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Birra Antoniana: i fratelli Interbrau lanciano il loro birrificio

Se c’è una cosa certa nel settore della birra italiana è il grande spirito d’iniziativa dei fratelli Vecchiato. Oltre a detenere il controllo di Interbrau, una delle più importanti società di distribuzione per birre “premium” – preferisco definire così una gamma che alterna vere artigianali a prodotti praticamente industriali – negli ultimi tempi si sono messi in luce per una serie di movimenti strategici di importanza capitale. Le collaborazioni con alcuni produttori italiani (e non solo) sono molteplici, mentre recentemente ha fatto scalpore l’acquisizione di un marchio storico come quello della Thomas Hardy’s Ale. Il passo successivo era nell’aria da tempo: l’apertura di un birrificio di proprietà. Idea ormai pronta a concretizzarsi col nome di Birra Antoniana e di cui oggi vi svelo alcuni dettagli in anteprima assoluta.

Sebbene il progetto stia prendendo forma solo ora, l’idea di un birrificio era nella mente di Sandro e Michele Vecchiato già da diverso tempo, tanto da essere condivisa anche con il padre Luigi. Il primo tassello è stato messo nel 2011, anno in cui risale la fondazione del birrificio con sede a Villafranca Padovana (PD). La forma scelta è quella di società agricola, dunque Birra Antoniana sarà in grado di sfruttare i vantaggi concessi per i produttori della cosiddetta agribirra. Una decisione che comporta evidenti vantaggi, ma che non nasce per semplici logiche di marketing: la ricerca dei giusti appezzamenti di terra per la coltivazione dell’orzo è durata mesi, fino all’individuazione di alcuni terreni nei pressi di Marano Lagunare (UD), zona particolarmente vocata a simili colture.

Lo sfruttamento di orzo coltivato in proprio si inserisce in un discorso più ampio, orientato all’autonomia produttiva. Avrete già capito che Birra Antoniana tenderà a impiegare luppolo autoctono, ma il discorso si estende anche al lievito. Per quanto riguarda il primo ingrediente, Birra Antoniana è, insieme all’Università di Parma, partner del progetto HOPS, teso all’individuazione di una varietà di luppolo adatta alla birrificazione e con caratteristiche aromatiche precise. In riferimento al secondo ingrediente, invece, i Vecchiato stanno portando avanti un progetto di cattura di lieviti autoctoni sul territorio padovano in partnership con Veneto Agricoltura.

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Autonomia produttiva a parte, il birrificio è già in fase avanzata per la definizione della prima ricetta. Da agosto i birrai hanno realizzato alcune cotte sperimentali come ospiti di un produttore tedesco, con l’obiettivo di affinare le caratteristiche di quella che presumibilmente sarà l’ammiraglia di Birra Antoniana. Parallelamente i lavori all’impianto di produzione stanno procedendo di gran carriera: la sala cotta è praticamente finita, mentre gli operai stanno lavorando sugli impianti di tubazione per il collegamento tra sale e tank. Se tutto procede senza ostacoli, tra circa un mese e mezzo si potrà eseguire la prima cotta.

A proposito di impianto di produzione, i numeri ad esso legato possono darvi un’idea delle dimensioni del progetto. Attualmente occupa circa 900 mq e ha una capacità produttiva massima di 4.000 hl annui: volumi che lo pongono da subito tra i più grandi birrifici artigianali d’Italia (come Brewfist per farsi un’idea), se non fosse che si tratta di un impianto “pilota”. Esattamente: i Vecchiato hanno già in mente di costruire un birrificio dalla capacità produttiva molto più elevata, che dovrebbe entrare in funzione tra il 2013 e il 2014.

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In attesa di inaugurare il birrificio, Birra Antoniana ha già iniziato a muovere diversi passi nell’ottica della promozione. Il radicamento sul territorio è stato ricercato attraverso le sponsorship di alcune realtà sportive locali, come Pallavolo Padova e Mestrino Calcio, mentre una prima presentazione ufficiale si è avuta lo scorso 2 settembre nel corso della manifestazione benefica Nonsolosportrace. Il sito web è già attivo e aggiornato costantemente. Gli obiettivi futuri sono di iniziare una distribuzione limitata ad eventi locali (inizio 2013) e successivamente di entrare in alcuni locali di Padova e del resto del Veneto.

Riagganciandoci alle dimensioni del birrificio, l’obiettivo dichiarato è di creare una terza via tra microbirrifici artigianali e grandi birrifici industriali, fondendo gusto dei consumatori, attenzione al mercato, qualità e razionalità della distribuzione. In altri termini, lo scopo è creare una vera birra artigianale indipendentemente dagli ettolitri prodotti, caratterizzata da alti livelli qualitativi nel rispetto dei tempi di maturazione e mediante la presenza costante del birraio in tutte le fasi di sviluppo del prodotto.

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Ce la faranno i fratelli Vecchiato a trasformare Birra Antoniana in un ennesimo successo? Le basi sembrano solide e le idee chiare, non resterà che vedere come evolverà il progetto. Che ne pensate?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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86 Commenti

  1. Complimenti Andrea, post ricco di spunti, e congratulazioni ai Vecchiato bros.

    Ho cercato, invano, informazioni in merito al progetto di individuazione di luppoli adatti alla birrificazione, mi puoi dare qualche riferimento preciso?

  2. Un Birrificio Agricolo? Un altro?
    Almeno i Vecchiato non potevano rinunciare a questa evidente presa in giro?
    Dove è la loro azienda agricola?
    Che bisogno hanno di fare una cosa del genere?
    Vedete che non avevo tutti i torti quando parlavo di potenziali derive di questa stupidissima questione italica…..
    I Vecchiato sono dei valentissimi imprenditori del settore e secondo me il legittimo progetto per fare uno Stabilimento Birrario che producesse birre di qualità si scontra comunque con la logica di un Birrificio Agricolo….
    E noi siamo qui a farci un culo dell’ostrega tutti i giorni e a pagare le tasse come dei coglioni…..
    Intanto i potenti continuano a fare i loro porci comodi…..e a mettercelo in quel posto….

    AUGURI!

    • > il legittimo progetto per fare uno Stabilimento Birrario che producesse birre di
      > qualità si scontra comunque con la logica di un Birrificio Agricolo….

      Stai dicendo che un birrificio agricolo non puo’ produrre birra di qualità?

      • Minchiazza ma che siete…..
        Non c’entra nulla …è riferito al fatto che è stata data la possibilità di fare un Birrifico Agricolo per consentire a piccole/medie agricole di aumentare il proprio reddito producendo in azienda orzo da far maltare e/o luppolo……
        Il concetto è quello della filiera corta….
        Qui (come in qualche altro caso) hanno stravolto la finalità originale…si tratta di un Birrificio di Tipo Industriale che per avere agevolazioni fiscali e di altra natura prende dei terreni in affitto e si fà maltare una parte dell’orzo necessario per fare le produzioni…..
        Quindi è un completo ribaltamento delle finalità originali del provvedimento che ha consentito ad aziende agricole di produrre in azienda Pane, Birra ed altro…..
        Questa cosa come la definireste?

