Nel momento in cui sto scrivendo dovrebbe essere terminata la conferenza stampa di presentazione di Birra Napoli, avvenuta nella città campana alla presenza del sindaco Luigi De Magistris e dei giornalisti presenti. Il nome malizioso di questa novità contribuirà sicuramente a far rizzare le orecchie a molti di voi, ma prima di lasciarvi prendere da una spasmodica curiosità sappiate che all’evento erano presenti i massimi rappresentati di Peroni: il Direttore Relazioni Esterne e Affari Istituzionali, l’Innovation Brand Manager e il Direttore dello stabilimento di Roma. Uno spiegamento di forze non indifferente, che dimostra l’interesse di Peroni – ricordiamolo sempre, azienda controllata dalla multinazionale giapponese Asahi – di sostenere questo suo nuovissimo brand. Percorrendo però una strada ricca di insidie, soprattutto se l’attenzione si rivolge dalla parte dei consumatori.
Il legame di Peroni con la città di Napoli ha invero una giustificazione storica che risale ai primi decenni del XX secolo, quando era già una realtà molto importante nel panorama brassicolo nazionale. Nel 1924 fu inaugurato il nuovo stabilimento di Bari dalla capacità di 25.000 hl annui e da quel momento iniziarono diverse acquisizioni in tutta l’Italia centro-meridionale. Nel 1926 fu assorbito il birrificio dell’Orso & Sanvico (Perugia), nel 1929 la Birra d’Abruzzo (Castel di Sangro) e nello stesso anno, finalmente, le Birrerie Meridionali di Napoli con la costituzione della Società Anonima Birra Meridionale. Inoltre cinque anni più tardi, tramite le Birrerie Meridionali, fu assorbita anche Birra Partenope.
Le Birrerie Meridionali rappresentarono un marchio storico per Napoli. Furono fondate nel 1904, venticinque anni prima dell’acquisizione da parte di Peroni, grazie all’apporto di capitali italiani, svizzeri e belgi. La fabbrica era situata in via Nuova Capodimonte, nel quartiere Stella, alle porte della città e nel 1919 lanciò sul mercato la sua Birra Napoli. Dopo aver ottenuto il controllo dell’azienda, Peroni ne utilizzò a lungo gli impianti e nel 1943 un gruppo di lavoratori impedì alle truppe tedesche di minare lo stabilimento, che tornò a produrre birra già nel 1944. L’ultimo atto del polo di via Nuova Capodimonte risale al 1955, quando Peroni decise di smantellarlo per spostare la produzione nel nuovo impianto sito in zona Miano.
Il legame tra Peroni e Napoli si interruppe nel 2005, a causa delle nuove strategie imposte dalla multinazionale Sab Miller, che due anni prima aveva ottenuto il controllo dell’azienda italiana. Il polo di Miano – che, se non sbaglio, nel frattempo era stato convertito in un semplice stabilimento d’imbottigliamento – fu venduto e al momento è oggetto di un importante progetto di restyling urbanistico curiosamente battezzato “La Birreria”: diventerà un centro commerciale e polifunzionale, grazie al quale sarà possibile riqualificare il quartiere. L’ultimo rapporto, non necessariamente produttivo, tra Peroni e Napoli risale dunque a quasi quindici anni fa.
Ora però Peroni è pronta a rilanciare il brand Birra Napoli con una strategia commerciale abbastanza aggressiva. A livello di packaging la birra sembra da una parte ripercorrere le strategie comunicative delle produzione crafty, dall’altra utilizzare elementi di coinvolgimento nazional-popolare. Così non si può non notare la predominanza del colore azzurro sull’etichetta e sul tappo, i nomi dei quartieri della città a circondare il marchio e la tagline “Partenopea come te” che enfatizza il senso di appartenenza. Contemporaneamente risaltano la data di nascita di Birra Napoli (1919), che si collega al senso della tradizione, e la scritta “100% orzo e grano duro campano”, che spiega la provenienza di alcuni ingredienti. Analogamente a quanto accade per molti prodotti crafty, il logo Peroni non emerge tra gli elementi caratterizzanti dell’etichetta.
