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Birra (artigianale), io t’adoro

Una rubrica che parla del lato femminile della birra; un onore la “chiamata” di Cronache di Birra e non posso che aderire con grande piacere. La considero anche una bella sfida: spesso nella vita mi sono imbattuta in stereotipi, doppi sensi e banalità nei confronti del gentil sesso. Nel microcosmo birrario, ampiamente maschile, ho incontrato tante persone davvero splendide ma anche alcuni personaggi discutibili per le idee come dire, un po’ retrò. Come approcciarmi quindi? Come tentare, nel mio piccolo, di valorizzare questa opportunità, dando se possibile maggiore dignità e credibilità al lato rosa, senza cadere nello stereotipo o nel vetero-femminismo? Un compito assolutamente non facile, fonte di discussioni importanti in tante chiacchierate con amici, spesso senza arrivare ad una soluzione.

Le sfide, si sa, richiedono coraggio e quindi via, partiamo con il botto: iniziamo a parlare di AssoBirra e della sua campagna di comunicazione “Birra, io t’adoro”. Lo ammetto, la prima reazione di fronte allo spot e ai manifesti non è delle migliori; la comunicazione vorrebbe essere nelle intenzioni anticonformista, innovativa e leggera, ma ai miei occhi risulta banale, un po’ scontata e, come dire, superficiale. Ma non voglio fermarmi alla prima impressione.

birra io tadoro 1

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Il punto di partenza di AssoBirra è interessante e merita di essere ripreso: una ricerca condotta, guarda caso, proprio da AssoBirra assieme a Doxa, rivela che le donne italiane che bevono birra sono tante (circa il 60%) ma si impegnano poco nei consumi rispetto alle cugine europee e non.

1 donna su 4 preferisce la birra al vino ma 7 donne su 10 bevono birra solo una volta al mese, privilegiando le piccole quantità. Quindi perché non cercare di allargare la base e i consumi di questa fascia di pubblico? Di qui una campagna di comunicazione che ha come fine quello di aumentare e fidelizzare il proprio mercato di riferimento, obiettivo di tutto rispetto. Il tutto in modo consapevole e responsabile, altro punto a favore.

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Chi è però AssoBirra? L’associazione degli Industriali della Birra e del Malto, che rappresenta in grandissima parte le multinazionali del settore e conta al suo interno un esiguo numero di birrifici artigianali. Le diversità tra la produzione cosiddetta artigianale e quella industriale sono fondamentali e andrebbero sottolineate per una corretta informazione, ma non v’è traccia di queste differenze sostanziali all’interno del blog birraiotadoro.it, creato appositamente per la campagna.

In questo spazio, invece, il concetto di bere naturale risalta qua e là, per un’immagine pulita anche laddove invece così pulita non lo è (e nemmeno così naturale). L’utilizzo di additivi e succedanei nelle produzioni industriali non viene riportato, né si parla di pastorizzazione o microfiltrazione, ovvero quei processi che rendono stabile la birra ma al tempo stesso priva di vita e di evoluzione. L’obiettivo malcelato è di voler accomunare produzione artigianale ed industriale in un unico mondo dove tutto è “100% naturale, gourmet e con un animo wellness”.

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birra-io-tadoro-2

Non mi soffermerò invece a lungo sul linguaggio utilizzato da questa campagna; consiglio il post Birra è una questione di stile come esempio lampante di questa scelta comunicativa che a mio parere privilegia termini anglofoni di taglio giovin-moderno ad un intento realmente didattico e informativo. Le inesattezze purtroppo risaltano anche tra hipster e fashion: ad esempio le birre di abbazia non rappresentano uno stile.

Da tempo, le produzioni industriali hanno sviluppato prodotti che strizzano l’occhio al mondo artigianale, ma si tratta di operazioni di facciata, per lo più. Le birre regionali, oppure ai “settantavoltesette luppoli” sono il risultato di questo approccio pseudo artigianale, che ha l’unico risultato di creare grande confusione nel consumatore finale.

