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Pizza al taglio e birra artigianale: come ripensare un grande classico dell’abbinamento

Della pizza molto si è detto e certamente si continuerà a dire: è un cibo buonissimo, geniale e ingegnoso nella sua intrinseca potenzialità di infinite combinazioni di condimenti. Secondo il celebre linguista Tullio De Mauro, la parola pizza deriva dal vocabolario di goti e longobardi, che stanziarono in Italia per secoli osservando i popolani locali dominati, discendenti dai decaduti conquistatori romani, azzannare quelle focacce “riempi stomaco” senza farciture o condite alla meglio. Sembrandogli evidentemente interessanti, presero l’abitudine di cucinarle dandogli il nome di bissa e bizza, che divenne infine pizza, proprio con il significato di “morso, pezzo, pezzetto” (radici e significati ripresi anche nelle moderne lingue anglosassoni). Un nome destinato a una fortuna culinaria, culturale e commerciale immensa.

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A Roma la pizza al taglio è un indiscutibile motivo di identità, uno dei necessari piaceri del frettoloso tran-tran quotidiano, ottimo “cibo da spasso”, ma anche pasto pratico e gradito. E, fino a una decina d’anni fa, anche sinonimo di peculiarità: mentre attualmente esistono diversi negozi specializzati in numerose città italiane (ed estere), prima non si trovava se non nella Città Eterna. Nella capitale, infatti, già dal secondo dopoguerra con “la rossa” e “la bianca” in vendita nei panifici si comincia letteralmente a masticare per strada. Con il boom, nelle rosticcerie l’offerta si amplia con i primi “gusti” (patate, zucchine, funghi): si è così capito che la base neutra della pizza poteva essere conciata come meglio si credeva, con risultati sempre gustosi. E così, grazie al contributo di maestri come Franco Palermo, per l’attenzione alle farine, Angelo Iezzi, per la tecnica produttiva, e Gabriele Bonci per l’arditezza dei condimenti e la capacità comunicativa, Roma è divenuta il riferimento di questo irresistibile cibo.

Nel momento in cui è maturata l’idea di dedicargli un pezzo nella presente rubrica, focalizzandoci sulle ricette classiche, abbiamo deciso di chiedere la collaborazione di Pizza Chef (pagina Facebook), tra i progetti più entusiasmanti nati in città, grazie al talento e alla tenacia dei sempre sorridenti Mario Panatta e Sara Longo. Si tratta di un locale minuscolo, in zona Furio Camillo, che sforna teglie (e, volendo, anche tonde) buonissime, frutto della meticolosità nella selezione delle farine, degli ingredienti (a partire da sale e olio) e dei condimenti, dell’attenzione sulle fermentazioni e del gusto unico nell’ideazione e composizione delle ricette cosiddette gourmet.

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Pizza rossa

Cominciamo dalla rossa, per cui bastano poche, necessarie attenzioni: del buon pomodoro, un origano profumato, un filo d’olio e via al godimento. L’abbiamo abbinata alla Zwickel di Porta Bruciata (Rodengo Saiano, BS), un’interpretazione in chiave francone delle Pils tedesche, stupefacente per equilibrio e beva, caratterizzata da suggestive note erbacee, speziate e di crosta di pane. L’abbinamento ha generato un perfetto “incontro di popolo”, tra due ricette semplici, economiche e capaci di non stancare mai. Il corpo apprezzabile e la componente maltata aiutano a tamponare l’acidità lieve del pomodoro, restituendo integralmente la freschezza dell’origano e lasciando il palato terso, pronto per il boccone/sorso successivo.

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Pizza patate e rosmarino

Proseguiamo con la patate e rosmarino. Anche qui bastano poche accortezze: patate buone, cotte adeguatamente e morso “risvegliato” dalla pungenza del pepe e dalla freschezza del rosmarino. Per l’abbinamento abbiamo scelto la Bolik del birrificio Muttnik (Pavia), una American Pale Ale dorata, equilibrata, con 5,4% di alcol. La birra ostenta una splendida gestione di malti e luppoli, un naso delicato e floreale e una chiusura di vaghe note tostate. L’incontro si rivela proficuo: le strutture equivalenti di birra e cibo consentono una marcia tattile congiunta e una continua rincorsa gustativa in bocca, mentre le tostature e la freschezza del luppolo valorizzano il pepe, la cui fragranza è uno dei segreti della ricetta e della riuscita dell’abbinamento.

Pizza crostino

Terzo assaggio, pizza crostino. Un necessario chiarimento: questa ricetta prevede una base bianca, con mozzarella e prosciutto cotto, non crediamo sia necessario commentare eventuali versioni presentate col crudo. Ha formato un’ottima coppia con la Madue, una coraggiosa e invitante Passion Fruit Sour Ale di Birra dell’Eremo (Assisi, PG). Brassata con il Kluyveromyces thermotolerans, lievito che produce acido lattico durante la fermentazione, e aggiunta di passion fruit in polpa (10%), risulta succosa, fine, elegante e di carattere. L’acidità lieve è essenziale per tenere le fila del gioco gustativo e la componente fruttata è gestita magistralmente, aggiungendo il tipico aroma, senza mai farlo divenire stucchevole protagonista. L’abbinamento è una fulminante stravaganza: si genera un grande e insospettabile accordo, con la birra che taglia l’untuosità e aggiunge brio e il geniale tocco fruttato alla “confortevole piattezza” della ricetta.

Pizza margherita

La quarta coppia è rappresentata dalla totemica margherita e dall’American Red Ale di Birra Perugia: una birra semplicemente stupenda, che riesce a tenere assieme la freschezza dei luppoli con le note caramellate/tostate dei malti e, anche grazie ai suoi 6 gradi alcolici, risulta adatta sia come compagna di bancone che di tavola. In bocca birra e pizza si compenetrano e completano, vantando corpo e personalità: si assiste a una vera lotta, in cui ogni elemento cerca di dare il meglio per prevalere, senza riuscirci, inibendo le acidità (di pomodoro e mozzarella), lasciando una retrolfattiva di frutta matura e contribuendo all’armonia complessiva.

Pizza ripiena con romanesco e salsiccia

L’ultimo atto dei nostri assaggi è una ripiena con broccolo romanesco e salsiccia: questa pizza testimonia la differenza tra chi acquista condimenti e li organizza a caso e chi, invece, studia come far rendere ciascuno al meglio. La presenza della salsiccia è impeccabilmente misurata in rapporto alla verdura impiegata, mostra una consistenza perfetta e risulta ripassata con la giusta dose di peperoncino. L’abbinamento con la Robb de Matt dello storico Birrificio Lambrate (Milano), Rye IPA da 5,5% alc., regala una soddisfazione che si apre in un sorriso: la componente maltata è in grado di sedare la piccantezza del romanesco e le tipiche note sulfuree, mentre la secchezza complessiva asciuga l’untuosità. Sul finale, tornano magnificamente note speziate e pepate, mentre sullo sfondo rimangono l’aromaticità della salsiccia e la rusticità di una birra davvero in gran forma.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è sommelier, scrittore, divulgatore birro-gastronomico e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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