        • non si può non dare ragione a Bruno

          io fossi nel legislatore terrei in piedi il teatrino ancora un paio d’anni e poi darei un bel giro di vite ai furbetti del quartieri. che tanto oramai sono in ballo e devono ballare, e il PIL si impenna

      • Ma io non ho paura….mi girano solo le balle quando vedo delle cose che reputo non giuste….e purtroppo in Italia girano tutti i giorni ad elicottero….
        Ormai quando passo sotto ad un lampadario si spengono le luci…per il forte campo magnetico creato…

  3. Riporto con ammirazione la frase di Sandro Vecchiato: “Anche il più importante ed ambizioso progetto produttivo non ha futuro se non affiancato da un altrettanto importante progetto distributivo” e quindi visto che loro sono i top per le birre “premium” invaderanno il Veneto ed un pò tutta l’Italia con tanta birra Antoniana, immagino buona ed a buon prezzo, creando un bello sconvolgimento nel mercato artigianale. Una cosa di cui nessuno parla è infatti che l’amico Sensidoni con il progetto dei Mastri Birrai Umbri (sono abbastanza sicuro) produce molta più birra dei più affermati birrifici artigianali storici nazionali (ha superato i 10.000 HL), ma loro sono essenzialmente in Coop e la GDO non è fondamentale per i micro italiani. Antoniana invece venderà nei pub, beershop, enoteche e creerà molto più scompiglio che spero farà più bene che male al mondo dei microbirrifici artigianali. In ultimo da non dimenticare che Interbrau è proprietaria del marchio storico Itala Pils che credo rivitalizzerà a breve

    • Io non ho solo capito una cosa.
      Se Interbrau ha stretto accordi a destra e a manca per accaparrarsi i più promettenti micro italiani per distribuirli, come si concilia con il distribuire in grandi quantità la loro prossima creazione imprenditoriale? Distribuiranno su entrambi i fronti spingendo su bassi prezzi Antoniana?
      Magari la risposta è semplice, però io non ci arrivo.

          • certo. ma a meno che l’accordo prevedesse l’impedimento per Interbrau di farsene uno suo di birrificio, hai solo da star zitto e rosicare

            anche perché, una volta che gli hai mollato il mano tutta la distro, col fischio che se lo molli riesci a piazzare la stessa quantità di birra e pagarti la rata di leasing dei nuovi impianti che ti sei fatto dopo aver firmato il contrattino

            poi non penso che l’obbiettivo di Interbrau sia far fallire i birrifici che distribuisce. ma non ci piove che avranno delle priorità

            cmq credo che l’obbiettivo non sia il solo mercato italiano, per tutti

          • Bisognava pensarci prima, non è esattamente un fulmine a ciel sereno, era prevedibilissimo.
            Non si è voluto investire in strade distributive (e non solo) diverse affidandosi ai soliti noti, alla fine si raccoglie cio’ che si e’ seminato.

          • Continua a sfuggirmi qualcosa.
            Mi chiedo come faranno se devono contemporaneamente vendere tutta la birra dei micro che hanno sotto contratto e tutta la birra Antoniana che produrranno.
            Forse è davvero l’estero la variabile che non considero, o forse la strategia è qualcosa tipo aumentare i volumi di magazzino, aumentare l’offerta ed abbassare ulteriormente i prezzi vincendo su altri distributori.
            In mancanza della sfera di cristallo, mi accontento di immaginare.

      • Visitando i loro Beer Shop ho subito notato che i marchi italiani rappresentati sono davvero pochi. Di fatto acquistano prodotti da 3 o 4 Birrifici marchiati da 6 o 7 etichete differenti.

    • Interbrau fà legittimamente i suoi interessi e come dimostra la loro storia li sa fare molto bene.
      La cosa preoccupante è il silenzio assoluto da parte dei miei colleghi birrai……
      Lavorano come negri e a stento portano a casa la pagnotta….non vedono la trave che gli si sta conficcando nel didietro…
      Non ho più sentito nessuno parlare di Associazione di Categoria….e questo è un problema per i piccoli produttori indipendenti.
      Tra Colossi che stanno investendo nel settore ….altri Furbetti che non sanno cosa fare e che investiranno pesantemente nel settore…Stato Italiano, Tasse e Burocrazia, concorrenza più o meno leale di varie Beer-Firm, Importatori Casinisti, Clienti che Blaterano di Birra dalla mattina alla sera e che poi non pagano…..
      io la vita del Birraio Artigiano Vero la vedo molto dura……
      Altro che movimento…..

    • Comunque condivido pienamente la frase di Vecchiato riportatata da Claudio….
      I fratelli Vecchiato sono dei grandi imprenditori e vanno rispettati per questo…..

      Prossimamente il mercato selezionerà molto !!! Sia sul fronte della produzione che della distribuzione….

    • Comunque Itala Pilsen non è (ancora) dei Vecchiato, forse fai confusione con Birra Italia (originario marchio di Sirmione, acquistato da Wurher, trasformato poi in Private Label) che è stato preso da un Consorzio di Disitributori qualche anno fa (birra fatta in germania e importata).

    • bisognava pensarci prima..mi ricordo un certo Marcos (il pazzo visionario complottista) che già da tempo parlava di sta cosa del mega birrificio di interbrau..ma sono tutti concentrati a farsi la guerra sulle pochezze e sulle invidie, il risultato è che probabilmente ci perderanno un pò tutti quanti

  4. io vedo un “rischio” soprattutto. quantomeno per gli altri piccoli produttori

    a me pare abbastanza chiaro che la crescita di birra di qualità nei locali, pur sostenuta, non tiene il passo con la crescita del numero dei birrifici ed un volume pro capite sufficiente a darne senso. chi è già sul mercato, ha un nome, ha qualità consolidata, può fare “buoni” prezzi essendo già avanti col business e gli ammortamenti, spesso si pappa le spine dei nuovi locali, mentre gli ultimi arrivati sgomitano, in deficit di capacità commerciali. penso di poter dire che senza le tantissime feste di paese dove oramai sempre più spesso ci trovi il banco spine, molto piccoli birrifici andrebbero a gambe all’aria. quelli più furbi riescono a trovarsi qualche canale di vendita estero

    il nocciolo qua sta nel riconvertire i tanti locali esistenti al prodotto di qualità. e qua si latita parecchio. è curioso come un manifestazione come l’Indi Pub paia oramai più una festa della birra itinerante come tante altre ed una celebrazione dei best publican più che un motore per favorire questa espansione (d’altronde i publican mica son scemi, metti che poi ti aprono due locali a un tiro di schioppo…), mentre potrebbe avere un respiro ben più ampio, *sostenuto* e *sponsirizzato* dai birrifici stessi, che sono quelli che in primo luogo hanno interesse al successo di questo discorso

    il problema è che spesso riconvertire delle linee (in comodato) di tantissimi locali non significa scalzare Heineken o Carlsberg, ma Interbrau… che è un target molto più vicino al pubblico dei micro. conosco moltissimi esempi. e, concludendo, la vedo sempre più dura…

  5. Io se fossi un birrificio distribuito da interbrau non sarei molto contento.
    Finchè il mio distributore doveva scegliere se spingere una mia birra o quella di un mio collega stavo più tranquillo.
    Ora che deve fare la scelta tra le mie e le sue…

  6. Come detto da altri, concordo pienamente che i Vecchiato sanno il fatto loro e le loro strategie commerciali e, ora, produttive sono da professionisti.
    Il problema è la legge sui birrifici agricoli che ha le maglie troppo larghe, al punto da consentire a colossi come Interbrau di infilarcisi in maniera del tutto legale, ma creando alla fine concorrenza di fatto sleale nei confronti di quei piccoli produttori, che agricoli non sono e che continueranno ad avere una tassazione totale di oltre il 70%(se non aumenterà ancora…).
    E’ una legge che va rivista e corretta, altrimenti altro che movimento della birra artigianale!!!

