In oltre due anni di vita di questo blog ho più volte avuto la tentazione di affrontare il problema della definizione di “birra artigianale”. Finora ho sempre desistito, perché si tratta di un argomento complicato, rispetto al quale esistono opinioni molto differenti. E’ sempre stata una questione che prima o poi avrei voluto analizzare e che è rimasta lì, in quel limbo di potenziali post che attendono di diventare articoli veri e propri. Un thread aperto la scorsa settimana su it.hobby.birra da Luigi D’Amelio aka Schigi mi ha spinto a trasferire anche su queste pagine il dibattito. Quello di oggi è il primo di una serie di post in questo senso. Personalmente ho già una mia idea di “birra artigianale”, che spero di approfondire con i vostri contributi.
Innanzitutto secondo me è importante chiarire un punto: perché è necessario trovare una definizione di birra artigianale? Ovviamente per fissare le produzioni brassicole che rientrano in questa famiglia, ma non solo. Il primo approccio con la birra artigianale molto spesso avviene in antitesi rispetto a quella industriale. Alle persone che si avvicinano a questo mondo la birra artigianale viene presentata con una serie di caratteristiche che la differenziano dai prodotti delle multinazionali, conosciuti praticamente da tutti. I primi concetti che si apprendono sono in contrapposizione con le caratteristiche della birra industriale. La necessità di una definizione nasce dal bisogno di distinguere le produzioni dei microbirrifici da quelli degli industriali; per sottolineare insomma che non si tratta della stessa identica bevanda.
Fino a qualche anno fa in Italia era data per scontata la definizione di Unionbirrai, che definiva la birra artigianale come una birra non pastorizzata e non filtrata. Questa formula si è però rivelata col tempo restrittiva, tanto che in seguito il riferimento alla filtrazione è scomparso, mentre è stato inserito il concetto di “birra cruda” – aggettivo che tra l’altro poco piace alla comunità di appassionati. La rapida evoluzione del movimento nazionale ha spinto Unionbirrai a elaborare una nuova definizione, che recita quanto segue:
La birra artigianale è una birra cruda, integra e senza aggiunta di conservanti con un alto contenuto di entusiasmo e creatività. La birra artigianale è prodotta da artigiani in quantità sempre molto limitate.
Come si può leggere, i riferimenti alle tecniche di produzione sono diventati molto labili, mentre è chiara l’allusione alle caratteristiche “emotive” del prodotto. Queste novità non sono casuali, anzi rappresentano una risposta alla crescente difficoltà di inquadrare i prodotti artigianali in una categoria ben definita. Si nota perciò un costante “ammorbidimento” della definizione verso criteri più elastici, anche in seguito ad aspetti emersi nel mercato italiano e in quello internazionale.
In particolare, il riferimento a specifiche tecniche produttive rende la definizione estremamente rigida. Se da un lato questo aspetto tende a circoscrivere la tipologia di prodotti appartenenti alla birra artigianale in maniera molto netta, dall’altro esclude tutta una serie di birre che meriterebbero comunque di essere considerate valide, anche solo perché oggettivamente di qualità superiore rispetto alle prime. Un esempio su tutti è quello relativo alla filtrazione, che, se eseguita in modo non eccessivamente invasivo, non compromette l’integrità del prodotto, permettendo al tempo stesso di controllare meglio la qualità finale.
Anche il riferimento a determinati ingredienti può essere decisamente svantaggioso. Sappiamo che l’industria è solita ricorrere a surrogati del malto d’orzo per una serie di vantaggi, tra i quali l’abbattimento dei costi di produzione. Ovviamente questa pratica contribuisce ad ottenere un prodotto di bassa qualità, per cui il primo istinto sarebbe quello di considerare birre artigianali solo quelle realizzate con malto d’orzo. In questo modo però si fisserebbe un vincolo molto penalizzante alla creatività dei birrai, in aggiunta a diverse conseguenze di analoga entità.
A questo aspetto si potrebbe obiettare che in Germania i birrai convivono da secoli con l’Editto della purezza, che limita enormemente gli ingredienti ammessi in una birra. Ma la cultura birraria tedesca si è plasmata nel tempo intorno a questo principio, che oggi non sarebbe applicabile in nessun altro movimento birrario del mondo, Italia compresa. Per questa ragione la definizione di Unionbirrai fa bene a vietare l’uso di conservanti, senza riferirsi a ulteriori ingredienti.
