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L’approccio di Birra Impavida alla sostenibilità ambientale: intervista a Raimonda Dushku

Fondato nel 2020, Birra Impavida è uno dei birrifici italiani più interessanti aperti nell’ultimo lustro. Frutto dell’incontro tra le imprenditrici Raimonda Dushku e Serena Crosina, si è subito distinto per scelte aziendali chiare e solide e per birre di ottimo livello. Il birrificio è situato ad Arco (TN), a ridosso del Lago di Garda, in un contesto naturalistico di straordinaria bellezza. La cultura per il rispetto dell’ambiente che si respira in zona, unito al background delle due socie, ha spinto Birra Impavida a orientarsi sin da subito verso soluzioni ecosostenibili e non certo banali per un produttore artigianale, nonostante le sfide aggiuntive che esse richiedono. Dall’individuazione della lattina come contenitore privilegiato all’attivazione di un depuratore interno, dall’esaltazione degli sport naturalistici praticati in zona all’installazione di impianti fotovoltaici, tutte le scelte di Birra Impavida hanno sempre avuto come pilastro la profonda integrazione con l’ambiente circostante. L’idea finale è di trasformare il birrificio (e la relativa taproom) non solo in un luogo di produzione, ma anche di socializzazione e identità comunitaria.

L’approccio di Birra Impavida ci ha affascinato a tal punto che abbiamo deciso di raggiungere Raimonda Dushku per sottoporle alcune domande sul loro approccio all’ecosostenibilità e all’integrazione con l’ambiente.

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Ciao Raimonda, grazie per la disponibilità. Il vostro birrificio si trova in un contesto naturale di grande bellezza. In che modo il legame con il territorio influenza la vostra filosofia produttiva e le scelte aziendali?

Sì, il nostro birrificio si trova all’incrocio tra Riva del Garda, Arco e Torbole, nella zona che corrisponde alla punta nord del Lago di Garda. Si tratta quindi del Garda trentino, che rispetto alla parte meridionale vanta una bellezza più montana ed è caratterizzato dal delta del fiume Sarca. Storicamente è un luogo di confine tra l’Impero Austroungarico e il territorio italiano, protagonista di battaglie e di contaminazioni tra varie identità. Oggi è un luogo famoso in tutta Europa non solo da un punto di vista naturalistico, ma anche per la usa propensione allo sport, come il windsurf e l’arrampicata.

Il nostro progetto sin da subito si è aperto al territorio, sia con la tap room, operativa dal primo giorno di attività, sia con una sala eventi, destinata a diffondere la cultura birraria tra aziende e istituzioni della regione. Inoltre con la nostra comunicazione ci rivolgiamo spesso agli sportivi, sia perché sono numerosi in zona, sia perché li troviamo molto affini alla nostra filosofia aziendale. Molte delle nostre birre sono dedicate al mondo dello sport (Pelèr, Free Solo, Chain Braker) oppure omaggiano il nostro territorio (Moxi), che è una sorta di microcosmo rispetto al resto del Trentino. Infine amiamo sviluppare molte collaborazioni multidisciplinari con realtà locali e supportare iniziative sportive di grande respiro.

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L’ecosostenibilità è uno dei pilastri del vostro approccio. Quali misure concrete adottate per ridurre l’impatto ambientale della vostra produzione e come queste riflettono il vostro impegno verso l’ambiente?

Mi fa molto piacere rispondere a questa domanda. Il nostro progetto nasce da una lunga fase di programmazione, dunque molte delle scelte di sostenibilità messe in campo nel tempo sono state decise sin da subito. Oltre all’utilizzo della lattina, abbiamo recuperato un pozzo in disuso adiacente al birrificio e ricoperto l’intero tetto del birrificio con pannelli solari fotovoltaici. Il pozzo ci permette di utilizzare acqua di falda fino a 50 metri di profondità, che, essendo molto fredda, viene impiegata per refrigerare parzialmente gli impianti (come le spine della tap room), utilizzando quindi energia geotermica. L’acqua poi viene immessa nuovamente nella falda e tutto il sistema ci permette di essere molto efficienti in termini energetici. I pannelli solari, invece, ci consentono di produrre il 70% dell’energia elettrica che utilizziamo in azienda, mentre il restante 30% proviene comunque da fonti rinnovabili.

