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Cosa resterà delle birre collaborative?

Avery-CollaborationVinnie Cilurzo e Adam Avery sono due dei più importanti birrai americani, fondatori rispettivamente della Russian River e della Avery Brewing. Quando i due si conobbero, diversi anni fa, scoprirono che entrambi avevano nella propria gamma di birre una produzione denominata Salvation. Non fu una piacevole scoperta, perché la questione avrebbe potuto sollevare una lunga disputa sui diritti di sfruttamento del nome. Invece i due evitarono ogni seccatura giuridica, trovando una curiosa soluzione: lanciare sul mercato un blend delle due birre, che fu chiamato Collaboration not Litigation. Nonostante fosse alquanto azzardata, la trovata riscosse un successo di pubblico inimmaginabile, trasformandola in un’operazione commerciale senza precedenti. Era il 2004 e la moda delle collaborazioni tra birrai era ufficialmente iniziata.

A distanza di anni siamo stati praticamente invasi da birre prodotte a quattro, sei o anche più mani. Non passa mese in cui non sia annunciata una nuova birra nata dalla collaborazione di più birrifici. Il trend è impressionante, al punto che è giustamente considerabile uno degli strumenti commerciali più redditizi di cui possono giovarsi i moderni microbirrifici. Il successo è dato dall’unicità di simili produzioni, che alimenta le principali aspettative dei beer geek più incalliti: voglia continua di novità e ricerca spasmodica per il prodotto raro e irripetibile. Mettiamoci anche che queste birre nascono spesso da ricette inusuali e il gioco è fatto.

Peccato però che le produzioni collaborative si rivelino sempre più spesso birre assolutamente inutili. Giusto oggi Alessio di Pinta Perfetta mi raccontava di aver assaggiato una Strong Ale realizzata insieme da Nøgne Ø e Dugges, rivelatasi completamente senza senso: una bomba imbevibile da 11% alc., prodotta con una vagonata di miele e l’aggiunta di bacche di ginepro (praticamente indistinguibili). Purtroppo non si tratta di un caso isolato, visto che sempre più spesso queste collaborazioni tendono a deludere chi ha l’occasione di assaggiarle.

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Sicuramente la tendenza presa da simili birre non è casuale. Spesso nascono infatti da ricette estemporanee, che non vengono testate e perfezionate quanto invece richiederebbero. Quasi mai entrano stabilmente nella gamma ufficiale di un birrificio, quindi sono creazioni ideate per nascere e morire nel giro di una cotta. Birre superflue, eccessive, spesso imbevibili, che non emozionano ma al contrario stancano immediatamente. Geniale in questo senso il gioco di parole di Alan McLeod, che sul suo blog le defiinsce con l’appellativo “Call O’ Bore-a-tion”. Dovrebbero celebrare il reciproco supporto tra potenziali concorrenti di mercato, invece finiscono per apparire sempre più come operazioni commerciali fini a se stesse.

Gli annunci di nuove collaborazioni si susseguono a ritmo impressionante, ma quante di queste birre vengono ricordate a distanza di anni, o addirittura di mesi? Poche, pochissime direi. Tra quelle che ricordo cito la Juxtaposition (Brewdog – Stone – Cambridge) per essere stata definita una Black Pilsner; la Hopfen-Weisse (Brooklyn – Schneider), per aver coinvolto un grande protagonista della scena tedesca, quasi mai incline ai fenomeni “modaioli”; la Horal’s Oude Geuze Mega Blend, per la particolarità del prodotto e l’intento di valorizzare un’importante specialità regionale. Il resto? Decine e decine di prodotti subito dimenticati e che mai ho avuto interesse ad assaggiare – o quando l’ho fatto me ne sono pentito.

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E in Italia? Anche qui troviamo alcune collaborazioni, anche se a un ritmo ben più compassato rispetto a Stati Uniti e Scandinavia. Già in passato descrissi le principali: Sparrow Pit e Suju (due creazioni griffate Birrificio Italiano + Thornbridge), My Antonia e Stim Bir (Birra del Borgo, con rispettivamente Dogfish Head e Grateful Deaf), Utopia (Troll + BI-DU), ‘Na Tazzulella ‘e Cafè (Karma + Almond ’22), Crismas CU+ (Baladin + Birra del Borgo), San Diego IPA (Revelation Cat + BOA + Port Brewing). In questo caso non tutte le creazioni sono da censurare, anzi in diverse occasioni ci troviamo di fronte a ottime birre.

Ora attendo i vostri commenti. In generale accogliete prodotti di questo tipo con curiosità o scetticismo? C’è qualche birra collaborativa che avete particolarmente apprezzato? O una che non consigliereste neanche al vostro peggior nemico?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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19 Commenti

  1. Su due piedi,tra le migliori,mi viene in mente la serie Alliance di Thornbridge e Brooklyn,sia la base che le due evoluzioni Pedro Ximenez e Madeira e,anche se è un blend e non una nuova ricetta,la Tuverbol di 3Fonteinen+Loterbol

  2. Io le trovo iniziative senza nemmeno doverlo specificare valide e da supportare anche se i risultati non sono sempre dei migliori.