Anche il riferimento a precisi dati dimensionali dell’azienda risulta alquanto fuorviante. Negli Stati Uniti esistono società molto grandi che producono birre non solo considerate artigianali, ma che sono veri e propri punti di riferimento per molti appassionati. In questo senso è possibile che una birra artigianale sia prodotta da qualcosa che non può essere considerato un microbirrificio: non esiste cioè una correlazione diretta tra le dimensioni aziendali e il prodotto finale. Come suggerito da Lelio Bottero nel thread citato in apertura, nell’ambiente un colosso come Brooklyn Brewery è ritenuto artigianale, mentre l’italiana Forst industriale. Non conosco le dimensioni esatte delle due aziende, ma credo che siano più o meno simili. Criteri di questo tipo sono perciò assolutamente inutili.
L’esempio precedente introduce un’altra questione. Probabilmente se non ci sono dubbi nel considerare Brooklyn artigianale nonostante le sue dimensioni è anche per merito del suo birraio e front-man, Oliver Garrett. Garrett è un grande comunicatore, capace di esprimere tutta la passione che mette nel suo lavoro. Sentirlo parlare è uno spettacolo e ci si rende conto che per lui fare il birraio è la cosa più bella del mondo. La passione non è un elemento secondario quando si cerca di definire la birra artigianale: finché questo aspetto resta in primo piano, gli altri perdono di importanza.
Secondo Randy Mosher la passione è addirittura l’unico elemento discriminante per distinguere una birra artigianale da altro. Ecco le sue parole da un’intervista fattagli da BBTex:
Impossibile da definire, più fai regole, più ci sfuggi. Sono le persone che la fanno che risultano decisive per la definizione. E’ artigianale quando è guidata dalla passione. Chi fa marketing, e decide cosa il consumatore
vuole, quello fa birra industriale, perchè perde il legame con la gente.
Per tutti questi motivi a mio avviso una definizione di birra artigianale deve cercare di stabilire criteri molto elastici, tenendo in considerazione anche caratteristiche non direttamente misurabili. Nei prossimi giorni torneremo sull’argomento per snocciolarlo ulteriormente.
La birra artigianale è prodotta da artigiani in quantità sempre molto limitate
“entusiasmo” sono vocabolo che si addice poco ad una definizione.
Anche quelli che stanno dentro la casa del grande fratello sono pieni di entusiasmo…
Sarebbe meglio se la definizione di “birra artigianale” fosse incentrata sul processo produttivo e non sull’estrosità del birraio.
acchio, devo rileggere prima di postare, volevo dire “è un vocabolo”
@velleitario
Sì, probabilmente inserire concetti quali “entusiasmo” e “creatività” nella definizione è una scelta opinabile. Magari non sono i giusti termini da utilizzare, ma secondo me è lodevole il tentativo di fornire anche una componente “umana” a ciò che implica una birra artigianale. Non è solo una soluzione “romantica”, ma direi funzionale: lo stesso concetto di “artigianale” in senso generale si ricollega alla presenza dell’uomo in contrapposizione a quella della macchina (serialità).
A mio avviso, più una definizione di birra artigianale punta in modo esclusivo al lato prettamente tecnico, più risulta inadeguata.
Dal Garzanti
artigiano
s. m. [f. -a] chi, in proprio, con l’aiuto di familiari o di pochi dipendenti, produce oggetti d’uso o di ornamento la cui realizzazione richieda una particolare capacità tecnica o un certo gusto artistico
@amarillo
Secondo te una birra artigianale (o, diciamo, di qualità) prevede necessariamente la figura dell’artigiano?
Io penso che le parole siano importanti. Se scrivi sull’etichetta “birra artigianale” presumo che a farla sia un artigiano. Altrimenti scrivi solo “non filtrata” o “non pastorizzata” o “fatta con ingredienti di alta qualita’/biologici/ecc”.
Una definizione “birra artigianale” secondo me non puo’ prescindere da un artigiano che la fa, altrimenti e’ un aggettivo usato a sproposito.
