“Milano vicina all’Europa, Milano che banche che cambi, Milano a gambe aperte, Milano ride e si diverte”. Parole e musica sono di un pezzo del 1979 del compianto Lucio Dalla. Poco è cambiato per quella che gli antichi romani chiamavano Mediolanum, dalle radici antiche, con un centro storico raccolto, ma bello (e spesso bistrattato – da chi non l’ha mai visto) e fama di metropoli dinamica: è la porta italiana sul cuore del continente, efficiente e moderna, abitata da una popolazione concreta e sempre indaffarata. Per il settore birra Milano e la Lombardia rappresentano un luogo fondamentale: oltre a essere la regione italiana con il maggior numero di birrifici artigianali e quella con la qualità media più elevata (questo aspetto ci ha messo in gran difficoltà nelle scelte d’abbinamento, qualcuno è rimasto fuori solo per problemi di spazio). Qui aprirono Lambrate e Birrificio Italiano, rifugi e sostegni essenziali degli appassionati della prima ora (e anche di quelli attuali); qui è nata Unionbirrai e qui Kuaska mosse i suoi primi passi da divulgatore. Oggi il capoluogo, grazie ad una felice rinascita, può finalmente vantare anche una serie di validi locali di somministrazione.
Prima di iniziare il pasto, una bevuta aperitiva con la Tipopils di Birrificio Italiano: il giusto tributo a una birra iconica e straordinariamente buona, che mai stanca e sempre stupisce; che semplicemente rappresenta un modello di riferimento e una delle ragioni per cui il movimento italiano ha guadagnato tutta la credibilità che oggi può vantare a livello internazionale.
Antipasti: nervetti con sottaceti e mondeghili
Iniziamo con un antipasto a base di nervetti – i tendini del vitello, lessati, spolpati e serviti con cipolla e sottaceti – e mondeghili, piccole polpette fatte con l’avanzo del lesso (oggi tornate à la page negli happy hour, soprattutto nella versione fritta nel burro). Se volete selezionare una sola birra per entrambi dirigetevi verso la Stone di Doppio Malto, una amber ale in grado di affrontare entrambi degnamente e con giusta soddisfazione. Dividendo i piatti, sui nervetti opteremmo per la Asia di Hammer, Witbier che accompagna, pulisce e aggiunge spigliatezza e freschezza erbacea e agrumata; se i mondeghili sono fritti, la strepitosa e acida Birra Madre di Menaresta, una fermentazione spontanea fatta con lievito madre da pane, oppure la Nowhere di Gambolò, una APA suggestiva e giustamente secca.
Primo: risotto giallo con ossobuco
Proseguiamo con uno dei piatti più famosi della tradizione meneghina, il risotto giallo con ossobuco. Un piatto nato durante l’ormai lontana epoca spagnola, che esige una preparazione articolata ed è un inno all’utilizzo dello zafferano. Occorreranno birre con morbidezza, note maltate, una giusta, ma non prevaricante capacità detergente, personalità gustativa apprezzabile e la capacità di slanciare il profumo della spezia e le confortanti note umami del risotto. L’identikit sembra raccomandare una Bock e un po’ di alternative in regione ne abbiamo, tutte di elevato profilo: consigliamo la Cucunera di Manerba e l’Alba Rossa di Valcavallina.
Secondo: cassoeula
Come secondo scegliamo la cassoeula, un umido di carne dalle origini poverissime, che ben si accompagna con la polenta. Nella preparazione si utilizzano tutti gli scarti della lavorazione del maiale (costine, cotenne, piedino, orecchie e codino), che vengono cotti con verza e salamini dolci, chiamati verzini. Un piatto succulento e invitante, che dobbiamo supportare con birre corpose, maltate e fruttate, ma con una chiusura secca e un grado alcolico importante che taglino l’untuoso, con aromaticità suggestiva e complementare al piatto e capacità carbonica detergente.
L’idea primaria è una Tripel: quella di Extraomnes, la Minou di Hop Skin, la Caliban di Endorama o la Tripè di Lariano. A chi predilige l’amaro, anche la Techno Double IPA di Elav può regalare soddisfazioni. Infine due suggestioni di “lucida follia”: l’Inverno Nucleare, morbida e suadente Imperial Stout con pere del genio Beppe Vento di Bi-Du oppure la più franca e diretta Imperial Ghisa di Lambrate, una baltic porter affumicata.
Dessert: Bagoss, Storico ribelle e gorgonzola
Parlando del dessert, dobbiamo citare un detto tipico milanese: “La bocca l’è minga stracca se la sa nò de vacca”: cioè, la chiusura del pasto si fa coi formaggi. Eccone dunque un eccellente trittico: Bagoss, fatto con latte di vacca d’alpeggio, a pasta dura e con aggiunta di zafferano, Presidio Slow Food; Storico ribelle (Presidio Slow Food), da latte di vacca e capra, un cacio imperdibile e straordinario, con una capacità d’invecchiamento incredibile (può superare i 10 anni, ma noi in questo caso consigliamo un 18 mesi); gorgonzola, tradizionale e ben noto erborinato di vacca.
Per gli abbinamenti dobbiamo necessariamente dividere i percorsi. Sui primi due formaggi possiamo optare per una Tripel (così se avete stappato una 75 cl per il secondo ne fate virtuoso “riciclo”), che vanta opportuna allure, persistenza e complessità aromatica, che arricchiscano e completino con coerenza le note dei caci, e che è dotata di alcol e ripulente anidride carbonica per affrontare i grassi residui. Sul gorgonzola, invece, scegliamo un Barley Wine abbastanza giovane (in modo che abbia tendenze maltate più che secchezza): vinosità, liquorosità e quel tocco irresistibile frutto dell’unione tra tostature, alcol e ossidazione che si esalteranno nell’incontro con sapidità e aromaticità spiccate del formaggio. Suggeriamo: Christmas Frater Reserva di Stradaregina, OG 1111 di Carrobiolo e Trinidad El Vasco di Brewfist.