Quando si parla di turismo birrario, spesso si immaginano viaggi in regioni tedesche o tour tra i pub inglesi. Eppure, anche in Italia esistono realtà che riescono a intrecciare perfettamente birra artigianale, territorio e ospitalità, trasformando una semplice bevuta in un’esperienza completa. È il caso di Birrificio 1816 (sito web) di Livigno (SO), il birrificio più alto d’Europa, che ha saputo fare della sua altitudine non solo un vanto, ma un elemento identitario intercettando la curiosità di bevitori da tutto il mondo. In questo contesto, la birra diventa veicolo per raccontare le montagne, le tradizioni locali e il piacere di fermarsi, magari dopo l’attività fisica, per bere o addirittura per alloggiare in loco. Una realtà che abbiamo voluto conoscere meglio intervistando Andrea Rocca, il fondatore, che ringraziamo per la disponibilità.
Ciao Andrea, per cominciare potresti spiegarci come è nato il birrificio e perché avete scelto di aprirlo in una zona d’alta quota come Livigno, vantando il titolo di birrificio più alto d’Europa?
L’avventura del Birrificio 1816 è cominciata nel 2001, quando il marchio ha assunto ufficialmente questa denominazione. In precedenza il birrificio si chiamava Echo, un nome che richiamava il ritorno del suono tra le montagne: l’idea infatti era di presentarsi subito come la birra più alta d’Europa. Successivamente, per ribadire questo concetto e senza entrare in discussioni con altri produttori che avevano fatto simili rivendicazioni, decidemmo di assumere la denominazione Birrificio 1816, che sta ad indicare proprio l’altitudine di Livigno, ribadendo già nel nome il nostro primato. Il birrificio nacque con l’obiettivo di dare al territorio di Livigno qualcosa di nuovo e unico, sfruttando la qualità e la purezza dell’acqua locale. L’attività ha inaugurato ufficialmente il 10 agosto 2001 e da allora siamo cresciuti in maniera costante.
A proposito di acqua, la purezza a cui hai accennato è sicuramente un valore aggiunto per la vostra attività. Che importanza ricopre questa materia prima nella vostra produzione? E di che capacità produttiva parliamo?
Assolutamente sì, l’acqua è uno dei nostri fiori all’occhiello e viene prelevata direttamente dalla fonte, dalla rete idrica. Naturalmente disponiamo di un filtro per controllare la presenza di eventuali batteri, ma l’acqua arriva pura direttamente dalla sorgente. È importante sottolineare che non la modifichiamo per nessuno stile di birra, utilizziamo sempre quest’acqua così come arriva dalla fonte. Per quanto riguarda le dimensioni dell’impianto, è un impianto con una sala cotte da 10 ettolitri e la nostra produzione si attesta intorno ai 1.900 ettolitri. Per il confezionamento ci avvaliamo di una imbottigliatrice Cime Careddu, con la quale ci troviamo benissimo da sempre.

Ci puoi fornire una panoramica delle birre che producete più frequentemente e magari evidenziare qualche particolarità che le rende uniche?
Certamente. Tra le nostre classiche produciamo una Lager in stile tedesco (Helles), una Pils (Pacific Pils) e una Weizen (Hefe Weizen). Abbiamo anche una Rauch, una birra affumicata ispirata alla cultura brassicola di Bamberga, a cui sono molto legato. Produciamo poi una Bock e la versione alternativa Enzian Bock, realizzata con l’aggiunta di genziana, una radice che qui cresce sopra i 2000 metri ed è molto tipica del territorio di Livigno. Il nostro fiore all’occhiello è la Harmony Bitter, una classica Bitter in stile inglese, alla quale però, oltre al luppolo, utilizziamo le cime del pino mugo che le conferiscono note resinose e balsamiche. Nel tempo abbiamo ampliato la gamma con altre alte fermentazioni, come American IPA, Session IPA e Milk Stout. Inoltre, produciamo una Tripel in stile belga, che abbiamo chiamato Tripleda perché vi aggiungiamo la pesteda, una tipica speziatura di Grosio ottenuta miscelando sale, pepe, aglio e timo selvatico; è regolarmente usata in cucina, ma noi ne abbiamo sperimentato l’impiego nella birra con successo.