  7. Traggo spunto dal sensato commento di Stefano e cerco di ragionare a voce alta:
    il mercato di birra nei ristoranti è un semplice palliativo
    il vero mercato della birra nel fuori casa è nei pub, ma in molti casi le spine sono del distributore. In questi pub i gestori sanno a mala pena cambiare il fusto e la bombola della CO2, quindi anche nel caso scalzassi un distributore locale e fornissi tu la spina, dovresti correre giorno e notte a lavare spine e fare interventi anche solo per cambiare la pressione di spinatura. I pub indipendenti sono in tal senso una benedizione, ma sono pochi per il gran numero dei birrifici esistenti. Strategie? Vendere i fusti ai distributori locali? Si, ma a che prezzo poi usciranno?
    Mercato della birra in casa: enoteche, beershop e GDO. Bene i beershop, ma la GDO la lasciamo stare? C’è gente che con Coop fa 6-7 mila ettolitri. E’ vero che è difficile entrare, che magari ti parcheggiano a luglio una pedana di birra artigianale fuori dal magazzino a 40°C per 24 ore, che ti mettono la tua birra vicino ad una Orval che costa la metà e la gente sceglie quella, ma è sempre un posto dove i volumi girano e dove, magari facendo un accordo quadro con una o più piattaforme si riuscirebbe ad avere una porzione di gondola a se stante. Tenete conto che Unicoop Pisa organizza in questi giorni con Puro Malto un corso di degustazione delle birre, quindi l’interesse c’è. Sto dicendo eresie? Pur considerando che tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare, quali sarebbero le azioni per dare non dico un futuro, ma notti meno insonni ai birrifici artigianali?

  8. Come sto godendo a vedervi rosicare….. Ma non eravate i fautori del libero mercato? Delle nicchie e dei nicchioni (cit)? Delle birre in bottiglie da 75 Cl per la ristorazione? Dei ragionamenti del tipo: ” Ma se la mia birra non te la vuoi comprare a 12 euro, chissenefrega! non te la comprare!” (cit.).
    Se questo progetto di interbrau servirà a “normalizzare” il mercato della birra artigianale in Italia, ben venga!
    Nel frattempo, rosicate!

    • ti quoto, però ‘sta deriva dei birrifici agricoli sta diventando veramente una pagliacciata. pagassero le imposte come tutti i cristiani, che mi pare che se lo possano permettere. anche perché quelle che non ci mettono loro ce le dobbiamo mettere io, te e Bruno

      qualche cervellone del ministero poi mi dovrà spiegare i punti di contatto fra l’agribirrificio Morosina e Interbrau ed i criteri per i quali entrambi debbano venire sovvenzionati con la fiscalità collettiva

    • Che la birra artigianale, con la quota di mercato che ha in Italia sia una nicchia, è un dato di fatto oggettivo, non c’entra l’esserne fautori o meno. Riguardo alle bottiglie da 75, sicuramente la ristorazione richiede questo formato, ma poi c’è un discorso di convenienza. Se analizzi la curva dei prezzi del vetro, tra i formati entro il litro, quella con il prezzo peso/volume più conveniente è quella da 75 cl. Quindi nessuna volontà di obbligare la gente a spararsi una pinta e mezzo, ma una necessità per contenere i costi. Dei prezzi della birra artigianale si è già detto molto. Tieni conto che anche negli USA i prezzi sono scesi dal momento in cui si sono decuplicati i volumi ed ammortizzate le spese per impianti ed infrastrutture. Se ho cento mila euro di mutuo e faccio centomila bottiglie, devo per forza caricare 1 euro a bottiglia, ma se ne vendessi duecento mila, caricherei 0,5 euro e così via in proporzione. Invece per i consumi e la stagionalità ci siamo tutti accorti “dopo” che con le vendite dei 3 mesi estivi, avremmo dovuto pagare le spese di un anno. Un pò come i frantoi, ma non eravamo partiti per essere frantoi! Interbrau sa benissimo quello che all’inizio del ‘900 sostenevano i vari imprenditori, ossia che gli utili sulla birra non sono proporzionali ai volumi, fino a 5-6 mila ettolitri i costi schiacciano gli utili, dai 10 mila in su si comincia a ragionare e per questo stanno pensando ad una capacità limite di 100.000 HL, loro che poi hanno in mano la distribuzione. Potrei anche vincere alla lotteria ed essere poi così stupido da fare un birrificio da 1 milione di ettolitri, ma poi senza una distribuzione adeguata cosa farei? Poi c’è appunto il discorso della distribuzione, in una filiera medio-lunga in genere i produttori sono quelli più sacrificati nei guadagni e più esposti ai rischi. In più quello che mi rattrista è che l’Italia non sia il paese in cui tutte le aziende siano alla pari, alcuni hanno avuto pesanti finanziamenti pubblici perché hanno saputo a chi chiedere ed avevano i giusti appoggi, altri sono in regioni a statuto speciale dove l’accisa viene in parte rimborsata, altri si beano dei vantaggi del regime agricolo, quindi io che non ho avuto particolari agevolazioni o benefici, mi ritrovo con meno risorse di altri concorrenti, mentre sarebbe bello che giocassimo la partita tutti con lo stesso numero di carte.

      Ormai la parabola dell’interesse del pubblico nella birra artigianale resta elevato, ma ha sorpassato il picco, il fatturato medio degli oltre 400 microbirrifici è tale (produzione media 400 HL nel 2010 secondo UB) da non consentire volumi importanti e non voglio dire guadagni, ma il semplice recupero dell’investimento e neppure l’adozione di procedure e strumenti per un controllo della qualità ottimale, per cui a seguito di iniziative come queste del Birrificio Antoniano ci si interroga su quali contromosse o quale direzione dovrebbero prendere gente che si è impegnata la propria casa e quella dei propri genitori per sopravvivere con la propria piccola azienda. Lo stesso sarà quando grosse aziende vitivinicole che hanno distribuzioni internazionali, entreranno pesantemente nel mercato birrario. Io non rosico, anche perché ho collaborato con Interbrau e conosco la loro forza e le loro capacità, li ammiro, ma purtroppo non ho i loro mezzi e lo sapevo fin dagli inizi e quindi invece di piangere o rosicare devo capire come e dove scavarmi un solco (nicchia nella nicchia?) in cui poter sopravvivere. E per non farmi da solo un film che potrebbe essere un flop, chiedo un opinione a colleghi, amici e sostenitori del movimento che popolano la rete. A te decidere poi se vuoi solo godere, guardando gratuitamente su Cronache il reality delle birre artigianali, oppure condividere le tue idee ed i possibili rimedi con chi comunque prova ogni giorno a portare avanti un discorso di qualità e genuinità.

