È risaputo che gli ultimi giorni dell’anno possono riservare sorprese importanti, come una delle collaborazioni brassicole più attese in Italia. Recentemente è stata infatti annunciata la Moka Ciok (8,5%), una Pastry Stout – ma non chiamatela così! – frutto dell’incontro tra i birrifici Crak (sito web) e Alder (sito web), entrambi in pieno hype. La base è quella di un’Imperial Stout che prevede l’aggiunta di cioccolato, caffè, vaniglia e lattosio, ma nel segno della qualità. Non aspettatevi infatti sentori fake o aromi artificiali, perché per l’individuazione degli adjuncts sono state compiute scelte ben precise: il cacao è stato selezionato insieme alla Chocolate Academy di Milano e contiene solo l’1% di grassi; il caffè invece è una varietà coltivata in Camerun a 2.000 metri di altitudine fornito grazie alla collaborazione con la microtorrefazione Caffettin. Il risultato è una birra intensa e cremosa, con decise note di cioccolato e caffè che non virano mai sull’acido. Per assaggiarla però dovrete recarvi presso la tap room di Crak.
Sono sempre di più le birre italiane ispirate ai viaggi compiuti dai nostri birrai negli Stati Uniti, come le due che presentiamo di seguito. La prima si chiama Hop Lagoon (6%) ed è l’ultima nata in casa Hilltop (sito web): una Hazy IPA morbida e profumata realizzata con una percentuale di avena maltata e luppolata con varietà Ekuanot, Mosaic e Polaris. La seconda arriva invece dal birrificio MC-77 (sito web), è stata battezzata Tour du Vermont (7,2%) e presenta anch’essa avena nella base fermentescibile. Qui però la parte interessante riguarda il lievito, perché oltre al ceppo Vermont è stato usato un Saccharomyces Bruxellensis Trois originariamente isolato da una bottiglia di 3 Fonteinen. Il risultato è una classica IPA in stile New England in cui il Sacc aggiunge delicate note di mango e ananas e una sfumatura funky.
A proposito di Stati Uniti, si comincia anche in Italia a parlare di No Boil IPA o Raw IPA, India Pale Ale di stampo americano che non prevedono la classica bollitura del mosto, sulla falsariga di alcune antiche consuetudini brassicole spesso legate al Nord Europa. È una tecnica che teoricamente fornisce vantaggi soprattutto nella creazione di Hazy IPA (cioè di birre opalescenti), ma sull’argomento torneremo magari con un articolo dedicato. Per il momento sappiate che il birrificio Godog (sito web) ha recentemente lanciato la sua No Boil IPA, chiamata In This Timeline We Dont’ Boil IPA, aggiungendo una percentuale di segale non maltata al grist. La fase della bollitura è stata totalmente bypassata – a volte in queste birre viene effettuata comunque, a temperature ridotte o per periodi molto limitati – e la luppolatura è avvenuta direttamente in whirpool,oltre che a freddo durante la fermentazione.
L’altra No Boil IPA italiana è la Series #10 del siciliano Rock Brewery (sito web), che presenta molti punti in contatto con quelli di Godog. Anche in questo caso la fase della bollitura è stata totalmente eliminata dal processo produttivo e il luppolo è stato aggiunto direttamente nel whirpool. Le similitudini continuano con il dry hopping (varietà Simcoe) e con la presenza di un cereale aggiuntivo al classico malto d’orzo, sebbene in questo caso la scelta sia ricaduta sull’avena (in fiocchi). Sarebbe interessante confrontarle e comunque capire come i birrifici italiani hanno cominciato ad approcciare questa tipologia poco conosciuta e molto particolare.
Di Rock Brewery inoltre va segnalata anche la Series #09, appartenente alla famiglia delle Italian Pils, che finalmente sta cominciando a essere riconosciuta anche fuori dai nostri confini nazionali. Grande attenzione è stata posta sulla composizione dell’acqua, modificata con un impianto a osmosi inversa per avvicinarsi al profilo delle tradizionali ricette boeme. Per la luppolatura è stata scelta la varietà Ariana, giovane tipologia tedesca che si contraddistingue per note floreali e agrumate (in primis pompelmo). È una birra con un buona secchezza, in cui la parte del cereale è bilanciata da un deciso amaro finale.
Concludiamo con la bellezza di tre novità assolute provenienti da Il Maglio, marchio nato nel 2016 come beer firm ma poi diventato birrificio già a fine 2017. Recentemente l’azienda ha inserito nella propria gamma alcune basse fermentazione totalmente inedite, battezzate – coerentemente con le altre creazioni del produttore – con il nome della tipologia cui appartengono. Così la German Pils (5%) è una birra equilibrata e leggermente amara, la Vienna (4,7%) un’ambrata dal sapore di biscotto e caramello elegantemente bilanciato dal luppolo, la Munich Dunkel (5%) una birra tendenzialmente dolce ma anche facile da bere. Da sottolineare che tutte le birre sono realizzate ricorrendo alla tecnica della decozione che, a fronte di un tempo di produzione maggiore, di base garantisce un miglior risultato finale in termini di pienezza della bevuta.