È chiaramente un’operazione dai forti connotati commerciali, che in qualche modo era stata testata lo scorso anno con l’edizione limitata di Nastro Azzurro – brand di proprietà di Peroni – dedicata alla città partenopea. Ma il problema non è tanto nelle scelte di marketing, più o meno condivisibili, quanto nella liceità del nome, considerando che Peroni da anni non possiede più stabilimenti produttivi a Napoli. Una situazione che ricorda quanto accaduto con Birra Messina: nel 1988 lo storico marchio siciliano fu rilevato da Heineken e divenne oggetto di una controversia a livello legale. Dopo l’acquisizione, infatti, la multinazionale olandese mise in atto un lento trasferimento della produzione in altri stabilimenti, tanto che nel 1999 la fabbrica messinese era ormai preposta solo all’imbottigliamento. Heineken continuò a utilizzare il marchio Birra Messina anche quando, nel 2007, gli impianti siciliani furono chiusi e l’intera produzione era ormai effettuata a Massafra, in Puglia. Fu allora che l’Antitrust intervenne, condannando la multinazionale per i riferimenti ingannevoli alla città di Messina, ormai totalmente estranea al prodotto.
Qualcosa di simile sta ora accadendo con Birra Napoli e non credo che bastino i cereali di provenienza campana a giustificare l’uso di un marchio che presuppone uno stretto legame produttivo tra la birra e la città. E questo nonostante Peroni sia regolarmente proprietaria del marchio: lo era anche Heineken con Birra Messina, ma ciò non ha impedito all’Antitrust di intervenire. Vedremo cosa ne sarà di Birra Napoli. Legare un prodotto a una città è un’operazione che, per quanto ruffiana, è del tutto lecita. Purché ovviamente il legame sia giustificato: in caso contrario si sta solo confondendo in maniera inopinata il consumatore finale. Una strategia a cui purtroppo l’industria non è nuova.
Ho trovato l’articolo molto interessante, come sempre, ma con alcune dissonanze riguardo alla storia di Peroni rispetto a quanto riportato in “birra Peroni:150 anni di storia” da loro redatto in occasione dell’ anniversario qualche anno fa..
ad esempio scrivono che nel ‘53 lo stabilimento di Napoli venne riorganizzato,ingrandito, poi utilizzato per molti anni.
Ora non lo ho sotto mano ma forse ci sono da rivedere alcuni dati..
Comunque non era il nocciolo dell’articolo, che ho apprezzato
Buon lavoro
Non ho letto il libro, ma diverse fonti (tra cui lo stesso archivio Peroni) affermano che nel ’53 cominciarono i lavori per l’impianto di Miano, che poi divenne operativo 2 anni dopo con la dismissione dello stabilimento di via Nuova Capodimonte. Quindi la produzione rimase a Napoli, ma in realtà venne spostata di zona. L’impianto di Miano è rimasto operativo fino a quindici anni fa.
Il mio contributo, scritto di getto ieri mattina…
Da appassionato di birre, e da napoletano.
https://www.foodmakers.it/birra-napoli-anche-no/
Bravo Alfio, con questo articolo hai ristabilito la verità dei fatti. Ricordo ancora con piacere e un pizzico di nostalgia beerpassion.it 😉
Inutile dire che hanno eliminato i miei commenti dalla loro pagina bloccandomi ed impedendomi di fatto di far sentire un’altra versione…
Se ti hanno bloccato sicuramente li avrai insultati. Dai non c’è altra ragione per farlo, giusto?
[…] prodotto a una città quando questo legame è assolutamente flebile, se non del tutto assente. Un problema che sollevammo anche su Cronache di Birra e che, a distanza di un anno, sembra lontano da una soluzione. Tanto che ora arriva la risposta dei […]
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