      • Claudio, condivido tante cose che scrivi, solo una domanda: da cosa inferisci che la parabola dell’interesse verso l’artigianato ha passato il picco? a me non pare affatto così, dati alla mano, e anche senza dati andando in giro

        attenzione a non fare l’errore di pensare che siccome si è scavallato il proprio picco personale per svariate ragioni, allora lo ha scavallato anche il mercato

        se vuoi, un consiglio te lo posso dare io: COPIARE

        sai che conosco un po’ gli States birrari, e ci sei stato anche tu. avrai notato un cosa che a me è chiara: il 90% dei micro (a star bassi) partono (e continuano) come brewpub-ristorante. spesso lavorano come dei dannati. poi magari crescono. sono aperti 7 giorni su 7, impiegano tranquillamente una 15ina di persone

        il restante 10% dei micro ha SEMPRE una taproom aperta 7 giorni su 7, con orari pomeridiani-serali ampi

        il secondo forse è un modello che non avrebbe fortuna ovunque in Italia. ma con le debite differenze di consumo, e senza tirare in ballo la solita tititera dello Stato ladro, sul primo modello ci sarebbe da farci un bel ragionamento. leggevo proprio ieri del Lariano che apre la mescita, non a caso

        • la mescita funziona solo se hai dei clienti….e se sei bravo a fare un altro mestiere….
          Negli Stati Uniti bevono come dei forsennati…da noi (a parte te).. non ne vedo molti all’altezza….
          L’altro giorno avevo in Birrificio uno dei proprietari delle Green Flash Brewing Company di San Diego…un piccolo birrificio artigianale americano che produce circa 220.000 HL x anno….lì il mercato non è come quello italiano….oltretutto stanno aprendo un nuovo birrificio gemello sulla east coast….però non c’è nemmeno un birrificio agricolo…!!
          C’è Rogue che stà lavorando con le proprie materie prime prodotte nell’azienda di proprietà..ma ne fà esclusivamente una questione sacrosanta di filiera corta….non mi risulta che abbia dei vantaggi Fiscali !
          Ripeto qui si tratta di furbate all’Italiana! Punto!

          • secondo me uno dei problemi degli italiani è quello del piagnisteo preventivo

            quando ho scritto con le debite differenze di consumo, guarda un po’, intendevo proprio questo. ma se mi permetti, ci sarà una differenza fra Green Flash a San Diego e fasciarsi la testa preventivamente perché gli italiani bevono poco. magari se gli dai i posti dove bere, e gli spieghi, vedrai con un pelo di più bevono

            con il tuo modo di ragionare non esisterebbe Green Flash (peralto non esattamente uno dei miei favoriti). e manco il Lambrate…

            ovviamente, nel locale di mescita, mica ci lavora il birraio… magari ci trovi qualche universitario con voglia di sgobbare, o un bar manager pagato per far viaggiare il locale

            poi, se volete andare avanti per i prossimi anni piangendo perché lo stato finanzia gli agricoli e gli italiani bevono poco fate pure… io fra una rosicata e l’altra prenderei esempio dai modelli di business di successo invece

        • Caro Stefano, le proposte serie e concrete sono sempre ben venute. Purtroppo lamentele e lacrime sono risultanti dalle centinaia di leggi, tasse, controlli e balzelli alle quali devi ottemperare e poi la risultante è che nessuno ti aiuta mai! Una nota azienda nord europea con stabilimenti in Toscana, ha avuto negli anni scorsi 31 milioni di euro a fondo perduto, soldi interamente dei contribuenti italiani, per adeguare l’emissione nel territorio di scorie inquinanti, mentre i piccolini vedono sempre e solo il bastone e mai la carota. Comunque visto che le lacrime contengono lisozima che è un allergene e se vanno nella birra dobbiamo metterlo in etichetta (attenzione: contiene lisozima derivante dalle lacrime del birrraio!!) smettiamo di piangere e passiamo all’azione. D’altro canto sono proprio i regnanti, sfruttatori e governanti dello stivale che ci hanno dato la creatività e la flessibilità che altrove ci invidiano.
          Birra Amiata è iscritta alla Brewing Association non per scriverlo da qualche parte e fare i fighetti, lungi da noi, ma perché sono soldi ben investiti: ti arrivano riviste molto interessanti, manuali su vari argomenti, c’è il Forum dal quale si apprendono moltissime novità o trucchi tecnici, ci sono prevendite per partecipare al CBC o GABF, puoi avere accesso ai piani marketing per lo sbarco dei birrifici americani in Cina ed altre info interessantissime. Quindi sono molto interessato a ciò che avviene negli USA, visto anche che laggiù il mercato delle birre artigianali ha una share del 20%, mentre in Italia è tra 5 e 10 volte inferiore. Quindi la voglia di “assorbire” idee e consigli da chi ha avuto successo è molta. Tra l’altro segnalo che è scaricabile da Amazon americano gratuitamente il libro di Dan Koester “The American book of craft breweries” (versione per Kindle) che da una panoramica interessantissima, anche se per certi versi scioccante, del mondo birrario americano (mi riferisco ad affermazioni tipo: ormai la birra la sanno fare solo gli americani, oppure che gli USA hanno superato i più valenti maestri etc.).
          Peccato che gli USA sono 31 volte l’Italia come territorio e 5 volte la nostra popolazione e bevono una media di 78 litri pro capite, contro i nostri scarsi 30 litri (dati Baart-haas 2011, dove loro sono 13esimi e noi 34esimi nel ranking mondiale) dove però loro hanno 2000 birrifici e noi 500. Come vedi noi siamo pochi, beviamo poco ed abbiamo un numero di birrifici troppo elevato. Come faccio a fare una tap room aperta 24/24 7/7 se l’unico pub sta aperto dal giovedì al sabato perché negli altri giorni non c’è nessuno? Infatti ho aperto a Livorno, ma le difficoltà sono enormi e comunque è già una festa quando si va in pari. Altre esperienze al di fuori di Milano, Roma o il Veneto sono state fallimentari. Non voglio citare amici e mettere al vento alcuni problemi spero transitori, ma anche tra i più blasonati ed emergenti stanno avendo grosse difficoltà a sopravvivere. Negli USA ti colpisce il fatto che la gente ama fare colazione fuori, pranzare fuori, cenare fuori e poi andare al pub. Sicuramente non tutti e 309 milioni, ma chi ha da spendere spende. Lo scorso anno sono stato in Colorado per il GABF e poi ho fatto un giro a Boulder e zone vicine. Sono andato da alcuni birrifici con tap room in capannoni sperduti che non ci arrivi neppure con il satellitare e già la mattina erano strapieni… sarà stato l’effetto GABF forse, ma comunque c’era un giro che a me brillavano gli occhi. Vendere la propria birra in fusti tra 8 e 12 euro il litro ed incassare la sera stessa, ciò che invece forse arriva dopo 90-120 giorni sarebbe il sogno di tutti i birrai, ma che molte volte non funziona. E’ un altro mestiere, ci vogliono i soci giusti, il locale giusto, c’è molta concorrenza, se apri te gli altri pub intorno non ti comprano più la birra…
          Per la parabola, in effetti è una sensazione personale non dovuta alla mia passione o all’andamento del birrificio, ma al contatto con i clienti, che forse a causa dei pochi soldi in tasca, sono meno attenti alla qualità del prodotto e del servizio. Però è facile che l’angolazione del mio punto di osservazione sia così ristretta da darmi una sensazione falsa. Concordo con te, molto meglio i dati oggettivi (il trend di consumi) che le sensazioni personali

