annual Report di Assobirra, che dovrebbe essere pubblicato a settembre. Pur senza strapparci i capelli, possiamo però recepire queste novità con moderata soddisfazione.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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