    Mi vengono in mente anche le collaborazioni 3F-mikkeller, struise-brewdog e incroci seguenti.
    il top di questo genere dovrebbe essere, la serie “collaborative evil” che coinvolge un numero impressionante di birrifici

  3. My Antonia credo sia un ottimo prodotto a quattro mani,ma mi vengono in mente anche le collaborazioni di Revelation Cat con De molen e Mikkeller e penso abbiano avuto ottimi risultati:triple hop bock e cat in the barrel su tutte.

  4. i birrai sono tutti dei Peter Pan, a volte la voglia di giocare con altri “simili” porta a fare queste collaborazioni, secondo me molte volte neanche ci si pensa al fatto che le birre possano entrare nelle produzioni stabili…
    tanto, non stiamo a negare l’evidenza, quando vediamo una birra nata da una collaborazione finisce sempre che la stappiamo! o almeno io 😀

  5. Qui http://www.lostabbey.com/blogging-day-and-collaborative-beers/ si trova un interessante pezzo scritto dal mio amico (!) Tomme.
    Comunque io farei un distinguo: una collaborazione è quando due o più birrai si mettono insieme e fanno una ricetta nuova apposta per quella birra e, più o meno, con un senso.
    I blend sono invece un’altra cosa per me. O dei paradisi come la Tuverbol o dei semplici stratagemmi per creare una nuova “birra” per raters incalliti. E comunque il re del blend rimane il Colonna che come un dj a Ibiza remixa prodotti ottimi mischiandoli in modo personale. Poi tocca berli 😉

  6. come sempre, forse solo spesso, le cose all’inizio nascono genuinamente, poi quando ci si accorge del lato “comunicativo” scatta il marketting selvaggio con le reti a strascico

    in Italia, a memoria, la prima fu la Utopia, una comunione di personalità prima ancora che di intenti. non a caso non fu una birra estemporanea, torna ciclicamente e spero di rivederla ancora

  7. “Peccato però che le produzioni collaborative si rivelino sempre più spesso birre assolutamente inutili. Giusto oggi Alessio di Pinta Perfetta mi raccontava di aver assaggiato una Strong Ale realizzata insieme da Nøgne Ø e Dugges, rivelatasi completamente senza senso: una bomba imbevibile da 11% alc., prodotta con una vagonata di miele e l’aggiunta di bacche di ginepro (praticamente indistinguibili). Purtroppo non si tratta di un caso isolato, visto che sempre più spesso queste collaborazioni tendono a deludere chi ha l’occasione di assaggiarle.”
    E’ un Sahti.
    http://www.ratebeer.com/beer/nogne-o-dugges-sahti/96157/

    “San Diego IPA (Revelation Cat + BOA + Port Brewing)”
    Jeff ed io non eravamo assolutamente soddisfatti e non l’abbiamo voluta presentare. BOA l’ha venduta lo stesso contro il nostro volere!!! Presentandola anche al Pianeta Birra e all IBF. Una bomba al diacetile. Non credo che ripeteremo cotte al BOA =)

  8. Hehe!
    “biretta”?? tu torna a giocare con le pentole della mamma che magari impari qualcosa.
    Hahahaha!!!
    O magari ti rode che vado a fare birra in California alla faccia tua. Mentre tu poverino rimani li nel tuo buchetto, dietro al tuo nick, a giocare con le pentoline a casa della mamma…
    Hehehehe =D

  9. @Alex420

    ahahhahah Ostia è in california?
    Guarda che mi riferivo alla bomba al diacetile.

    ahhahahah vai a fare un dry hopping…ad un Lambic…

  10. Ok finitela qui con questo OT

    Alex, ho cancellato il tuo messaggio per le offese personali a Marchetto. Non è la prima volta che lo faccio e vorrei evitare di farlo in futuro.

  11. @Alex420
    Alex, mi meraviglia che tu pensi che basta citare Sciascia per offendere il prossimo

    In futuro, evita di fare ricerche per offendere utenti con citazioni illustri, o di aprire OT, o di suggerire ad altri come gestire un blog, o ancora di perseverare nell’OT che ho chiesto di chiudere. Tutte cose che hai tranquillamente fatto in questa pagina.

  12. Qui l’unico che non sembra tranquillo sei tu….

    “Alex, mi meraviglia che tu pensi che basta citare Sciascia per offendere il prossimo”
    ……..?……..

  13. Forse voleva dire “per non offendere”…
    Tanto per sdrammatizzare, comunque, è quantomeno buffo come si sia arrivati a litigare in un post che nell’introduzione parla di “Collaboration, not litigation”! ^^

  14. @Alex
    Non solo offendi chi scrive e vai fuori argomento, ma fai anche finta di non capire.
    Allora te lo rispiego con più chiarezza: basta con questo OT

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