          • Claudio, se vogliamo fare per le 700esima volta il discorso che in Italia la burocrazia e le tasse sono ad un livello folle, cosa di cui siamo tutti, ma proprio tutti d’accordo, io vi abbandono. mi pare un discorso totalmente sterile, è un dato di fatto, c’è poco da dibattere. ricordo solo che, non dico peggio di te, ma quantomeno come te, anche io sono tartassato senza pietà dalle imposte e dalle tasse, anche il Turco e chiunque ci legge, mica solo chi ha un’impresa. così, diciamolo ogni tanto, perché se vogliamo fare a gara a chi piange di più, ti assicuro che non sfiguro manco io, e non mi pare il caso poi di mettere in piazza la decurtazione di reddito subita negli ultimi anni. e ti assicuro che il peggio non è passato, ma è alle porte

            a me interessa invece dibattere il punto sul quale tu avevi chiuso il tuo precedente intervento: idee per espandersi? beh, mi pare di aver detto la mia. se poi uno non ha soldi-voglia-tempo-idee è un altro paio di maniche, ma a me pare un dato di fatto che in USA il 95% di chi apre ci fa un locale annesso, proprio per poter contare su un canale di vendita sicuro e poter partire con dimensioni economicamente vantaggiose e meno costi fissi per lt. e bada bene, non parlo nemmeno di maggiori ricarichi: al limite del discorso, un brewpub potrebbe anche chiudere in pareggio all’inizio se poi raddoppia gli utili del birrificio grazie ai minori costi fissi. in nessuna taproom ho visto il birraio dietro alle spine. e se ad Arcidosso non hai pubblico per una taproom la soluzione è così semplice: la apri in un altro posto dove c’è gente e lavori. sono tutte cose a cui uno deve pensare, se vuol fare l’imprenditore seriamente. e tu infatti l’hai fatto

            nessuno nega le difficoltà. nessuno nega le differenze. e il discorso sui volumi pro capite, se te lo vai a cercare, sono conti che avevo già fatto io mesi fa proprio su Cronache. di blasonati ne conosco qualcuno anche io e ho imparato, DA ANNI, a credere solo ai numeri, MAI alle chiacchiere. di sicuro c’è chi se la passa male, ma io vedo anche gente che piange, però poi alla fine del mese hanno speso il TRIPLO di quello che ho speso io. e allora? mi spieghino, se sono sull’orlo della rovina, come hanno fatto, che ci provo anche io. vedo birrai (mica tutti eh) che costruiscono nuovi capannoni. come fanno se tutti sono sull’orlo del collasso? te lo dico io: sono più bravi, come birrai ed imprenditori, dei loro concorrenti

            in USA i costumi sono diversi, la gente tendenzialmente tende a non mangiare mai in casa per costume. ma se ti vedi qualche dato, durante la crisi anche loro hanno un po’ cambiato rotta. tutto ciò non ha solo una spiegazione culturale, ma soprattutto economica: negli USA sono più ricchi di noi e possono permettersi cose che noi invece non possiamo permetterci. però lasciami dire due cose. come già dicevo sopra, esiste una via di mezzo fra gli USA dove qualsiasi taproom è piena alle 11 di mattina e figurarsi l’Italia come se fosse il Sudan… io credo che rimodulando l’idea ci sia parecchio spazio anche in Italia. secondo: ma qualcuno si interroga sul tipo di locali, l’ambiente, il servizio, i prezzi (già, i prezzi, a 14 euro al lt vedi che gli passa la voglia anche agli americani), la formula, dei locali italiani? secondo me se vuoi che gli italiani si comportino un po’ come gli americani, devi anche metterli in condizione di farlo. in america (o in uk) il locale è casa tua, per una serie di questione. in Italia, si dice “usciamo?” proprio perché è un’occasione, non un abitudine. segno che qualcosa vada ripensato

    • You are hoppy …ma appena scarso di comprendonio….Schigi ha ragione….vai a vedere i listini …non informato dei fatti….
      Comunque è vero non comprare birra ..buttati sul Tavernello…
      Il libero mercato funziona con regole uguali per tutti …e qui non mi pare ce ne siano….

      • Non bevo il Tavernello, ma neanche la tua birra e quella di Shigi….. che ci vuoi fare: è il mercato. Ah, dimenticavo il mio nome: Giovanni.

      • Ricci…hai ragione…però il birraio deve fare il birraio…e il publican il publican…
        Lambrate ha Fabio che fà bene la birra e Giampa che dà spettacolo…prova ad invertire le cose….
        Sono diue mestieri diversi….
        Sulla realtà Italiana ed Americana credo che la pensiamo allo stesso modo….

        I miei non sono piagnistei…sono considerazioni/puntualizzazioni su storture di sistema tutte e solo italiane e inerzia totale da parte dei Birrai …..
        Poi c’è chi come me che le cose le dice chiarmanete e chi ipocritamente le dice in privato ma non si vuole esporre in pubblico…io credo che questi signori non stanno capendo bene cosa stia avvenendo….tutto qua….
        Augurissimi a tutti!

          • Beh, qua la prendi un po’ larga pur avendo ragione.
            Diciamo che in Italia la furbizia paga, e la furbizia può essere a norma di legge o no.
            Nel caso specificio fanno benissimo a sfruttare una legge a proprio favore, rimanendo perfettamente nel lecito e dimostrando casomai che i legislatori italiani sono i soliti cioccolatai nel creare situazioni in grado di creare disparità e andare totalmente fuori bersaglio dalle intenzioni iniziali (sempre che siano quelle dichiarate) .
            Poi esistono anche i modelli di successo con ampio grado di nero, ma per esperienza personale, direi che sono altre cose. Ma non è detto che dia successo per sempre…

        • Bruno, ma inerzia de che ?!
          Quale sarebbe il tuo concetto di “non inerzia”, sbraitare su qualche forum o blog ?
          Da quello che scrivi qui e anche su altri siti sembra che tu sia l’unico dotato di sufficiente acume o intelligenza da capire cosa sta succendedo.
          E anche quando i birrai capiscono cosa sta accadendo (e non mi sembra così difficile) che si fa ? si imbracciano i forconi e si marcia verso il nuovo birrificio interbrau ? O si marcia verso la sede di coldiretti o coopagri ?
          Ti comporti come se solo tu fossi in grado di capire le dinamiche di questo mercato.
          Ma di concreto che hai fatto di diverso dagli altri tuoi colleghi ( a parte scrivere come se fossi l’unico illuminato)?
          E non rispondermi che hai tentato di creare una associazione di categoria. Una scampagnata a Fidenza non la definirei un serio tentativo.
          L’hai scritto più volte in giro per il web; “…ognun per se….”
          Di che ti lamenti ?

        • Bruno, se ti metti dietro al bancone fai fallire il locale in due settimane… per questo esistono i bar manager. ti faccio uno fra mille esempi possibili: alla taproom di Port Brewing/Lost Abbey ci trovi mica Tomme Arthur, che è peggio di te, alle spine. ci sono due ragazzotti pagati a occhio un paio di banane al mese e un bar manager, cioè un tipo che avrà almeno una 40ina che è il responsabile. di sicuro poi farà anche altro nell’azienda, ma questo è quanto. e parlo di una taproom, NON di un locale… e quando ci son stato io, per dirla anche a Claudio, era metà pomeriggio, c’era una decina di persone, mica era piena zeppa

          non so se al momento tutto ciò sia replicabile in Italia. ma là, che sanno come si lavora, se hanno bisogno di un dentista non vanno da un saldatore. come si dice a Milano, ofelè fa el to mesté, se hai bisogno di un publican, ti trovi un publican

