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Birra e cioccolato: l’arte di un abbinamento sfidante e irresistibile

Il cioccolato è uno dei cibi più diffusi, meravigliosi, complessi e ossimorici del mondo enogastronomico, circondato da un’aura magica e da un affascinante senso di erotismo. È un cibo che vive di contrasti: lussuoso e popolare, confortante e afrodisiaco, semplice nel concetto ma straordinariamente complesso nella sostanza. È un prodotto che porta con sé un immaginario ricchissimo – fatto di ritualità, piacere e un pizzico di proibito – e che continua a esercitare un fascino irresistibile tanto sugli appassionati quanto sui neofiti della degustazione. Dietro quel quadratino che si scioglie in bocca si nascondono mondi interi: botanica, antropologia, lavorazioni meticolose e un patrimonio sensoriale che, ancora oggi, sorprende per profondità e varietà. Non stupisce, quindi, che il cioccolato sia diventato negli anni un compagno di viaggio perfetto per esplorazioni gastronomiche sempre più raffinate – compresi, naturalmente, gli abbinamenti con la birra artigianale.

Il cioccolato, in breve

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Secondo la normativa italiana il cioccolato è costituito da:

Granella di cacao, cacao magro e cacao in polvere, saccarosio e burro di cacao. La parte secca complessiva derivante dal cacao deve essere almeno il 35%, il cacao magro almeno il 14% e il burro di cacao almeno il 18%.

Le migliori tavolette, tuttavia, enumerano solo tre ingredienti base: cacao, zucchero di canna (o fiore di cocco) e burro di cacao; alcune solo i primi due.

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Il cacao, per la cui classificazione Linneo scelse il nome piuttosto significativo di Theobroma cacao, cibo degli dei, è una pianta i cui natali vanno ricercati nella Mesoamerica e il cui habitat ideale è nelle aree dove convivono condizioni di piogge intense, ombra, temperature ed umidità elevate. È un pianta molto delicata, non può essere coltivata in maniera intensiva e ne esistono dieci tipologie: Amelonado Forestero, Criollo (che vanta numerosi cru), Nacional, Contamana, Curaray, Guiana, Iquitos, Maraňon, Nanay e Purus. Le cabosse (così si chiama il frutto, una grossa noce) sono sterili finché non vengono aperte, contengono i preziosi semi, delle grosse fave, avvolti in una polpa biancastra grassa e zuccherosa, che rimane appiccicata e permette la fondamentale fase della fermentazione.

Il nome “cacao” deriva da kakawa, parola usata dagli Olmechi, antico popolo che viveva nei territori dell’attuale Yucatan (Messico). Nel V secolo, i Maya migliorarono la tecnica di coltivazione e la elevarono a simbolo sacro. Il termine “cioccolato” compare invece soltanto dopo il 1650 (dallo spagnolo chocolate, adattamento dell’azteco xocoatl): veniva consumato esclusivamente liquido, con aggiunta di spezie e succo di mais. Accolto inizialmente con diffidenza, dal 1725 si affermò la cosiddetta formula Cadbury, che ne prevedeva l’addolcimento con latte e zucchero: è così che il cioccolato conquistò definitivamente i palati degli europei (benestanti). Nel 1828 un pasticcere di Amsterdam trovò il modo di estrarre il cacao con la separazione del burro e, nel 1847, l’inglese Joseph Fry fu in grado di produrre la prima tavoletta della storia. Un tragitto verso la democratizzazione, ma anche verso il suo attuale svilimento (vedasi alla voce junk food) e alla costruzione di filiere produttive poco trasparenti.

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Regole per l’abbinamento con la birra

Una premessa doverosa sull’abbinamento. Il cioccolato è un po’ come il formaggio: nonostante abbia un solo ingrediente come vero attore protagonista, è un cibo strutturato e difficile. Complicato perciò dare suggerimenti sempre validi, poiché le riflessioni cambiano in maniera sensibile se la presenza di cacao è al 50% o all’80%; se c’è presenza di burro di cacao o meno; se c’è zucchero, di quale tipologia e in che quantità; se c’è eventuale aggiunta di granella, frutta, spezie, sale, ecc.