Io non adoro la birra in generale, ma scelgo solamente quella artigianale e di qualità. Industriale? No, grazie; i morti mi fanno impressione…

Nelle varie peregrinazioni birrarie, mi trovo spesso a parlare del primo incontro consapevole con il mondo della birra. In parecchi interlocutori la spinta iniziale è stata la curiosità, ma poi ogni racconto si differenzia e in moltissimi casi la prima birra artigianale ha segnato un momento di stacco, da cui è difficile tornare indietro. Ecco perché questa campagna ai miei occhi suona come un “vorrei, ma non posso”: vorrei fare informazione, ma non posso toccare certi argomenti; vorrei parlare di bere naturale, ma dimentico di citare alcuni ingredienti non proprio naturali…

birra-io-tadoro-3

Concludo tornando a quello che vorrebbe essere, nelle intenzioni, questa rubrica: uno spazio onesto che cercherà di far conoscere il percorso di alcune delle persone che ho avuto e avrò il piacere di incontrare: il modo migliore per parlare del lato rosa della birra, rigorosamente artigianale. Oltre ad altri spunti di riflessione, simili a questo perché, si sa, le donne pensano sempre troppo 🙂 .

Alessandra Agrestini
Alessandra Agrestini
Bellunese di nascita, bolognese o meglio sanlazzarona d’adozione. Dicono di lei: "Una mente in continuo fermento che si entusiasma quando si parla di birra artigianale. E soprattutto porta sempre da bere ottime birre!". Consulente e divulgatrice birraria freelance, collabora con diverse associazioni per docenze e corsi a tema birrario. È anche giudice internazionale.

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27 Commenti

  1. Alessandra, volevo chiederti quali sono gli additivi nella birra industriale.?
    e a quali succedanei ti riferisci? So che mettono mais o riso..che altro mettono?
    la pastorizzazione viene fatta anche al latte e ben si sa per quali motivi, che mi dici tu di questo?
    Hai ragione quando dici che ci sono birre artigianali superbe, ma hai mai visitato uno stabilimento di birra industriale?
    Grazie.

    • Ciao Carlotta, sono (orgogliosamente) nata all’ombra della Birreria Pedavena, metà di gite scolastiche a partire dalle elementari. Ricordo ancora l’odore del mosto della prima visita e ci torno sempre in visita con grande piacere, al di là di questo aspetto emozionale.
      La pastorizzazione e la microfiltrazione nella birra rendono il prodotto stabile e questo permette shelf life più lungo e senza particolari problematiche di temperatura, ad esempio. Una birra artigianale a bassa fermentazione invece ha bisogno della catena del freddo ed è un prodotto che va trattato con grande cura. Ci sono parecchi articoli al riguardo che trattano l’argomento in maniera esauriente, idem per gli ingredienti.
      Concludo dicendo che ho parlato di birra artigianale di qualità, concetto che non si applica a tutte le produzioni, anzi. Proprio per la delicatezza di questo prodotto vivo, capita di trovarsi di fronte a prodotti, come dire.. ci siamo capiti?

    • Effettivamente, anche io vorrei capire se esistono e cosa sono veramente questi “additivi” utilizzati nella produzione della birra cosiddetta industriale. La pastorizzazione e la microfiltrazione non sono additivi, sono solamente procedimenti atti a rendere stabile il prodotto finito, che però influiscono pesantemente e negativamente sul gusto della birra… senza renderlo però un prodotto meno salutare. Mi sbaglio?

      • Ciao Tommaso, no non sbagli. Pastorizzazione e microfiltrazione servono proprio a rendere super stabile il prodotto, ma eliminano anche gran parte degli aromi. Di per sé non sono soluzioni che intaccano la salubrità del prodotto, ma nessuno ha parlato di salute. Il concetto è quello di “naturale” e sia la pastorizzazione che la microfiltrazione non mi sembrano così vicini a questo concetto. Sugli additivi che puoi trovare in alcune birre industriali, ti rimando a questo articolo apparso in passato sul sito della BBC, dove si parla ad esempio di E405 http://news.bbc.co.uk/2/hi/business/4942262.stm

    • Ciao Chiara, grazie per la tua segnalazione. In realtà credo che il mondo sia parecchio vario, idem le consumatrici di birra, quindi non le ridurrei in un senso o nell’altro; ognuno ha il proprio percorso. Personalmente critico questa versione perché oltre ad essere a target un po’ troppo standardizzato, (target in cui mi riconosco poco), ha al suo interno imprecisioni e manca di completezza di informazione.
      E ora vado a scegliere lo smalto adatto alla red ale che sto per bere.. scherzo, eh!

