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I buoni propositi dell’homebrewer per il 2025

Un nuovo anno è cominciato. Come al solito, ci si siede a tavolino per stilare complicati piani d’azione che puntualmente non verranno rispettati. Normale amministrazione. Ci passiamo tutti, ogni anno. Chi sono io per esimermi da questo fantastico e speranzoso carosello? Ecco alcune ambizioni che mi sono messo in testa di perseguire per il nuovo anno, ovviamente nell’ambito della produzione casalinga di birra. Sulle altre, quelle più auliche, sorvoliamo.

Migliorare le mie IPA

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Rispetto a quando ho iniziato a produrre birra in casa, più di dieci anni fa, le mie birre luppolate sono notevolmente migliorate. Ricordo bene le mie prime IPA: viravano drasticamente sull’ambrato – spesso sul grigio/rosato – senza che nemmeno me ne rendessi conto. Avevo scarsissima consapevolezza degli effetti negativi che l’ossidazione poteva avere sulla birra. Non notavo nemmeno l’imbrunimento del colore, probabilmente l’indicazione più chiara e semplice da interpretare quando una birra è fortemente ossidata.

Oggi, grazie a un sistema in contropressione (che inizialmente ho osteggiato fortemente, sono sincero) e a un’attenta conservazione delle bottiglie e dei fusti sempre in frigo, le mie birre luppolate risultano senza dubbio più fresche, profumate ed equilibrate. Il merito non è tutto del sistema di produzione e imbottigliamento. Anche le mie ricette sono migliorate. La smania di usare malti Crystal ovunque, in grandi quantità, è svanita. Non che non ne usi più o che non vadano usati nelle IPA, ma il dosaggio deve essere equilibrato e consapevole. La quantità di luppolo che utilizzo in aroma e in dry hopping è notevolmente aumentata, probabilmente più che raddoppiata. I nuovi formati, come i luppoli Cryo, aiutano molto a rafforzare l’aroma riducendo le derive vegetali.

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Sono quindi arrivato al traguardo? Nemmeno per sogno. La strada è ancora lunga. Del mio sistema di imbottigliamento sono soddisfatto. Lascio per lo più le IPA in fusto, dove si conservano molto bene. Le travaso riempiendo il fusto di acqua e svuotandolo con l’anidride carbonica, per poi trasferirci la birra in contropressione dal fermentatore (che a sua volta è un jolly keg da 19 litri). Le poche bottiglie che faccio vengono imbottigliate direttamente dal rubinetto della spina con il Counterpressure Filler della Kegland, tappando sulla schiuma. Le tengo sempre in frigo e le consumo abbastanza velocemente, nel giro di un mesetto al massimo. Questa impostazione non voglio cambiarla, mi sembra funzioni bene e non richiede enormi sforzi.

Quello che ancora non mi convince è il dry hopping. Le ho provate un po’ tutte, dalla saturazione dei keg con anidride carbonica dopo l’inserimento del luppolo, all’aggiunta di metabisolfito e acido ascorbico con il dry hopping. Miglioramenti ci sono stati, ma non sono ancora totalmente soddisfatto. E quindi ho finalmente ordinato l’hop bong, ovvero un tubo che mi permette di inserire il luppolo nel keg dopo la fermentazione senza aprire il fermentatore. Lo racconta bene Lucio di Homebrewing Diary in questo video. I pezzi sono arrivati e ho subito testato l’hop bong per un’APA attualmente in fermentazione.

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Insistere con le basse fermentazioni

Da quando ho acquistato un secondo frigorifero dedicato alla maturazione e allo stoccaggio della birra, produrre basse fermentazioni è diventato notevolmente più agevole per me. Anche il passaggio alla contropressione ha ovviamente aiutato a semplificare la gestione di queste fermentazioni e lo loro lunghe lagerizzazioni.

Gli aspetti interessanti delle birre Lager sono a mio avviso molteplici. In primo luogo, il profilo di fermentazione. Se le differenze tra i vari lieviti sono abbastanza evidenti quando si utilizzano ceppi ad alta fermentazione, nel caso delle basse queste si assottigliano molto. Al punto che uno potrebbe pensare che usare un ceppo o l’altro non faccia grande differenza sul risultato finale. Questo è forse vero, in parte. L’aspetto stimolante è proprio andare a valutare in prima persona quali differenze può apportare ad esempio l’utilizzo del nuovo ceppo secco Munich Lager della White Labs rispetto a un classico Fermentis W34/70. Per avere un minimo contezza di ciò, non è sufficiente infilare qui e là una produzione a bassa fermentazione tra le cotte annuali. Si rende necessaria un minimo di continuità, magari con ricette simili e lieviti diversi.

Altro elemento a mio avviso molto interessante è che la maggior parte degli stili a bassa fermentazione è fortemente centrato sui malti, in particolare i malti base come Pils, Vienna e Monaco. Quando lievito e luppolo si fanno da parte, è possibile apprezzare le molteplici sfumature di queste tipologie di malto che possono variare notevolmente anche da produttore a produttore. Ultimo, ma non meno importante, si tratta – nella maggior parte dei casi – di birre di facile bevuta e grado alcolico modesto. Un’altra buona ragione per tenerne sempre qualcuna in frigo.

In questo 2024 ho fatto diverse cotte a bassa fermentazione (le ho raccontate in questo post del blog). Vorrei continuare su questa strada anche il prossimo anno, sperimentando con diversi malti base e lieviti a bassa fermentazione, sia secchi che liquidi.