          • Riferendomi ai tuoi precedenti interventi, devo dire che non parli con lingua biforcuta (come avrebbero detto gli indiani) ossia dici il vero. Al di là di aver espresso una tua opinione/consiglio, che tengo in altissima considerazione e di cui ti ringrazio, devo annuire sul fatto che ci lamentiamo molto. Per fortuna lo facciamo più nei momenti in cui siamo sul web che quando siamo a lavoro (lì non c’è tempo e non ci sono energie da dedicare al pianto), quindi se noi italiani ci rimboccassimo di più le mani, fossimo più attivi che contemplativi ed autocommiserativi, le cose andrebbero meglio per tutti. Mi hai detto dei locali USA io ti ho risposto di alcune esperienze o dirette o di persone che conosco, ma in effetti mi fai riflettere sul fatto che nei momenti di affanno economico si pensa ai conti (anche perché banche e fornitori ti ci fanno giustamente pensare) e ci si dimentica dell’onere/onore di fare cultura, di spiegare non solo cos’è la birra artigianale (credo che ora in molti abbiano una idea più o meno vaga), ma come deve essere il servizio, nel senso di bicchiere ideale, temperatura, risciacquo, metodo di spinatura. Spiegando alla gente tutti quanti noi quali sono le tecniche sia per la spina che per la bottiglia e soprattutto i vantaggi per il consumatore in termini di freschezza, aroma, beverinità della birra ed applicando noi stessi ai locali o facendole applicare ai clienti le stesse tecniche, magari si riesce a dirottare gli appassionati su locali con prevalenza artigianale rispetto a quelli con prevalenza industriale che alcune volte (non voglio generalizzare perché ci sono anche nei pub con birra industriale personaggi con i controc..ni) offrono un servizio più scialbo e meno qualitativo. Riallacciandomi anche alla mail di Simone, facciamo giustamente interpellanze ed azioni di protesta sulle tante storture che minano la concorrenza paritetica, ma cerchiamo di unirci e di fare tutti insieme quel che c’è da fare, proponendo idee e delegando (e retribuendo) qualcuno che le implementi e le porti avanti, per far crescere le aspettative in termini di prodotto e di servizio da parte dei consumatori. In USA ormai ci sono i locali con 300 schermi televisivi e le ragazze al bancone con il cappello da cowboy che servono la Miller draft e ci sono i locali più impegnati sulla qualità e sulla cultura, che servono in prevalenza le artigianali. Tanto per dire al Farmhouse di Chicago ho conosciuto oltre al manager di sala, il beer expert ed il wine expert, che si occupano della carta delle bevande, degli approvvigionamenti, delle serate ed anche di semplici consigli ai clienti. Per noi questa è ancora fantascienza, ma la direzione della qualità e della professionalità è sempre e soltanto quella. Non è perché siamo in quasi 500 dobbiamo pensare che lo devono fare gli altri e noi possiamo esimerci. Forza, c’è da rimboccarsi le mani… Per concludere i miei interventi in questo post, cito un’altra frase di Sandro Vecchiato (ma anche di molti manuali di marketing ed impresa) “noi (di Interbrau) cerchiamo di capire dove andrà il mercato tra 5 anni, dove deve essere l’azienda tra 5 anni, che cosa deve saper fare di nuovo tra 5 anni e poi pianifichiamo le attività necessarie a ritroso fino ad arrivare ad oggi. Così sappiamo già da domani mattina quali sono i passi o le cose da fare per essere tra 5 anni, puntuali all’appuntamento”. Quindi mettiamoci a tavolino anche noi e decidiamo da domani cosa fare per essere ancora vivi e vegeti tra 5 anni in un mercato più consono e più stimolante

          • ti porto il caso di Russian River, dove sono stato un mesetto fa. la regione è benestante, ok, ma non mi dirai che Santa Rosa è come San Francisco, o Chicago, o Milano… eppure il locale in una serata qualsiasi era pieno zeppo. e dovevi sentire con quale serietà e competenza mi è stato servito il tasting set, anche se l’inserviente avrà ripetuto 1000 volte la stessa solfa. sono dettagli che fanno la differenza

            poi in Italia ci si dimentica di un fattore non trascurabile: il tempo. quelli sono partiti un pezzo prima di noi, anche loro ne avranno masticata di polvere…

            poi nessuno nega che l’Italia non siano gli USA. ma prendere esempio si può

    • Sei contento di vedere una multinazionale prendere piede in un mercato fin ora semi-libero??? Bravo… poi nn ti lamentare della paguccia di cui sarai costretto ad accontentarti fra qualche anno e della condizione di suddito in cui sarai costretto a vivere… questa è la strada..

  9. Sono d’accordo con I am hoppy. Come se chi produce birra lo fa per non guadagnarci… Tanta ipocrisia, molti piagnistei; i Vecchiato “sfruttano” le leggi esistenti? Se faranno una buona birra, la venderanno, come tutti del resto. Sembra quasi di rivedere la querelle sugli agriturismo: quanti hanno approfittato della legge per non pagare (o pagare meno) tasse? Poi alla fine se si mangia bene si torna, in caso contrario si va da un’altra parte.