  2. “Le produzioni industriali hanno sviluppato prodotti che strizzano l’occhio al mondo artigianale, ma si tratta di operazioni di facciata, per lo più.”
    caro turco ipocritino:
    Perché il 99% dei microbirrifici italiani che usano tutti malti lieviti e luppoli uguali che operazione fanno? Io la chiamerei operazione farò i soldi e basta!!!!

    • Ciao Paolino, vorrei farti notare nell’ordine che:
      1- Il pezzo non l’ho scritto io, ma Alessandra, come è facile dedurre dal nome e dalla foto a fondo articolo;
      2- Il tuo paragone è senza senso;
      3- Vorrei vivere anche io in un mondo come il tuo, dove sembra strano che un’impresa faccia soldi;
      4- Preferirei tu evitassi gli insulti. Preferirei anche che evitassi l’anonimato, ma mi rendo conto che non si può pretendere troppo

    • Ciao Paolo, a parte i toni accesi che non capisco, mi chiedo perché ridurre la scelta di malti o luppoli di 800 mcrobirrifici ad una sola operazione “fare i soldi”, come dici tu. Credo che le motivazioni siano parecchie e diverse per ogni realtà. Fatico a pensare però che ci sia un imprenditore che abbia scelto di lanciarsi in un’avventura che comporta rischi e sacrifici senza puntare anche ad un utile economico.
      Ad oggi non esiste un disciplinare per la birra cosiddetta artigianale e questo genera parecchia confusione, si sa. Così come è indubbio che ci sia sempre maggiore interesse attorno a questo mondo; una fascia di mercato piccola ma in costante crescita e sempre più appetibile. Anche per il mondo industriale, visti i prodotti che stanno lanciando e le relative scelte comunicative.

  3. “un’immagine pulita anche laddove invece così pulita non lo è (e nemmeno così naturale). L’utilizzo di additivi e succedanei nelle produzioni industriali non viene riportato, né si parla di pastorizzazione o microfiltrazione”

    Non mi risulta che le birre industriali facciano male o abbiano addittivi chimici, poi che ad alcuni piacciano di piu’ le birre artigianali (da 10 euro a bottiglia) e’ un altro discorso. Secondo me la birra nasce come bevanda popolare e tale deve rimanere, e mi dispiace questo snobismo (magari non voluto) da parte degli appassionati di birre artigianali.

  4. Buongiorno
    ho letto il suo articolo, gli altri commenti e le relative risposte…o non risposte direi in certi casi mi permetta.
    Premetto che non seguo Assobirra, non ne faccio parte e ne mi interesso del lato femminile della birra.
    Mi interessa il lato tecnico della cosa e soprattutto la corretta informazione che si da quando ci si prende il rischio di scrivere pubblicamente agli altri.
    Lei parla di disinformazione fatta da Assobirra e ci sta per certi versi, ma credo che le argomentazioni del suo articolo, chiaramente tese a denigrare la birra industriale, siano altrettanto pericolose e disinformanti per il consumatore finale qualunque esso sia e qualsiasi birra beva.
    Le cito dei passi del suo articolo:
    immagine pulita laddove non lo è….. e nemmeno così naturale
    utilizzo di additivi e succedanei
    ingredienti non proprio naturali
    birra priva di vita ed evoluzione
    per chiudere un bel birra industriale? no grazie i morti mi fanno impressione
    parole di grande effetto e che fanno pensare che chi scrive sappia cosa accade in una fabbrica di birra industriale come può esserlo Pedavena piuttosto che la Forst di Merano per citarne un paio a caso.
    Allora io le chiedo gentilmente di dirmi:
    quali sono gli additivi che secondo lei si mettono nella birra industriale
    le chiedo dove l’immagine di un birrificio industriale non è così pulita e perche
    le chiedo quali sono gli ingredienti non proprio naturali che secondo lei mettono nella birra industriale
    i succedanei sono utilizzati e questo è chiaro e noto al mondo intero ma quanto detto da lei e nel modo i cui lo ha sottolineato fa pensare che all’ interno di una fabbrica come Pedavena succedano cose turche.
    la ringrazio in anticipo per le precise e tecniche risposte che vorrà darmi
    cordialmente
    Luciano

    • Ciao Luciano, grazie innanzitutto per aver deciso di abbandonare un nick anonimo a vantaggio del tuo vero nome. Io nelle parole di Alessandra trovo poco “grande effetto” e molta verità, a meno che tu non sia particolarmente suscettibile alla battuta finale sui “cadaveri” dell’industria che, appunto, è evidentemente una battuta.