@amarillo
Secondo me dover restringere una definizione al significato letterale di una terminologia ormai acquisita mi sembra penalizzante.
Cioè probabilmente l’aggettivo “artigianale” non è il termine migliore per spiegare la birra che beviamo, però assodato che ormai è questa la parola utilizzata, possiamo limitarci alla sua definizione letterale?
Tu proponi una lettura critica sul senso di utilizzare l’aggettivo “artigianale”… ma questo è un altro discorso.
non ho capito il senso dell’articolo.
se chiederai cosa significa artigianale a 1000 passanti otterrai 1000 risposte diverse.
e poi chi dovrebbe decidere per tutti noi cosa si può scrivere in un etichetta, e il criterio da usare?
avete mai ragionato su quanto il termine ” artigianale” sia abusato nel cioccolato, nei gelati, nel pane e altri alimenti ?
So che inserire termini come “passione” nella definizione di un prodotto può sembrare una romanticheria fuori luogo, e so anche che la passione non è sufficiente per avere buoni risultati (anche Hitler a suo modo aveva “passione politica”, ma i risultati, beh…); tuttavia, senza la passione, senza l’amore per il prodotto che si sta facendo (che presuppone anche una profonda conoscenza: se ami qualcosa, quantomeno la conosci) siano punti di partenza imprescindibili per ogni artigiano.
Che opinione avreste di una birra non pastorizzata e non filtrata, con materie prime di buona qualità, fatta da un piccolo produttore, che però non nutre alcun interesse per la birra e lo fa solo ed esclusivamente come business (non dico “anche come business”, che è perfettamente legittimo, ma solo ed esclusivamente)?
Secondo me amare il prodotto che si sta facendo è una caratteristica irrinunciabile di ogni artigiano, quindi anche di ogni artigiano della birra; per questo la prima parte della definizione di Unionbirrai mi trova sostanzialmente d’accordo, anche se io avrei eliminato la parola “creatività” (se uno non è per nulla creativo e riproduce una ricetta collaudata da secoli, portando avanti una tradizione, può fare ottima birra lo stesso).
La seconda parte invece non mi trova per niente d’accordo, non credo che le dimensioni del produttore siano un discrimine per definire una birra artigianale rispetto ad una industriale.
l’attività artigianale non è una cosa campata in aria, è disciplinata dalla legge.
il discorso sulla passione e sull’entusiasmo lascia il tempo che trova…
è una cosa che non si può misurare e quantificare, chiunque potrebbe asserire che c’è entusiasmo e passione nel proprio prodotto, anche Peroni.
la butto lì, non potevano dire una cosa del genere:
la birra artigianale dei microbirrifici consociati ad UnionBirrai è genuina, non pastorizzata e filtrata entro … (quantificare i parametri please).
poi, se si vuole fare un elogio alla passione e alla creatività dei birrai italiani si può coniare un motto. Ma una definizione non deve mai essere ambigua e interpretabile.
@velleitario.
ti riferisci alla seguente indicazione ?
L’imprenditore Artigiano
Chi è imprenditore artigiano?
E’ imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, o socio, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo.
(L.n. 443/85, art. 2)
L’impresa artigiana
Le caratteristiche dell’impresa artigiana
E’ artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali stabiliti dalla legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi.
L’impresa artigiana può essere costituita sottoforma di:
ditta individuale
di società di persone:
società in nome collettivo (snc)
società in accomandita semplice (sas)
società a responsabilità limitata (srl) uninominale
penso che questa descrizione sia ben diversa dall’idea che il consumatore si è fatto della birra artigianale.