  10. sono Luciano Masocco, sono di Feltre e sono nato nel 1961, ho frequentato la scuola per Birrai di Pedavena nel 1975 e dal 1978 dopo essermi diplomato lavoro come birraio in Italia.
    Sono il birraio di Interbrau citato a mio malincuore sul vostro “ blog ? “e su MoBi , birraio che ora lavora con Stefano Cossi e Giada Maria Simioni a questo importante progetto di Interbrau, e do il buongiorno a tutti indistintamente.
    Preferisco iniziare così anziché citare tutti quei graziosi nomi dietro i quali sicuramente, si celano esperti e qualificati birrai ?…bevitori di birra ? critici dell’ultima ora ?…non saprei…le cose che si leggono da certi interventi, ovviamente non tutti, fanno pensare più alla mia seconda ipotesi !!
    Trovo che celarsi dietro un “ nick name “ o un qualsiasi altro pseudonimo per dare giudizi sull’operato di chi nemmeno si conosce, di cui non si sa ne l’età ne la vita professionale ne tantomeno se questa persona sia come dire….felice di sentirsi citare da perfetti sconosciuti, trovo che sia davvero una cosa poco degna , fermo restando che pur sapendo che il rispetto verso gli altri non è cosa da tutti, avendolo io insegnato ai miei 2 figli ora di 20 e 30 anni, mi verrebbe da “sperare “ che, questo prezioso insegnamento fosse impartito anche dagli altri genitori, ma purtroppo mi rendo conto leggendo queste cose che così non è, ma pazienza.
    Non entro nel merito delle diverse interpretazioni legate ai progetti di Interbrau in quanto sicuramente i proprietari dell’azienda non hanno bisogno delle mie giustificazioni o spiegazioni per far capire quale sia realmente il loro obiettivo, come sia nato e su quali presupposti si basa e comunque nel pieno rispetto innanzitutto della birra e sicuramente del mondo birrario in generale.
    Mi spiace leggere come un intervista fatta quasi per gioco e con le classiche domande preconfezionate possa diventare strumento di giudizio da parte di qualcuno, le domande fatte da certi giornalisti hanno la valenza delle domande che vengono fatte nei sondaggi o in altre situazioni molto poco professionali ma più ludiche e come tali credo, debbono essere prese, ma forse…c’è qualche giornalista anche in chi scrive nei blog ???
    Non mi sento come dire “ ferito “ da queste affermazioni che per me lasciano il tempo che trovano, preferisco passare il mio tempo a fare birra per chi lavoro e, nei week end, andare a farla per me e per i miei amici, piuttosto che passarlo a criticare persone che non conosco, ma avendo letto alcune battute di quei commenti mi vien da sorridere, potrei citare centinaia di cose , aneddoti, esperienze e altro che nei miei 37 anni di vita in fabbriche di birra mi sono capitate, ma non mi interessa farlo, però posso dire che so anche io come si chiama….una lager scura o meglio come viene chiamata ora.( su MoBi qualcuno ha pensato che non lo sapessi : ) )
    Nel 1977 però, quando nella famosa Birreria Pedavena si beveva ancora oltre alla Pedavena la Dreher scura, da noi birrai giovani e alle prime armi, dai veci birrai di una volta, veniva chiamata così, una bionda che sembra una scura, non dunkel, non una Bock o una Schwarz beer ma una bionda scura, perché a noi tutti, piaceva chiamarla così ed ecco perché nella famosa intervista, per la quale andrò sicuramente a confessarmi a breve, mi sono permesso di chiamarla così. !!
    Inoltre mi fa piacere che il non so come si chiama ( di MoBi ) preferisca l’esatto contrario di quanto io ho detto nell’ intervista, mi fa piacere che lui preferisca la Peroni alla Moretti, entrambe birre di qualità per il segmento nelle quali entrambe vogliono collocarsi, mi fa piacere che si beva una Pilsener Urquell, birra che ho avuto il piacere di bere proprio nella storica fabbrica e che è anche tra le mie birre preferite, ma mi fa purtroppo poco piacere pensare che la libertà, la comodità e la flessibilità che ci offre di questi anni la tecnologia, e per questo intendo pc, Internet, blog e quant’altro, siano utilizzati così in maniera “ senza stile “ giusto per riferirmi ad altro intervento di qualcuno, mi spiace che persone delle quali preferisco non sapere l’età per evitare inutili retoriche, mi spiace dicevo, che si presentino così poco intelligenti, così poco rispettose direi, così poco“ capaci di star al mondo “ mi viene da dire, essere capaci di stare al mondo significa rispettare ed essere rispettati ovunque si vada, sia a fare birra come me e come tanti altri miei colleghi birrai della scuola di Pedavena ove ci siamo fatti le ossa forse quando qualcuno degli esperti che giudicano gli altri in questi tanto meravigliosi quanto virtuali blog, non erano ancora nati.
    Cari ragazzi, fare birra non è un gioco, è una passione, fare birra come la si faceva una volta è qualcosa di più, quando ti portavi i sacchi di malto da 50 kg per centinaia di scalini, quando entravi nelle caldaie di rame a fine bollitura a lavarle con la soda caustica bollente o quando si lavavano i serbatoi di stagionatura, a 0, ° di temperatura e con lo spazzolone per poi disinfettarli con la formaldeide che ci entrava negli occhi e nel cuore oppure quando si passavano giornate a tagliare le balle del luppolo in fiore apprezzandonele meravigliose essenze che da esso scaturivano , ebbene, per rispetto di tutto questo e di quanto non sto a narrare ma che è stata la mia gioventù birraria e di tanti altri miei esimi colleghi , per rispetto di tutto questo ho ritenuto opportuno dire la mia.
    Non vi annoierò di certo con altri interventi ne risposte ad altre esternazioni poiché non fa parte del mio modo di vivere scrivere sui blog , ma non per questo ritengo che la cosa sia fuori luogo in quest’epoca, ho solo voglia di sperare che il rispetto per le persone, per le diverse professioni di ogni uomo, e soprattutto il rispetto per i birrai in genere, siano essi vecchi birrai come me piuttosto che giovani birrai sicuramente altrettanto capaci e seri, non venga mai meno e che eventuali giudizi, semmai uno si senta così superiore agli altri da poterli dare, vengano espressi con valutazioni tecniche, costruttive ma, soprattutto, non basandosi su interviste, o quant’altro di poco “ serio “ possa fare comodo per criticare le persone.
    Auguro a tutti buona salute e buona birra….qualsiasi essa sia, se uno l’ha scelta è di certo per lui la migliore !! Don’t forget It

    Luciano

    • Premetto che ho cancellato una frase del tuo commento perché offensiva nei confronti di altre persone.
      Per il resto non entro nella questione, ma credo che tu stia facendo un po’ di confusione, probabilmente per mancanza di conoscenza di uno strumento come questo blog. In particolare:
      – C’è una differenza tra chi scrive gli articoli del blog e chi li commenta. I primi sono frutto del curatore (cioè io), i secondi dei lettori. Finché si rimane nei limiti della civiltà, io non devo rispondere delle opinioni dei miei lettori. Tra cui ci sei anche tu.
      – E’ da un bel po’ di tempo che sul blog porto avanti una politica chiara nei commenti: non amo il ricorso agli pseudonimi – ma è concesso – e se si critica qualcosa o qualcuno è giusto che lo pseudonimo sia associabile a una persona reale.
      – Il fatto che tu non conosca a chi appartengono gli pseudonimi usati in questa pagina denota poca conoscenza dell’ambiente, concedimelo.
      – Tanto che tra gli stessi ci sono anche birrai che stimo molto per il lavoro che fanno, che a quanto scrivi è un elemento discriminante fondamentale.
      – Se hai problemi per quello che è scritto su MoBI, rivolgiti a loro, non qui. Perché ammesso e non concesso che lì ci siano offese, qui di certo non ce ne sono.

      Detto questo, in bocca al lupo per la tua avventura.

    • Dietro i nickname di alcuni di questi commenti si “celano” ottimi birrai di grande competenza e qualifica; come detto da Andrea.

      A margine di questo, aggiungo solo che personalmente non vedo male l’iniziativa di Interbrau; anzi. Le perplessità riguardano giusto l’utilizzo del regime fiscale “agricolo”, cosa abbastanza ridicola in questo caso e probabilmente (ma qui potrei sbagliarmi. il mastro potrebbe chiarirlo meglio di tutti) la scelta di rivolgersi verso una tipologia di birra più “casual” rispetto a tutta l’evoluzione che ha avuto il mercato craft negli ultimi anni.

  11. la storia dei nickname ha stufato,quel che conta è il commento,se uno non vuol essere commentato( non inquisito ) non sa stare al mondo ,non si può piacere a tutti…

    anche io sono fortemente contrario a queste forme truffaldine che permettono di pagare meno,agriturismi ,circoli arci,birra agricola(che fa anche ridere),perchè se il principio iniziale è sano,99 volte su 100 se ne sfrutta solo la possibilità con abili voli pirotecnici.
    detto ciò purtroppo la colpa non è loro ma di chi lo permette…sempre loro

    sarò un pizzico prevenuto nell’assaggiare questa futura birra,non credo che da un progetto di queste dimensioni che parte da zero ne nasca un nettare degli dei,anzi sarà la birra artigianale più venduta,sai che roba.
    continuerò a spinare e bere altre cose…

  12. Grazie Andrea. Conosco poco Amiata, ma durante un tasting panel a Schneider la loro Bastarda Rossa e’ risultata la piu’ apprezzata tra le 10 che abbiamo assaggiato, quindi complimenti. Volevo solo dire che spesso tra questi commenti ho letto affermazioni assolute sul birrificio date senza cognizione di causa. Io mi atterrei strettamente a quello che c’e’ scritto nel post, perche’ il rischio e’ di giocare al telefono senza fili.

