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Claudio Cerullo (Amiata) al GABF: il suo diario di bordo

Nella giornata di ieri è iniziata l’edizione 2011 del Great American Beer Festival, la più grande manifestazione birraria degli Stati Uniti, organizzata dalla Brewers Association. Strutturato sulla falsariga dell’europeo GBBF, il GABF permette ai fortunati possessori di un biglietto di assaggiare più di 2.400 birre provenienti da 465 birrifici differenti. Numeri da capogiro, che comprensibilmente fanno del festival uno degli appuntamenti più attesi in assoluto dagli appassionati, non solo americani. Quest’anno Cronache di Birra vi offre la possibilità di calarvi nella fantastica atmosfera dell’evento, grazie al gustoso resoconto di Claudio Cerullo del birrificio Amiata – presente tuttavia come semplice curioso, libero da impegni professionali ufficiali. Sarà lui a guidarci tra gli stand del Colorado Convention Center di Denver e a farci vivere l’ebbrezza di una manifestazione unica nel suo genere. Ecco la prima puntata del resoconto.

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Per chi ci è stato e già conosce l’evento sembreranno parole ovvie, ma per me che sono al mio debutto da appassionato al Great America Beer Festival, devo confessare che ho provato una grande emozione e ho vissuto una giornata sicuramente da ricordare.Il viaggio al GABF inizia molti mesi prima, quando devi riuscire a conquistare un biglietto. Prima è inutile fare prenotazioni di voli o alberghi. Noi, essendo iscritti come Birra Amiata alla Brewing Association, avevamo 2 giorni di prevendita e questo mi ha permesso di potermi accaparrare 2 biglietti per il giovedì e 2 per il venerdì. Nel giro di 10 giorni poi tutti i biglietti disponibili erano stati acquistati.

Credo che la telecronaca minuto per minuto di ciò che è accaduto dalle 15,00, ora in cui mi sono messo in fila per ritirare i biglietti, alle 15,45 quando mi sono messo in fila all’ingresso e successivamente all’ingresso avvenuto alle 17,30, non interessi a nessuno. Preferirei raccontare alcuni aspetti che mi hanno veramente colpito.

Il GABF festeggiava i suoi primi 30 anni! C’era un padiglione dedicato al “come eravamo” e la prima conferenza era proprio incentrata su questo avvenimento (The GABF turns 30) con Papazian, Jim Koch di Boston Brewing e Ken Grossman di Sierra Nevada. Una celebrazione fatta raccontando aneddoti e storie, che comunque hanno alla base umiltà, grande collaborazione e forte coesione dei birrai americani. Grazie a simili principi hanno ottenuto non solo la crescita di un festival dai 750 partecipanti del 1982 ai livelli odierni (49.000), ma soprattutto hanno portato il prodotto artigianale americano a livelli di qualità e quantità considerevoli.

Gli americani hanno una precisa strategia commerciale non solo per crescere internamente, ma anche per esportare in Europa, America Latina, Cina ed India. Uniti insieme hanno creato una rete di servizi e facilitazioni veramente impressionante. La forza con cui alimentano il localismo birrario è straordinario. Ho conosciuto nel lungo tempo in coda un po’ di ragazzi a cui chiedevo di dove erano e quale sarebbe stata la loro prima birra. Tutti mi hanno detto che le prime birre sarebbero state dei birrifici di casa, sia che fossero del Colorado o del Nebraska o della California. Per primi sarebbero andati a salutare e testare il o i birrifici dell’area in cui vivevano e poi avrebbero assaggiato le altre birre. “Drink local beer” è uno sologan che ha funzionato e che ancora va. Ovviamente con la collaborazione dei publican che hanno dato spazio alle realtà artigianali ed hanno consentito ad uno slogan, di portare a casa il 15% del mercato. Viene immancabilmente da fare un paragone con l’Italia, dove gli indipendenti sono pochissimi e le spine locali ancora minori…

Altra riflessione, che trae origine da quanto detto precedentemente, sull’umiltà e disponibilità dei birrai americani. Ho partecipato ad una conferenza capitanata da Kuaska, sul progetto di collaborazione italo-americana del brewpub Eataly, in cui venivano intervistati Sam Calagione (Dogfish Head), Eric Wallace (Left Hand) e Leonardo di Vincenzo (Birra del Borgo). Al termine Sam, alla stregua di una rock star, in quei 10 minuti in cui è rimasto nella sala dopo la conferenza, avrà acconsentito ad almeno 100 fotografie con perfetti sconosciuti e semplici appassionati, sempre con il sorriso e la massima disponibilità.

Ma questo è solo un primo esempio. Allo stand di Brooklyn Brewery c’era Garret Oliver che versava le sue birre intrattenendo gli appassionati con racconti, informazioni etc. Anche Eric Wallace con me, quasi perfetto sconosciuto, si è comportato benissimo, accompagnandomi in giro per il GABF 2011, ma questi sono solo piccoli esempi. C’era veramente la voglia da parte dei birrai di dialogare con la gente comune, quella che però poi alla fine va nei pub e svuota i fusti. Nessuna voglia di essere snob, di essere una casta, professionisti individuali, uniti per un obiettivo comune, molto disponibili con la gente comune.

Dal punto di vista numerico siamo arrivati a 465 birrerie con più di 2400 birre da assaggiare. Un’offerta enorme, resa possibile da un nutrito staff e da più di 2000 volontari impiegati a servire birra oppure dislocati presso i punti di raccolta rifiuti, ad aiutare la clientela a fare una corretta differenziazione. Infatti quest’anno la parola d’ordine è “minore impatto ambientale, minori rifiuti”.

Ultimo punto di cui parliamo stasera è la concorrenza. Essere in tanti è sicuramente un possibile rischio commerciale per il singolo birrificio, ma al tempo stesso una grande opportunità per il movimento e per i consumatori, perchè se tutti fanno birra buona, chi vuol emergere deve giocoforza fare birre ancora più buone. Un esempio è proprio il Colorado, terra di birrifici fin dall’esordio del movimento, che ha presentato solo nel 2011 sei nuove realtà brassicole. Stiamo comunque parlando di 111 birrifici operativi, tutti con voglia di creare ottimi prodotti, venderli con volumi crescenti. Costretti, per sopravvivere, a dare il 110% di ciò che di buono c’è al birrificio.

Credo di avervi annoiato abbastanza per oggi, per cui ci sarà domani una seconda parte sul motivo più importante della visita: le birre. Per il momento passo e chiudo.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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5 Commenti

  1. Veramente numeri da capogiro, il peccato è non riuscire ad assaggiare tutte le proposte, a meno che non si giri con un fegato di riserva ( supponendo assaggi da 0.05 e dividendo le 2400 proposte in 2 giorni sarebbero 60 litri di birra al giorno 🙂 )

    Seguiro con interesse i prossimi aggiornamenti.

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