@Turco
Grazie della citazione, sei una delle poche certezze della vita.
cruda è un aggettivo francamente terrificante. per me crudo vuol dire non cotto, difficile da asserire per un mosto che supera abbondantemente i 70° in fase di bollitura… se con crudo si intende un altro concetto, si esprima il concetto con termini appropriati… altrimenti si fa la stessa confusione che hanno sempre fatto gli industriale, e a me pare una cosa che puzza molto di strada breve, di marketing (qualsiasi ignorantone sa cosa vuol dire birra cruda, e magari se me lo spiega…) e lo trovo molto grave
una definizione per avere senso dovrebbe essere oggettiva e/o misurabile. se uno dei due requisiti viene a mancare, diventa facile preda di chiunque (artigiani compresi) e finisce per perdere significato, nella migliore delle ipotesi, oppure per assumere un significato ingannevole, sputtanandone il buon nome a scapito magari dei più rigorosi. non ci si lamenti poi se la Ainechen si inventa un brand nuovo di zecca e lo etichetta come “artigianale”: potrebbe tranquillamente asserire di rispecchiarsi nella definizione sopra e nessuno potrebbe trovarci da ridire, essendo piuttosto elastica se non fumosa…
forse meglio creare un marchio che si rispecchia in un disciplinare serio. e non è detto che tutte le birre prodotte da un birrificio debbano aderirvi… si può anche produrre una linea non marchiata artigianale…
forse meglio ancora non cercare di definire ciò che oramai è indefinibile. forse meglio puntare ad una etichetta chiara ed esaustiva dando al consumatore elementi solidi su cui decidere, responsabilizzandolo invece che vendendogli specchietti per le allodole
per me artigianale, come diceva qualcuno, vuol dire una sola cosa: la prevalenza nell’attività d’impresa del capitale umano rispetto a quello finanziario rappresentato da immobilizzazioni e macchinari. se qualcuno riesce a definirlo in maniera oggettiva, magari legandolo alla qualità delle materie prime… altrimenti è meglio alzare bandiera bianca e concentrarsi sul concetto di birra di qualità (involontariamente Polliano ma mi è sempre piaciuto di più), ammesso che sia più semplice da trattare…
ah, ricordo che il luppolo è un conservante…
Quoto SR ma più brevemente.
Anche io sostengo che il termine “birra cruda” sia semplicemente errato. E che questo venga da gente che fa parte del mondo birrario lo trovo ancor più grave.
La birra viene fatta da un mosto che viene cotto. “Si fa la cotta”. E la birra sarebbe cruda? E’ sbagliato e fuorviante per chi vorrebbe capirci qualcosa in più.
Così l’ignorante di turno legge “birra cruda” e va sul sicuro?
No, così no.
Se la creazione di una definizione deve generare più confusione di prima, allora meglio lasciar le cose così come sono.
A me sta storia del vade-retro-marketing ha un po’ scassato.
Volenti oppure meno ogni produttore deve arrivarci faccia a faccia, e l’artigiano tecnicamente eccelso ma senza idee strategiche per me non va da nessuna parte.
@Leo
Un conto è il marketing intelligente e onesto.
Un altro quello che usa definizioni che si prestano a interpretazioni errate e devianti e che rasenta la “circonvenzione d’incapace”.
@Schigi
D’accordissimo, e quello che ho scritto non lo nega.
mi permetto una citazione anche io, sperando che non sia ridondante:
Un’artigiano nutre prima la sua anima
poi il suo corpo.
Ha bisogno di sentire, toccare, fare qualità.
Dedica a questo scopo la sua vita.
Spesso la consuma senza ottenere
un risultato che lo accontenti.
Qualche volta riesce a esprimere la qualità e
a sentirsi vicino a Dio e agli artisti.
Allora in quell’attimo è felice.
Poi ritorna nel parire nella passione di fare e
nella speranza di “vedere”.
Generalmente defi nisce così la sua vita,
nella gioia di qualche attimo di felicità e
con la coscienza di averla consumata
in cambio di poche briciole di sapere,
ma che in fondo ne valeva la pena.
E’ sempre un bel gioco essere vivi!
(di Dario Cecchini tratto da Spirito Divino Anno 3 n° 12).
Ma per quale motivo bisogna creare una definizione di birra artigianale?
Produttori di vino che fanno 30.000 bottiglie scrivono “Vino artigianale”?
Esistono birre buone e birre scadenti!
@Marchetto
Che tu sappia, il vino viene pastorizzato o fatto con estratti?
http://en.wikipedia.org/wiki/Craft_brewery#Craft_beer
Sierra Nevada produce 1.000.000 di barrels per anno(un barrel sono 119L); la sua Pale Ale è la seconda birra “artigianale” più venduta negli USA ed il birrificio di Chico è il secondo “craft” statunitense ed il 6° produttore di birra nazionale!!