Un cibo complesso e articolato, di cui bisogna sempre considerare tutte le componenti gustative: dolci, amare e grasse, la texture, la complessità aromatica e la lunghezza gusto-olfattiva. Che conseguentemente richiedono birre con evidenti contributi maltati,  tendenze dolci o dolcezze, gradazioni alcoliche importanti e una diafana percezione del luppolo. Un aspetto importante, per non rendere banali le percezioni gusto-olfattive, è scegliere birre che completino il profilo odoroso del cioccolato, più che ne costituiscano un doppione aromatico.

Fondente 70% Criollo e Draco di Montegioco

Il cioccolato fondente 70% Criollo è caratterizzato dai pregiati aromi del monorigine utilizzato e capace di trovare un eccellente equilibrio tra le tendenze dolci e quelle amare. Ne risulta una tavoletta gentile, ma dalla spiccata personalità, che riesce a tenere insieme le note tipiche della fava di cacao, quelle fruttate e floreali della cultivar, con la cremosità del burro di cacao e la lunghezza gusto-olfattiva propria delle percentuali così alte.

Per l’abbinamento abbiamo scelto la Draco, Barley Wine (con aggiunta di sciroppo di mirtilli) del Birrificio Montegioco (sito web): un’esibizione di essenze vinose e ossidate e di tostature, amplificate dalle suggestioni speziate e dalla percezione fruttata. Un capolavoro che sinuosamente fluttua tra forza alcolica ed equilibrata grazia, in grado di appoggiarsi alla morbidezza del cioccolato: una seduzione a due che lascia in bocca una vaga sensazione di bacca di vaniglia e soffi tostati.

Fondente 80% Criollo e Plum di Pohjala

Fratello maggiore del precedente – maggiore quantità di pasta di cacao e assenza del burro – il cioccolato fondente 80% Criollo si caratterizza per una leggera tendenza amara, è rotondo e vanta una felice valorizzazione delle note eleganti e fruttate della cultivar di cacao utilizzata.

Procediamo con un Barley Wine selezionato tra le proposte più “morbide”, come la Plum del birrificio estone Pohjala (sito web), potente e suadente “vino d’orzo” con aggiunta di prugne Mirabelle e invecchiato in botti impregnate di liquore di prugna: morbido e zuccherino, si offre con note aromatiche di frutta disidratata e in composta, caramello e zucchero candito, dona una gustativa fatta di dolcezze e lievi acidità e risulta candidata perfetta per godersi il silenzio e le riflessioni dopo una giornata impegnativa, ma anche per incontrare questo straordinario “signore in abito scuro”: le rotondità e la finezza aromatica vanno in accordo, si fanno sponda, valorizzando le tostature e le eleganti note ossidative, generando una sognante e stimolante rincorsa; sul finale riemerge, perfettamente integrata, la speziatura “dolce”, segno di fulgida intesa tra due fuoriclasse.

Gianduia (con cacao Criollo) e Kentucky I.S. di Carrobiolo

La tradizione piemontese accoglie la sapienza cioccolatiera sviluppatasi durante gli anni del regno savoiardo unendola a uno dei grandi prodotti del Piemonte gastronomico, la nocciola: ecco dunque la creazione geniale del vellutato e rotondo gianduia.

In abbinamento, la scelta è ricaduta su una Imperial Milk Stout maturata (15 mesi) in botti ex Bourbon, come la Kentucky I.S. della linea barriC del Birrificio Carrobiolo (sito web). Morbida, persuasiva, riempie l’aria intorno alla zona di mescita già dalla prima stilla versata con soffi alcolici, caramellosi, vanigliati e frutta rossa sotto spirito. Accoppiata con questo cioccolato funge da agent provocateur: lo seduce invitandolo a giocare, dipinge trame divertenti e sbarazzine e addiziona il suo variegato apporto aromatico, non speculare, ma perfettamente complementare a quello della birra. Il nostro palato potrà godere il tempo di un ardente amore effimero, che lascia coinvolgenti ricordi di liquore al cioccolato e specialty coffee e ispirazioni da cinema noir.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è sommelier, scrittore, divulgatore birro-gastronomico e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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