      Già in passato hai difeso la birra industriale, probabilmente perché tu lavori in un grande birrificio. Non capisco però perché tu debba sentirti chiamato in causa ogni volta che si tocca questo argomento: se l’azienda per cui lavori non ricorre a certe soluzioni, buon per te (e per la birra che producete). Altrove si usano tecniche super invasive, si creano diverse birre diluendo in modo diverso il risultato di una sola cotta, si aggiungono coloranti, si aggiungono conservanti e additivi.

      È un po’ stucchevole che tu intervenga sempre allo stesso modo quando si parla di alcune abitudini dell’industria. È come se si parlasse di birra artigianale identificandola come quella con gli “ingredienti strani” e ogni volta intervenisse un birraio dicendo “no non è vero, perché io nel mio microbirrificio uso solo i 4 ingredienti base”. Che lo faccia lui non significa che non lo facciano gli altri.

  5. L’attenzione si sta spostando su un argomento che non è il focus centrale di questo articolo; né questo voleva essere un trattato scientifico o filosofico sul dualismo artigianale-industriale. Di qui la scelta di parlare solamente dell’argomento principale, ovvero le scelte comunicative legate al binomio birra-donna di un’associazione di categoria che ha tra i soci 7 multinazionali e un infinità di prodotti.
    A me è bastato andare a fare qualche giro in supermercati forniti e leggere quanto dichiarato in etichetta. E in alcuni prodotti ho trovato ad esempio succedanei (mais o riso), in altri coloranti e conservanti, ovvero additivi alimentari. Chiaro che questo argomento non è applicabile a tutti i prodotti, ma basare la comunicazione di un’associazione di categoria dichiarando un prodotto 100% naturale quando nel mucchio c’è qualcosa che non lo è non mi pare completezza di informazione, semplicemente. Così come non affrontare il tema della pastorizzazione e microfiltrazione.
    Avrei potuto riportare altre imprecisioni trovate nel blog; ho scelto di portare questi esempi.
    Se ora volete ridurre un argomento così complesso ad una lotta manichea, identificando univocamente bene e male, liberissimi di farlo. Ho detto che IO bevo artigianale e di qualità e credo sia legittimo esprimere un’opinione in un articolo. Mi spiace solamente che di oltre 4000 battute vi stiate concentrando in una manciata di parole, ma credo sia la dimostrazione che questo è argomento scottante e che scalda gli animi. Ora però torniamo a parlare, se volete. di questo blog e delle sue scelte comunicative. Grazie a tutti.

  6. Ciao Alessandra, complimenti per l’articolo, l’ho letto molto volentieri. Ho letto meno volentieri i commenti interminabili e inutili qui sopra…perché tanto si sa che la birra artigianale è migliore 😉

  7. Ciao Alessandra! Complimenti.
    Sono un’assetata di saperne sempre di più su questa bevanda amabilmente controversa. Perciò capito qui, semplicemente da amante convinta e consapevole.
    Le donne… maestre pioniere nella produzione birraria. Ancora pochissime contribuiscono ad arricchire discussioni sull’argomento.
    Sarebbe meraviglioso se per ‘birra artigianale’ s’intendesse non pastorizzata e microfiltarata. Senza schifezze. Mi hanno insegnato che la birra artigianale non fa mai male, non contiene agenti patogeni… Al massimo si sentono le conseguenze… il giorno dopo! Non c’è bisogno di aggiungere nulla alla pozione prodigiosa per essere ciò che non ci piace! Non ha bisogno di pastorizzazione o microfiltraggio, a mo’ di latte, per farne qualcosa che non ci piace!
    Io non posso fare a meno di ricordare delle birre prodotte da grandi industriali con la dicitura ‘birra artigianale’ ahimé… Dà da farsi due domande, no? (senza fare nomi…Affligem… Solo il nome è tutto un programma…) Illuminatemi su questo.
    Seguo a ruota anche io, mannaggia al mio Virgilio del mondo brassicolo. Da quando ho assaporato le birre… tante… artigianali non sono più riuscita a bere industriale… Salvo qualche addobbata sul mio ‘cadavere’ sardo >.<