Definire artigiano la Sierra Nevada è improprio, ma produttore di birre di qualità forse, mi sembra più consono
Ultimamente ho bevuto la loro Pale Ale, che tutti conosciamo, filtrata e poi rifermentata e rimane per me il punto di riferimento per lo stile APA e per la bilanciatura degli ingredienti.
In Italia non si raggiungeranno mai i volumi di Sierra Nevada, ma neanche della più piccola micro statunitense, quindi la definizione di birra artigianale potrebbe essere quella più appropiata e bisognerebbe classificare i parametri per distinguerla da una birra industriale:
NON PASTORIZZATA
NON FILTRATA (forse è quello che distingue una birra di qualità da una artigianale)
SENZA AGGIUNTA DI ADDITIVI CHIMICI O STABILIZZANTI
ELENCO DELLE MATERIE PRIME E TIPOLOGIE DI MALTI E LUPPOLI UTILIZZATI
TEMPERATURA DI SERVIZIO E BICCHIERE DA UTILIZZARE.
La filtrazione permette una maggiore stabilità e shelf life, sia delle birre in fusto che di quelle in bottiglia, poichè vengono rimossi lieviti, proteine e microorganismi, ma siamo sicuri che questo sistema non abbia ripercussioni anche dal punto vista organolettico?
Vi metto un link sul sito della Pedavena che mi sembra molto esaustivo…
http://www.birrapedavena.it/?filtrazione+news=la_filtrazione_della_birra
ed anche questo sulla tecnica di filtrazione descritta nell’articolo
http://www.sepra.it/index.php?pagina=33
Poi anche questo tradotto con Google…
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.beer-brewing.com/beer-brewing/beer_filtration/beer_filtration_methods.htm
@ Schigi
Alcuni vini sono sicuramente pastorizzati, molti microfiltrati.
Per gli estratti non so risponderti, ma vari concentratori di mosto vengono usati. o sbaglio?
@Marchetto
Informati meglio, neanche il Tavernello è pastorizzato.
@Schigi
e quindi diciamo che impianti del genere: http://www.quattrosystems.it/4systems_depliant.pdf
per chi li producono? il tavernello non è pastorizzato, questo lo sapevo. Ricordo una risposta del sig. Tavernello sul blog di Ziliani.
Senza sforzarmi troppo, http://www.caldirola.it/azienda.asp , leggi cosa fanno nella stabilimento di Missaglia.
@Marchetto
Fanno 30.000 bottiglie?
Quando vedrò un birraio “artigianale” con le mani spaccate come quelle di Domenico Clerico e non con anelli e manicure…
@Schigi
Appunto! quindi concordi con me che trovare una definizione alla birra artigianale non serve a niente.
Che poi perchè un birraio artigianale dovrebbe spaccarsi le mani come chi lavora in vigna a dicembre sotto la neve? mi sembrano lavori molto diversi.
@Marchetto
Sei tu che hai tirato fuori il vino…
Il fatto è che per il consumatore è molto più facile rendersi conto di essere davanti ad un vino non artigianale rispetto ad una birra.
Qualche paletto condiviso(gli ingredienti?La pastorizzazione?Almeno una vUlvola manuale?) sarebbe utile.
Ciao a tutti.
Il birrificio iscritto ad Unionbirrai produce meno di 10mila hl/a, all grain e non pastorizza: è una buona base o no?
La definizione di birra artigianale, va creata, altrimenti come tuteliamo le nostre produzioni?
Non dobbiamo discutere se la birra artigianale è più buona di quella industriale, se c’è passione o meno, vabbè qualcuno rimarrà fuori, pazienza, non bisogna drammatizzare.
Io proporrei di quantificare un limite produttivo per i microbirrifici, secondo me 2000hl annui sono già tanti, identifichiamo la birra artigianale come il prodotto dei microbirrifici e indichiamo che la birra artigianale è un prodotto al cui interno c’è una quantità X minima di cellule di lievito vivo, in questo modo eliminiamo i Pastorizzatori e i Microfiltratori.
A questo punto posso tollerare anche chi pastorizza e poi rifermenta in bottiglia.
