In questo periodo a dir poco difficile, a volte mi trovo a ragionare sui birrifici o semplicemente sulle singole birre che vorrei ritrovare da qui a un paio d’anni. In sostanza, penso a quei birrifici italiani, europei e americani che spero vivamente superino la contingenza del periodo, che attualmente comporta un’enorme contrazione dei consumi, la chiusura, speriamo temporanea, delle relative taproom e de plano gravissime difficoltà economiche e di liquidità. Volgendo la mente oltreoceano, i nomi che in tal senso occupano la mia mente possono essere contati su due mani e tra questi c’è sicuramente Maine Beer Company, fondato dai fratelli David e Daniel Kleban a fine 2008 e operativo inizialmente a Portland, Maine, e in seguito a Freeport (2013) dove si trova l’attuale sede con uffici e taproom, peraltro oggetto di un importante ampliamento nel corso del 2018.
I fratelli Kleban sin dagli albori della loro attività si sono sempre distinti da un lato per la grande attenzione alle risorse del territorio, dall’altra per l’enorme attenzione alle cause e alle problematiche ambientali; sul punto, basti pensare che il birrificio in parola nel 2019 ha destinato una somma di poco superiore a 150.000 dollari al finanziamento di organizzazioni che si occupano di problematiche ambientali e che ha programmato di divenire più che autosufficiente dal punto di vista energetico grazie alla copertura del tetto di tutti gli edifici con pannelli solari entro il 2022. In ordine invece al primo aspetto, i fratelli Kleban, nello studiare e attuare le ricette delle loro prime birre, non si sono avvalsi di alcuna ricerca di mercato, né hanno partecipato ad importanti homebrewing contest né tantomeno hanno collaborato con altri birrai o esperti a vario titolo. Molto più semplicemente hanno fatto conoscere le loro prime creazioni – in particolare quella che sarebbe divenuta la Peeper, un’American Pale Ale – con il sistema del “porta a porta”, presenziando alle feste cittadine e raccogliendo quanti più feedback possibili, non ultimi quelli dei bevitori occasionali. Veri e propri self-made men direbbero oltreoceano.
Ma ovviamente vi è di più, a partire dall’utilizzo di materie prime fortemente legate al territorio, lievito in primis. Il punto è decisivo perché Maine Beer Company è uno dei due birrifici pionieri nell’uso dei lieviti cosiddetti New England nelle birre luppolate, insieme a Lawson’s Finest Liquid e prima di The Alchemist. Stiamo parlando quindi delle vere “NE IPA”, comparse a cavallo tra i primi due decenni degli anni 2000 e caratterizzate da una lieve torbidità nell’aspetto, una luppolatura molto generosa, note di frutta a pasta gialla e frutta esotica e un’ottima persistenza. Molto diverse, sia sul piano visivo che su quello squisitamente organolettico, dalle Hazy Ipa che hanno conquistato il mercato americano ed europeo negli ultimi anni.
Maine Beer Company può vantare una linea di birre che definire solida appare riduttivo e un profondo radicamento territoriale, ma è altrettanto vero che le birre possono essere rinvenute sia in bottiglia che alla spina a Boston e, più raramente, persino a New York. È invece molto più difficile reperirle fresche in bottiglia dalle nostre parti, anche via trade. Il birrificio, infatti, continua in genere a portare avanti una politica commerciale abbastanza localistica, sia nelle sue referenze più ricercate come la Dinner, la Second Dinner e la Lunch – birre che nel corso degli anni hanno occupato le primissime posizioni su Ratebeer tra le IPA e le Imperial/Double IPA – sia in quelle più comuni. Peraltro, salvo alcune eccezioni, la strategia dell’azienda prevede di vendere presso la taproom “una birra per volta”, senza ricorrere a release multiple o ai four pack di lattine che tanto vanno per la maggiore, e a dare grande importanza al consumo alla spina.
Politica azzeccata, visti i risultati e ancor di più alla luce del fatto che il commento di chi sta bevendo una birra di Maine Beer Company, dal geek al bevitore men che occasionale, è spesso ricorrente: “I need one more”. Probabilmente il segreto è proprio quello: il comune denominatore della “facilità” di quasi tutte le referenze, scevre da off flavour olfattivi, da spigoli, da fastidiosi sentori vegetali o da eccessi nell’uso di frutta. Un gradimento spalmato su un’ampia platea, che comprende anche coloro che bevono preminentemente birre industriali o crafty, o che bevono raramente birra. Non di rado infatti mi è capitato di vedere fusti essere attaccati e finiti in 3 ore, scorte nei liquor store esaurite in pochissimo tempo o serie cartoni da 12 o 24 anche di una sola referenza portati via per uso domestico. Sinceramente non mi stupisco.
Invero, per quanto ho potuto constatare nelle varie esperienze alla spina e in bottiglia nel corso degli anni, con particolare rifermento alle referenze più conosciute e ricercate, sicuramente la Dinner è un’Imperial IPA che gode di grande hype: è ricercatissima localmente (lunghe file alle release) e in genere molto difficile da reperire perché gode di meritata fama anche fuori dallo stato del Maine. Sebbene sia meno ricercata, anche la sorella minore Lunch (circa 7%abv) è una birra di grande equilibrio e precisione gustativa, dove dominano profili di frutta tropicale (papaya, mango), frutta a pasta gialla (agrumi) e note di pino, bilanciate da una lieve nota caramellata del malto e con un finale resinoso ed erbaceo che risulta di media persistenza, mai eccessivamente invasivo nell’intensità. A mio modesto avviso veramente una birra per tutte le occasioni, nomen omen direbbero i latini, che non risulta mai stucchevole o monocorde. La Lunch fu messa in commercio a fine marzo del 2011, sulla base di una ricetta perfezionata già nel 2010 e mai oggetto di variazioni, se non marginali. Il motivo è probabilmente da ricercare nelle parole dei fratelli Kleban:
Just be true to yourself and to your artistic vision when you are developing a beer recipe. If you are authentic, that is going to translate and no need to change.
Spero proprio di poter bere nuovamente la Lunch, meglio se al mio adorato bancone, insieme alle altre referenze di Maine Beer Company, e magari riuscire anche a visitare la taproom.