    • Grazie Silvia! Il mondo birra (artigianale e non) ha una complessità e una varietà che aumenta di giorno in giorno, anche alla luce dei tantissimi nuovi prodotti che stanno nascendo con cadenza sempre maggiore.
      Ecco perché noi consumatori dobbiamo avere una possibilità di districarci in quella che sarà sempre più una giungla; per me lo è già, ora..
      E se proprio vuoi bere sardo, scegli bene, mi raccomando! 😉

  8. questa volta mi sento più dalla parte di chi critica l’articolo… a volte mi sembra che si cada (volontariamente) nel “populismo” birraio, andando a prescindere contro chi produce birra non artigianale… sono uno propositivo piuttosto che critico, e vedo più questa campagna come un’opportunità perchè più donne si avvicinino al mondo birraio.
    insomma, non importa come, ma se mai iniziano a bere birra, quando cominceranno a berla buona? quanti hanno iniziato con una Westvleteren 12 come prima birra mai bevuta?
    io mi sento di apprezzare qualsiasi campagna a favore della birra, perchè gli effetti positivi ricadranno (GRATIS) per forza anche sulle artigianali che non possono permettersi campagne sui media…

    • Posizione sacrosanta Kevin e che in parte anche condivido. Ma rispetto alla tua ultima frase ti chiedo: cosa succede quando l’industria cerca di ottenere favori sfruttando valori che sono invece tipici della birra artigianale?

      • Secondo me se non lo fa in modo parassitario (leggasi: mettendo sul mercato birre discutibili spacciandole per prodotti di qualità) possono esserci solo vantaggi: l’asticella (intesa come qualità dei prodotti) tenderà a spostarsi verso l’alto e forse inizierebbe a svolgersi una concorrenza sui prezzi. Provo a fare degli esempi, altrimenti il discorso non credo si capisca.
        1) di prodotti “craft” industriali che fanno schifo inutile stare a citarli (anche perché i soldi preferisco spenderli in birra che per difendermi da querele): creano danni perché pure il consumatore occasionale che vuole lanciarsi nel segmento di qualità resta spiazzato visto che ha pagato (pure a caro prezzo) birre che non valgono l’esborso;
        2) quando sono stato a Copenhagen mi sono imbattuto nella linea craft di Carlsberg (Jacobsen) che per quanto mi riguarda ha un rapporto qualità prezzo eccellente (pur non essendo paragonabile con Verguenza, Tipopils e le VERE eccellenze brassicole del Paese mi sento di preferirle ad un buon 70% di artigianali italiane in cui mi sono imbattuto e infatti me ne approvvigiono regolarmente dall’estero come “birre da battaglia”). Mi chiedo a questo punto: se iniziassero a commercializzarle in Italia, i prezzi della birra in Italia resterebbero tali o si abbasserebbero ?

        • È difficile assumere una posizione precisa in questa diatriba. Alla prima parte del tuo commento c’è già la risposta: in passato, e non solo, alcune mosse dell’industria sono state parassitarie, se non addirittura peggio. Questo non toglie che tra il nero e il bianco esistano molte sfumature intermedie: in Italia è facile rintracciare realtà agli antipodi, ma in altri contesti (come il Belgio o gli USA) i due poli sono molto più permeabili. Esistono alcuni prodotti industriali di buona qualità, così come tante birre artigianali pessime. Ma da un punto di vista più teorico, le due filosofie produttive si basano su valori diversi: è assurdo che l’industria faccia suoi quelli dell’altra parte.

    • Personalmente ritengo si sia superato abbondantemente il momento “vale tutto purché se ne parli”, sia a livello di pubblico maschile che femminile.. Grazie Kevin per il tuo punto di vista, ma credo sia molto più importante una corretta comunicazione.

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