Qualcuno rimarrà fuori? Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Ciao
dipdon
@schigi, Simone
Ma perchè tutto questo timore della pastorizzazione?
@Presidente Unionbirrai
E’ un’autocertificazione dei birrifici o avete un disciplinare con dei controlli?
@Marchetto
Non sono un necrofilo.
@marchetto.
ti faccio la domanda inversa.
perché pastorizzare ?
@Schigi
è fin dall’inizio una autocertificazione, ma siamo pronti ad andare oltre, i tempi sono maturi.
Se vuoi puoi rispondere alla domanda che non è se Unionbirrai è in grado di controllare, ma se la base di partenza è buona o no.
@ Marchetto: nessun timore, lo riteniamo un fattore troppo penalizzante per la qualità finale del prodotto. A mio avviso la caratteristica di vitalità e freschezza della birra artigianale è fondamentale.
@ dipdon: caro Donato, non sono d’accordo. Una definizione di Birra Artigianale non dovrebbe essere così restrittiva. Un disciplinare che supporti un marchio è altra cosa (e sarebbe anche pronto).
Non dimentichiamoci che viviamo in un mondo, per esempio in Europa, dove per piccolo produttore si intende chi produce meno di 200 mila hl/a.
@Simone Monetti
E’ assolutamente una buona base di partenza.
E certo non credo, né sarebbe normale pretenderlo, che Unionbirrai possa avere una rete di controlli.
A me basterebbe che ogni birrificio iscritto ad Unionbirrai rilasciasse all’associazione una dichiarazione, su propria carta intestata, in cui dichiara che non pastorizza, non microfiltra (alla fine la stessa cosa…) e non utilizza estratti.
Credi sarebbe fattibile?
@simone
per me è una buona base di partenza. ma vorrei vedere quello che hai scritto (che sono paremetri oggettivi) nella definizione, non birra cruda…
occhio al limite produttivo: il giorno che un associato lo sfonda lo buttate fuori o cambiate il disciplinare? rifletteteci… forse non vale nemmeno la pena metterlo
@leo
l’importante è che quando si faccia marketing si faccia marketing, e non cultura o difesa del prodotto. altrimenti vien fuori una porcheria che non fa comodo a nessuno, se non ai furbastri. per non parlare di massimi sistemi: te quella definizione sopra la trovi buona o un’arrampicata sugli specchi?
adesso vado OT. e chiedo:
ma davvero microfiltrare = pastorizzare? mi spiego: l’intento può essere simile, annientare ogni forma di vita. ma farlo con un aumento della temperatura non ha anche altri effetti organolettici che una filtata non ha?
e chi microfiltra un po’ per pulire ma senza abbattere compeltamente la vita dentro alla bottiglia? e chi microfilitra e poi reinocula lievita fresco per la rifermentazione?
io non sono a priori contro la microfiltrazione, specie non spinta. magari anche sapendolo. la pastorizzazione mi mette molta più inquietudine. ma magari sbaglio
Premesso che: un birrificio artigianale italiano non raggiungerà mai le dimensioni di uno statunitense, neanche il più piccolo, e neanche il livello di commercializzazione dei suoi prodotti, un disciplinare per la birra artigianale italiana dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:
NON PASTORIZZATA
NON FILTRATA
e qui si potrebbe discutere, poichè la filtrazione elimina lieviti esausti, proteine, microorganismi che potrebbero compromettere la conservazione della birra, ma i birrai belgi non si pongono questo problema :-)), il problema è su alcune birre italiane che paghi come una buona Barbera e te le ritrovi con fondazze, infette e chi più ne ha più ne metta!!!!
LINK sulla filtrazione:
http://www.birrapedavena.it/?filtrazione+news=la_filtrazione_della_birra (l’ultimo pezzo è inquietante…)
http://www.sepra.it/index.php?pagina=33
SENZA CONSERVANTI CHIMICI
poi sull’etichetta dovrebbe esserci: RIFERMENTAZIONE IN BOTTIGLIA, INGREDIENTI CON RELATIVA PROVENIENZA E CLASSIFICAZIONE
Io un po’ necrofilo lo sono.
Perchè ritengo sia meglio microfiltrare che trovarsi 2cm di fondazza di lievito in una bottiglia.