    • Cara Giada, sono Claudio, uno dei (2) Fratelli Cerullo. Grazie dei complimenti! Comunque lungi da me dare indicazioni a vanvera, preferisco tacere che dire fesserie tanto per dirle, preferisco essere che apparire. Premetto che ormai l’età ormai è t…anta quindi la memoria può fare brutti scherzi, però allo Zythos 2012 durante una delle più belle discussioni sul mondo della produzione e della distribuzione della birra in Italia e sulle strategie possibili a cui abbia mai partecipato, nella quale Sandro Vecchiato ci onorò di intrattenersi, rivelò che i volumi non iniziali, ma di riferimento a cui stava pensando erano i 50.000 HL, espandibili poi a 100.000 HL se le cose poi fossero andate bene. D’altro canto, se mi avesse detto tra 5 mila e 10 mila HL non mi avrebbe stupito, visto che sono le dimensioni dei Mastri Birrai Umbri, di Birra del Borgo, Baladin, Lambrate ed altri che al momento non rammento. Sempre nella stessa occasione ci parlò del marchio di Itala Pils. Da Aprile non ne abbiamo mai fatto cenno per confidenzialità, ma adesso che viene presentato il progetto, a farne menzione non credo si siano svelati segreti industriali o retroscena. Mi piace fare la birra ed in cuor mio mi piacerebbe produrne tanta e buona. Sono affascinato da chi riesce a dar vita ad un progetto importante, sia che esso rappresenti un sogno o una strategia, l’importante è che non sia un modo per succhiare aiuti europei, statali, regionali o per fare speculazioni. Conoscendo la competenza, la serietà e la qualità di Interbrau, sono certo che fa parte di un disegno molto articolato, positivo e pertanto auguro ai Vecchiato, a Stefano, al Mastro Birraio Masocco, una persona che stimo ed una delle poche che può definirsi mastro birraio e non solo birraio ed a tutti gli altri che collaboreranno al progetto, i miei migliori auguri

  13. Sarà perchè sono Feltrino anche io ma nella sua mail Luciano ha detto solo parole sacrosante (a parte che a me fra Peroni e Moretti piace più la Peroni, anche se ora il buon Pasa con Superior ha fatto un gran bel lavoro :)).

  14. Ciao, sono un homebrewer abbastanza recente, sto seguendo dei corsi e seguendo la mia passione per questo mondo, approfondendo le conoscenze, l’esperienza si farà. Ho trovato sia il post che i commenti estremamente interessanti. Per noi consumatori finali, appassionati e di fatto clienti, conoscere altri aspetti oltre al “semplice” gusto della birra è importante.
    Non sto a commentare un ambito che non conosco personalmente, mi limito per ora ad assaggiare e capire. Ma spesso la difficoltà è proprio qui. Lavoro a Milano, ci sono pub interessanti con spine interessanti e di qualità, anche se per la città che è si contano sulle dita di una mano. Fuori dalle città la situazione è ancora più triste. Si trova qualcosa, ma dopo varie ricerche e anche cocenti delusioni.
    Ci sono appassionati publican, gente capace di proporre e incuriosire, ma sono pochi! E quindi è ridotta la possibilità di assaggiare deludenti, normali, buone, ottime e fantastiche birre! A ognuno la sua.
    Sono contento di leggere l’opinione di tanti stimati birrai, soprattutto per quanto riguarda la possibilità (ridotta) di avere delle spine e quindi un mercato ma qui è la chiave.
    Da consumatore appassionato con amici appassionati vi confermo che l’interesse c’è, ma ancora manca la possibilità di bere con facilità. Forse la via dei brewpub può essere valida. Non so. Spero solo di assaggiarvi presto e con facilità.

  15. Qui il discorso è ampio… sicuramente sostenere che la birra agricola non sia una furbatina mi sembra un pochino eccessivo… e anche dire che in italia si possa produrre economicamente un malto paragonabile a quello continentale non mi risulta.. spero di sbagliarmi e poter in futuro usare un malto italiano di qualità.. ma storicamente il malto italiano è sempre stato inferiore…
    Bello invece che si cominci a parlare di luppolo e lievito.. li si c’è spazio per crescere.
    Quanto alle politiche commerciali di interbrau credo siano abbastanza chiare e legittime, ma ovviamente non credo gli possa interessare molto il benessere dei micro italiani…
    Io conosco bene il mondo birraio artigianale italiano, fatto per la magior parte di persone che lavorano con il cuore piuttosto che con il portafogli, le multinazionali sono un’altra cosa.. e questo credo sia innegabile.
    Stiamo a vedere.. ma se le cose restano come sono produrre birra artigianale in piccola scala in italia rimarrà antieconomico. Punto.
    Per quanto riguarda il locale di mescita stefano, o hai dei soldi veri da investire o conti alla mano è meglio lasciar perdere.. Parli di dipendenti, bar manager ecc. ecc. Ma qui siamo in Italietta nn in america, se paghi il bar manager non magni più te che hai fatto l’investimento, e se pensi di fare birra e stare anche dietro ad un locale ti conviene ordinare contemporaneamente anche la bara perchè dopo pochi mesi schiatti (Forse anche prima di aprire). Tu fai l’ottimo esempio del lambrate.. grazie al cazzo, prova ad immaginare quanto può costare solo il locale vecchio (senza birrificio intendo) e poi vedi che ti innamori ancora di più del tuo lavoro dipendente… rientrare oggi di una cifra simile fidati che ti fa tremare un po’ tutto.. Qui abbiamo a che fare con clienti che bevono una birra in due.. ti lascio intuire il perchè.
    I colossi non hanno mai fatto bene ai piccoli, nemmeno quelli che vendono porcherie totali, figurarsi adesso che si mettono a fare la concorrenza anche sulla qualità…
    Non resta che scavare la nicchia della nicchia.. cercando di raccogliere le briciole.. Sperando in tempi migliori in libertà…

  16. Claudio perchè vedi i beer firm come un ostacolo… io credo piuttosto che possano essere una risorsa per chi ha impianti da far girare..

    • Ho scritto molto, forse troppo, ma non mi pareva di aver espresso frasi contrarie ai beer firm. In tal caso mi scuso, noi produciamo anche per terzi e sarebbe come sputare sul piatto in cui mangiamo…
      Credo che sia valido l’approccio di chi prima si crea un canale distributivo e poi investe, di chi crea birre per passione, pur non avendo un impianto, non mi piacciono assolutamente quei personaggi che coltivano il culto della personalità ed investono nella pubblicità a loro stessi come grandi birrai, solo perché hanno elaborato delle ricette senza aver mai avuto i problemi dei birrai e tirato fuori i soldi (o mutui) dei birrai

  17. Buongiorno a tutti.
    Alcuni di voi sanno che ho un ruolo attivo nel mondo della birra artigianale italiana, ma ho piacere di intervenire, in particolare seguendo l’intervento di Claudio Cerullo, per esprimere le mie opinioni in questa sede. Si sono affrontati argomenti molto diversi fra loro, che analizzo separatamente. Parto dalla questione “birrifici agricoli”: come detto più volte il legislatore ha messo le basi per creare storture di tutti i tipi. In questo contesto gradirei conoscere (di alcuni agricoltori so) l’opinione sull’operato delle associazioni che ieri e oggi sbandierano come un successo l’ottenimento dello status di “birra prodotto agricolo”. Il provvedimento ha portato vantaggi al settore? Tale vantaggio quale tipo di ripercussione positiva avrà per la società?
    Mi lego alla seconda parte del discorso: il danno è fatto, cerchiamo di capire come girare la questione e renderla utile a tutti.
    Tutti chi?
    È una banalità, ma non vedo alternative. Se i birrifici artigianali italiani non vedranno la propria attività inserita in un “movimento culturale” che li deve coinvolgere potenzialmente tutti, assieme agli altri attori del mercato, consumatori compresi ovviamente, non vorranno spendere tempo ed energie per crescere dal punto di vista tecnico e imprenditoriale, prendendo coscienza della propria posizione nel mercato e nel “sistema”, non vorranno vedere i punti in comune da condividere e non vorranno organizzarsi per affrontare una situazione certamente difficile, il futuro sarà probabilmente plumbeo.
    Ho scritto anche troppo: finisco dicendo che, come birrifici artigianali italiani stiamo vivendo un momento d’oro e non è assolutamente tardi per analizzare le idee che ognuno di noi può mettere in campo.

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