Attualmente la vostra distribuzione è limitata solo a Livigno e dintorni. Qual è la filosofia alla base di questa scelta, specialmente considerando la natura artigianale del vostro prodotto?
Sì, in questo momento distribuiamo solo ed esclusivamente a Livigno. Questo concetto deriva da una teoria tedesca che afferma che la miglior birra la si beve più vicina a casa. La birra artigianale, che noi non filtriamo e non pastorizziamo, soffre molto gli spostamenti, i cambi di temperatura e la luce. È fondamentale il trattamento del prodotto durante il suo intero periodo di vita, e non deve subire troppi sbalzi. Per queste ragioni, la nostra birra rimane legata al territorio di Livigno per garantirne la massima qualità.
Livigno è una destinazione ad alta vocazione turistica. Come si lega l’attività del birrificio a questo aspetto e che tipo di esperienza offrite ai visitatori, anche in termini di ospitalità?
Il birrificio è strettamente legato al turismo. La struttura include una parte dedicata alla ristorazione, con circa 150 posti a sedere, e la sala cottura è proprio all’interno del ristorante, permettendo ai visitatori di osservare tutte le fasi della produzione. Siamo molto frequentati da turisti da tutto il mondo. D’estate i visitatori sono prevalentemente italiani, anche se negli ultimi due anni abbiamo notato una crescente presenza di stranieri come tedeschi, svizzeri, belgi e olandesi, spesso ciclisti o escursionisti. Il consumo maggiore si registra in inverno, quando accogliamo molti più stranieri da diverse parti del mondo, inclusi Nord Europa, Sudafrica, Inghilterra, Germania e Repubblica Ceca, che sono “grossi bevitori”.
Per quanto riguarda l’ospitalità, disponiamo di appartamenti proprio nello stesso stabile del birrificio, ai piani superiori. Questi chalet sono tematici e intitolati a ingredienti della birra: Luppolo, Malto e Acqua. Gli interni sono molto curati ed esclusivi e chi vi soggiorna ha la sensazione di vivere davvero in un luogo dove si produce birra, anche grazie ai profumi della produzione che si sentono dal lunedì al venerdì. Questa idea si ispira alla tradizione tedesca delle “Gasthausbrauerei”. Gli appartamenti “Malto” e “Luppolo” sono stati ultimati prima di Natale e stanno già ricevendo importanti richieste per l’estate e l’inverno.
Quali sono i vostri progetti per il futuro, sia per quanto riguarda l’ampliamento della struttura ricettiva sia in termini di produzione?
Abbiamo sicuramente molti progetti per il futuro. Stiamo ampliando l’offerta ricettiva con altri due nuovi appartamenti al piano superiore e prevediamo di rinnovare anche quelli esistenti nella prossima stagione per completare la struttura con sistemazioni all’avanguardia. Inoltre, sempre in zona birrificio, ma in uno stabile adiacente a circa dieci metri, apriremo un nuovo progetto di ristorazione. Questo dovrebbe essere pronto per la prossima estate, quindi non in tempo per le prossime Olimpiadi invernali, che però rappresenteranno per noi un momento molto impegnativo. Il birrificio infatti si trova proprio di fronte al palcoscenico principale del Mottolino, quindi in quel periodo ci concentreremo su collaborazioni strette con gli enti locali e le case internazionali ospiti delle Olimpiadi, posticipando l’apertura della nuova attività di ristorazione ai mesi successivi.
A livello di produzione, puntiamo a crescere. Sebbene l’impianto non sia ancora sfruttato al 100%, vogliamo aumentare i volumi e rafforzare la nostra presenza sul territorio. Ci sono anche interessi e richieste per il marchio 1816 sia in Italia che, soprattutto, all’estero. È importante notare che 1816 non produce solo birra: da quattro anni produciamo il Gin 1816. E una novità che vi posso dare in anteprima è la presentazione, prevista per novembre-dicembre 2025, del nostro nuovo whisky, che sta maturando da tre anni in barrique di vini valtellinesi. Siamo tra i pochissimi produttori ufficiali di whisky in Italia e lo consideriamo un riconoscimento di grandissimo prestigio.










