Come forse avrete letto, una delle birre più apprezzate al Villaggio della Birra appena concluso è stata la Polska di Amiata. Il dato è molto curioso perché si tratta di una produzione di non facile approccio, basata su una ricetta molto particolare: solo 100% frumento, per di più maltato su legno di quercia. Il risultato è una birra con note affumicate e acidule, che almeno sulla carta potrebbero spaventare più di un bevitore. In realtà i Cerullo sono stati bravi a bilanciare le varie sfaccettature della ricetta, riuscendo nella non facile impresa di realizzare una birra di successo. Il valore della Polska è ancora maggiore se poi pensiamo che appartiene a uno stile praticamente scomparso, quello delle Gratzer. Dunque non solo è una creazione godibile, ma anche strettamente legata a tradizioni brassicole ben precise.
Le Gratzer sono infatti birre ormai estinte, prodotte fino a qualche decennio fa in una regione che oggi appartiene alla Polonia (ma in passato alla Prussia). Non torno sull’argomento, visto che ne ho ampiamente parlato in un recente articolo. Piuttosto nel post di oggi mi interessa ripercorrere tutte le birre italiane che possono essere paragonate alla Polska in termini di recupero di cultura birraria. In altre parole, quelle creazioni associabili a stili rari o quasi completamente scomparsi, che i nostri birrai in questi anni hanno riproposto secondo la loro interpretazione e la loro sensibilità. Se volete provare una birra davvero diversa dal solito, oppure contribuire alla salvaguardia di stili a rischio di estinzione, date un’occhiata all’elenco che segue.
Marsilia (Amiata) – Prima della Polska, i fratelli Cerullo avevano già dimostrato una certa attenzione alle tradizioni brassicole dell’Europa con la loro Marsilia. Appartenente alla linea Birra del Buttero, questa creazione è brassata sul modello delle Gose tedesche: birre di frumento, aromatizzate con coriandolo e sale e prodotte con l’impiego di lattobacilli – questi ultimi però mancano nella Marsilia. Il risultato è a mio parere eccezionale e apre nuovi orizzonti agli abbinamenti con il cibo, obiettivo al quale punta la linea in questione. C’è un’altra birra italiana prodotta con sale (di Cervia): è la Saltinmalto di Bi-Du, che tuttavia non prevede l’aggiunta di frumento oltre al malto d’orzo.
Nanorò (Grado Plato) – Come ho più volte scritto su queste pagine, la birra è un prodotto molto diffuso anche tra le popolazioni dell’Africa, dove però vengono utilizzati cereali alternativi all’orzo. Nel 2008 Sergio Ormea decise di sostenere la comunità del villaggio di Nanorò (Burkina Faso) con una birra omonima, realizzata con l’impiego di miglio. Anche se non si tratta di uno stile birrario preciso, l’ispirazione proveniente da altre culture brassicole rientra pienamente nello spirito di questo post. Se ne volete sapere di più sulla Nanorò, vi rimando a questo articolo che scrissi a suo tempo.
Sticher (Grado Plato) – Ancora Sergio Ormea in passato si è cimentato con questa versione “muscolare” delle Altbier di Dusseldorf, denominata Sticke. E’ una tipologia davvero poco diffusa anche nella regione delle Alt, di cui la Sticher credo sia l’unica rappresentante in Italia.
Madamin e Dama Brun-a (Loverbeer) – Se c’è un birraio italiano che più di ogni altro si è dedicato a produzioni particolari, questo non può essere che Valter Loverier. Tra le sue produzioni si distinguono anche queste due Oud Bruin, appartenenti a uno stile belga assai raro anche in patria. Il valore aggiunto è l’ottimo livello qualitativo delle birre, al punto che potrebbero essere considerate un modello di riferimento persino nello stesso Belgio.
Pecan e Jatobà (San Paolo) – Nella gamma del birrificio torinese troviamo sia modernità che attenzione alle tradizioni. Le due birre in questione appartengono rispettivamente allo stile delle Koelsch e delle Alt, rare alte fermentazioni tedesche delle città di Colonia e Dusseldorf. Si tratta di tipologie birrarie non diffusissime, ma che diversi birrai da tutto il mondo propongono regolarmente.
Working Class (Toccalmatto) – Nel Regno Unito il Camra ha salvato dall’estinzione lo stile delle Mild, riuscendo persino a rilanciarlo. Ora è ampiamente prodotto in patria e non sono pochi i birrai stranieri che si cimentato in questa particolare tipologia. In Italia troviamo diverse interpretazioni, tra cui questa Dark Mild di Toccalmatto. Segnalo anche la Mild di White Dog, prodotta in Italia da un birraio inglese: Steve Dawson.
Personalmente quando incontro birre del genere sono sempre molto felice. Sono forse prodotti poco remunerativi per il birrificio, perché spesso di non facile approccio da parte della massa dei consumatori. Eppure possiedono la grande capacità di comunicare la passione del birraio: non tutti hanno interesse a scavare nelle radici brassicole d’Europa oppure il coraggio di proporre un’antica birra dal gusto non immediato.
Avete altre produzioni italiane da aggiungere al mio elenco?
Ottimi spunti, grazie mille!
Andrea, ti segnalo la “Say No More”, brassata da Birranova per il locale Infermento, sul modello delle Sticke.
Ok grazie Angelo
non ha uno stile preciso,ma il birraio sostiene di aver seguito(dopo aver riadattato)una ricetta del 170.la febbre alta del troll?puo andare bene come stile obsoleto?
Anche la “cecco beppe”, one shot di Toccalmatto, per lo stile Vienna.
Eh sì, certamente
ho bevuto la polska e devo dire che è un birra veramente ben fatta molto equilibrata e con l’affumicato non invadente. l’ho abbianata in due occasioni differenti ad una classica grigliata all’italiana salsicce arrosticini etc etc e ad una preparazione basca (putxera) di fagioli in umido e vari tagli di maile cotti con un fornello a carbone. leggermente acidula è perfetta per sgrassare la bocca dopo questo tipo di cibarie
PROST!!!