Provare nuovi lieviti secchi

Negli ultimi anni, i produttori di lievito hanno lanciato sul mercato molte novità. Solo per citarne alcuni, mi vengono in mente i lieviti Verdant e Novalager della Lallemand o il W-68 della Fermentis. Ma anche nuovi lieviti che sono arrivati in Italia da relativamente poco, come quelli degli irlandesi della WHC. Addirittura la White Labs, noto produttore di lieviti liquidi americano, da qualche tempo si è lanciato nel mondo dei lieviti secchi con tre ceppi: il classico American Ale, il London Fog e il già citato Munich Lager.

Se è possibile che per alcuni stili i lieviti liquidi siano ancora imprescindibili, è probabile che l’ampia scelta oggi disponibile tra i formati secchi possa far crollare qualche vecchia certezza. C’è anche da dire che, con un po’ di esperienza produttiva alle spalle, anche ceppi secchi storici come il BE-256 o il T58 della Fermentis – se impiegati bene – possono dare soddisfazioni.

Insomma, credo che abbia senso dedicare un po’ di tempo alla riscoperta dei lieviti secchi, anche perché il loro utilizzo è molto più immediato e flessibile rispetto ai lieviti liquidi. Ormai mi capita spesso di acquistarne qualche busta seguendo il sentimento del momento, senza troppa pianificazione, per poi decidere all’ultimo cosa fare delle molteplici bustine che tengo in frigo.

Già ho preso una bustina di Abbaye della Lallemand che fino ad ora non ho mai utilizzato. Ho un paio di bustine di Munich Lager nel frigo, che a breve metterò nuovamente alla prova. La prossima NEIPA la fermenterò con due bustine di Saturated della WHC. Insomma, per il prossimo anno voglio continuare a sperimentare con ceppi secchi che non ho mai provato fino ad ora o anche provare a riscoprire vecchi ceppi in formato secco che avevo lasciato da parte. Una Weisse con il W-68 della Fermentis? Vedremo.

Produrre almeno due nuovi stili

Man mano che pubblico nuove ricette sul mio ebook Homebrew To Style, aggiorno il conteggio degli stili che ho prodotto in casa rispetto al totale degli stili censiti dalle linee guida BJCP del 2021. Al momento, su 101 stili censiti, ne ho brassati in casa 48. Togliendo quelli più difficili o strambi che forse non produrrò mai, come Oud Bruin, Sahti o Australian Sparkling Ale, ne ho ancora a disposizione molti tra cui scegliere.

Nel 2024, gli stili che ho prodotto in casa per la prima volta sono stati Oatmeal Stout, California Common, Weizenbock (in rifermentazione) e Dortmunder (in fermentazione). Il prossimo anno vorrei metterne in campo almeno altri due. Quali scegliere? Se da un lato l’istinto mi porterebbe a optare per stili vicini alle mie corde – tipo una Scottish Light (la Scottish Export avevo già provato a farla) o un American Barley Wine – dall’altro la curiosità mi spinge ad osare di più, magari con una Blanche, una Dunkleweizen o addirittura una International Pale Lager (praticamente una birra industriale fatta in casa).

Sono molto combattuto. Al momento, l’istinto mi dice di andare verso sfide tecnicamente più difficili e quindi direi Blanche, International Pale Lager e American Barley Wine. Che dite, l’accendiamo?

Comprarmi un rubinetto Lukr

Sono molto contento del mio piccolo impianto di spillatura a due vie: comodo, pratico, mi sta dando molte soddisfazioni. Abbinato ai piccoli volumi che produco in casa (al massimo dieci litri per cotta), lo trovo gestibile e funzionale. Ma qualcosa manca. Da grande appassionato di birre inglesi, il mio sogno è sempre stato quello di spillare in casa una bitter a pompa inglese. A un certo punto ci avevo anche fatto un pensiero, dopo aver adocchiato l’handpump in vendita su The Malt Miller, ma poi ho desistito. In parte è stata colpa dell’arrivo delle dogane per le importazioni dall’Inghilterra, ma anche l’ingombro e la poca praticità sono stati dei buoni deterrenti all’acquisto. Fortunatamente, dopo poco è andata Out of stock e il problema si è risolto da sé.

Poi ho scoperto i rubinetti della Lukr. Quelli utilizzati per spillare le birre ceche, ben raccontati in questo video. Cosa c’entra il Lukr con le handpump? Vero, sono diversi. Ma il principio di spillatura non è enormemente differente da quello di una handpump inglese con lo sparkler montato sopra. Il Lukr, infatti, monta una piccola retina che stimola la nucleazione della birra, favorendo la formazione di un cappello di schiuma soffice e morbida. Se la birra nel fusto è poco carbonata, l’effetto non è molto diverso da quello di una handpump inglese. Il moutfheel risulta più rotondo, insieme alla bassa carbonazione si riescono ad amplificare le note maltate.

Perché non provare a spillare una Mild o una Bitter inglese con un Lukr (oltre, ovviamente, alle Pils ceche per cui è stato pensato)? Quest’idea mi ronza per la testa da un po’, anche perché avere sul frigo due vie con lo stesso identico rubinetto non è di grande utilità (raramente ho due fusti attaccati in contemporanea). Che sia arrivato il momento del grande acquisto?

Francesco Antonelli
Francesco Antonellihttp://www.brewingbad.com/
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. È giudice certificato BJCP (Beer Judge Certification Program).

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