Perchè ho assaggiato tante buone birre microfiltrate e pastorizzate.
Perchè se una birra è buona, rimane buona anche dopo queste tecniche paurose.
Perchè come dice SR, si può microfiltrare e poi rifermentare in bottiglia…
@bilbo
Ma scusa, perchè deve per forza essere rifementata in bottiglia?
@SR
Se intendi la parola “cruda”, non piace nemmeno a me.
@SR
Ciao Stefano!!
Se penso a Sierra Nevada…filtra e poi re-inocula e la sua Pale Ale è la APA per eccelenza
La pastorizzazione è deleteria dal punto di vista organolettico e nutrizionale in per la birra, che perde tutte le vitamine del gruppo B…ma anche nel caso del latte e dei formaggi
Comunque vorrei chiedere un parere ad un tecnico, ad esempio a Flavio, ma non ne ho mai avuta l’occasione
@Marchetto
alcune birre artigianali italiane in bottiglia NON SONO RIFERMENTATE e all”estero ad esempio St. Peter’s che conosciamo bene, non pastorizza, filtra, ma non rifermenta e per questo le sue birre non hanno la dicitura BOTTLE CONDITIONED e non sono considerate REAL ALE(in bottiglia), come anche molti produttori americani
La rifermentazione in bottiglia permette oltre che una carbonatazione naturale, una evoluzione del gusto nel tempo ed una sua maggiore shelf life
@bilbo
uella! va che alcuni belgi i problemi se lo sono posto, eccome, e l’hanno anche risolto, solo non te lo vengono a raccontare… il problema è che o si fa chiarezza su cosa c’è dentro una bottiglia di birra o è tanto inutile creare categorie indefinibili che ti si ritorceranno contro. a quel punto, se si tratta di una categorizzazione di marketing, crei il marchio “birra UB” e stai in una botte di ferro
@leo
non intendevo solo “cruda”, anche se quell’aggettivo è la punta di diamante di tutto il periodo. intendevo l’insieme. sembra una di quelle frasi che puoi leggere sulle tovagliette del Birrificio Italiano. il problema è che sulle tovagliette del BI vanno benissimo, perché è marketing. se invece si vuole definire un discplinare, o qualcosa del genere, a me pare si possa fare di meglio…
@marchetto
ti quoto tutto, tranne una cosa che la tua correttezza intellettuale mi avallerà: se una birra è buona da paura dopo la pastorizzazione o la microfiltrazione totale, prima sarà buona da terrore… o no? diciamolo. e perché allora si stabilizza violentemente? per poter produrre un sacco e vendere anche dal benzinaio sotto il sole senza avere troppi problemi di degrado e di scadenza. allora, se il fine è questo e il risultato è quello che mi raccontava il mio amico Tyrser, cartoncino da 8 bottiglie di IPA 90 di Dogfish Head a 8 USD all’aeroporto di Atlante, ben venga. sempre riportato in etichetta possibilmente. ma ho i miei dubbi che il fine sia quello… e io una 0.75 di ArtigianAle pastorizzata a 8 euro non la piglio
@marchetto
allora spiegami.
come mai ci sono microbirrifici che qui in Italia riescono a fare birra non torbida e senza 2 cm di fondo non pastorizzando ?
non credi che sdoganare anche la pastorizzazione sia l’inizio della fine per tutti ?
a quel punto l’ industria potrà dire a ragione : “facciamo la stessa identica bevanda!”.
@SR
Allora riformulo: del periodo definizione birra artigianale secondo UB tengo il “senza conservanti” (aggiuntivi), il resto lascia troppi spazi aperti.
Un marchio, un disciplinare o cose del genere valgono solo per quanto il pubblico gli riconosce. Il miglior marchio del mondo non serve a nulla se nel negozio il pubblico non dirà: compro solo quella marchiata xyz.
Per ottenere questo servono investimenti in comunicazione ingentissimi. Senza investimenti ci stiamo facendo delle belle seghe. Non dimentichiamo che il mondo della birra artigianale italiana è talmente piccolo… e che ancor più piccolo è il suo mercato.