Inoltre sin dal primo giorno abbiamo attivo in birrificio un depuratore con criteri molto stringenti da cui passano i nostri scarti aziendali prima di raggiungere il depuratore pubblico di zona. Sebbene il sistema sia imposto dalle istituzioni, noi abbiamo deciso di esasperarne l’utilizzo per limitare l’impatto sul nostro ecosistema. Infine tutte le scelte che compiamo, dal packaging all’individuazione dei fornitori, sono orientate alla sostenibilità e all’economia virtuosa. Concetti che chiaramente sono più facilmente assimilabili in un territorio come quello del Trentino, fragile e meraviglioso allo stesso tempo.

La scelta di confezionare la birra in lattina riflette anch’essa la vostra attenzione all’ambiente. Quali sono i vantaggi ambientali che vedete in questo tipo di packaging e in che modo supporta la vostra filosofia di sostenibilità?

Innanzitutto la lattina di alluminio rappresenta la scelta di ecosostenibilità per eccellenza nel confezionamento della birra, visto i numerosissimi vantaggi che offre in tal senso. A questo aggiungiamoci i benefici che garantisce sulla qualità del prodotto, conferendo una protezione completa dalla luce e dall’ossigeno. Per queste ragioni, dal primo momento che abbiamo ipotizzato l’apertura di Birra Impavida non abbiamo avuto dubbi: la nostra scelta è sempre stata rivolta esclusivamente alle lattine. Innanzitutto l’alluminio è un materiale molto più facilmente biodegradabile del vetro, senza contare poi che offre una facilità di stoccaggio e un peso impareggiabili, con ripercussioni non indifferenti sull’emissione di CO2 durante il trasporto.

In Birra Impavida facciamo molta comunicazione su questi aspetti, anche perché, come tanti birrifici artigianali, realizziamo prodotti di fascia alta e quindi spesso ci troviamo interloquire con realtà commerciali che mostrano una certa resistenza. In altre parole proporre una lattina di birra in certi ristoranti, magari anche stellati, può essere un argomento di dibattito. Però devo ammettere che, per mia esperienza, spiegando le motivazioni della scelta, lo scetticismo iniziale generalmente viene superato, soprattutto trovandosi di fronte a un prodotto di qualità. Nel nostro caso specifico poi abbiamo scelto lattine da 44 cl, un formato che ormai in Italia utilizziamo in pochi. Però riteniamo che sia il giusto rapporto tra contenitore e contenuto, anche perché forse più ecosostenibile di quello da 33 cl, senza nulla togliere a quest’ultimo per il quale entrano in gioco anche valutazioni di tipo commerciale.

Per quanto riguarda il confezionamento ci siamo affidati a Cime Careddu, sostanzialmente per tre motivi. Il primo è che sono un’azienda familiare, dove è possibile un contatto diretto e umano con Roberta, Eric e tutto il team, nonché l’opportunità di toccare con mano i macchinari. Tale umanità si riflette sul servizio clienti – e questo è il secondo punto – che è stato per noi davvero prezioso. Abbiamo scelto una macchina piuttosto grande e da parte loro abbiamo ricevuto un supporto straordinario: hanno fatto davvero i salti mortali affinché potessimo lavorare al meglio col loro prodotto. Il terzo aspetto è la professionalità che mettono in campo e la qualità delle loro macchine. Oggi i birrifici artigianali possono utilizzare le lattine perché ci sono state aziende come Cime Careddu che hanno investito nel nostro segmento, proponendo prodotti ad hoc per realtà più piccole. Perciò sono contenta che oggi i risultati ripagano quella loro scelta. Personalmente abbiamo scelto un macchina non completamente automatizzata, che ci offre maggiore flessibilità anche dal punto di vista di un eventuale cambio di formato.

Guardando al futuro, come immaginate che si evolverà il vostro impegno per l’ambiente e per il territorio? Quali sono i prossimi passi che intendete compiere per mantenere questo equilibrio tra produzione di qualità e rispetto della natura?

Forse in assoluto la sfida più importante per noi, come per qualunque altra azienda che cresce, sarà mantenere l’autenticità delle nostre scelte. Il nostro obiettivo è di confermare anche in futuro questo forte legame tra la produzione di qualità e il rispetto della natura. È un intento che perseguiamo quotidianamente a livello di management, scegliendo persone e fornitori che credono nei nostri stessi valori. Quindi in questo momento l’ambiente e il territorio trovano concretizzazione per noi anche e soprattutto a livello di relazioni. Continueremo a puntare sulle soluzioni ecosostenibili che abbiamo individuato sin dall’inizio, restando aperti a tutte le possibilità che arriveranno dalle innovazioni tecnologiche in termini di etica ambientale.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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