Detto questo in italia esiste una associazione cha da 10 e più anni promuove la birra artigianale italiana. Quel poco riconoscimento che ha oggi è in gran parte dovuto ad essa. per farne parte un birrificio deve avere certi requisiti. Ad oggi, Birrifici sedicenti artigianali e che non lo sono o che producono con metodi non ritenuti idonei, non vengono accettati. Porsi il problema se sia sufficiente una autocertificazione o se esista un protocollo di verifiche è ridicolo. I 60 associati sono conosciuti direttamente. Qualora esistanon dei dubbi non vi è nessuna difficoltà a verificare direttamente.
I parametri per fare parte di Unionbirrai sono definiti e possono essere discussi e modificati nel corso del tempo (pastorizzzazione, filtrazione, ettolitri etc)
Possiamo inventare ogni giorno una nuova campagna, battaglia iniziativa per promuovere, riconoscere, identificare, proteggere vuoi il produttore, vuoi il consumatore: Marchi, disciplinari, etichette. ma come dicevo prima, senza una adeguata forza economica alle spalle servono tutt’al più a dare un po’ di visibilità a chi li propone.
Capisco che siamo il paese dei partitini, partituscoli e ognuno vuole il suo, ma visto che esiste una associazione specifica, sarebbe un’idea così balzana quella di sostenerla tutti insieme e darle la forza di cui ha bisogno?
@michele
sintetizzando: intendi dire che tutti dovremmo sostenere economicamente UB? tutti chi? i birrifici, i consumatori o entrambi?
Intanto dico chairamente che io sono un consigliere di UB così che non sembri che voglio fare il furbo.
Come prima cosa direi che già condividere le posizioni dell’unica associazione che rappresenta i microbirrifici sia un contributo a rafforzare il settore. Quindi possibilmente non creare altre cento parrocchie disperdendo le energie in mille direzioni.
Faccio un esempio: Il concorso organizzato Birra dell’anno organizzato da UB ah visto la partecipazione di circa 300 birre. Una giuria veramente di alto livello. Pensiamo che una ricchezza tale vada sostenuta o che vada ostacolata creando altri n. contro concorsi? E quando dico sostenuto mi riferisco anche al fatto che tutta la baracca è stata gestita da 4 gatti che si sono ammazzati di lavoro, ed è ovvio che ci sono stati molti problemi.
Se poi non si condividono pienamente le posizioni di UB ( considerando poi che in democrazia i risultati si ottengono attraverso la mediazione e i compromessi) entrarvi e esprimere le proprie idee.
Sostegno economico: Beh, per i birrifici direi che se ritengono che una associazione sia utile dovrebbero proprio farlo. Di nuovo, se non condividono al 100 per cento le scelte, o se ritengono che dovrebbe fare cose diverse non hanno che da partecipare.
I consumatori: Non son qui a fare Fund Raising, ma ancora, penso ceh se si ritiene che un movimento abbia una utilità sia bene sostenerlo: UB ha un settore appassionati. Poi ci sono altri Gruppi, come ADB e MOBI. Francamente non ho ancora capito perchè una parte dei soci Appassionati di UB sia uscita per creare MOBI che ha portato ad una frammentazione di cui non sono sicuro che ci fosse bisogno. Le istanze di quel movimento non potevano tranquillamente essere portate avanti all’interno di UB?
@SR
Il fatto è proprio questo. La birra di partenza non pastorizzata potrebbe essere straordinaria , ma se posso comprare ad 1 euro una birradidddio me ne frego :-)!
Forse pian piano si arriverà a questo in Italia. Almeno lo spero.
Calagione a 5-7 anni dall’apertura aveva un pastorizzatore? a quanto vendeva le sue birre? dove le vendeva?
Ma perchè ora la compri una ArtigianAle rifermentata e non pastorizzata ad 8 euro? 😉
@marchetto
Calagione non so. ma ci sono tanti altri brewpub che vendono le birre a meno del poco che costano quelle di Calagione. eccoti un esempio tastato con mano: http://www.eltorobrewing.com/main.html. o ti potrei dire Ballast Point, che è forse un filo più grosso di Baladin (forse) e che ha prezzi in linea, come in tutti i posti dove la concorrenza funziona. io di gioiellieri della birra ne ho visti pochi da quelle parti, tranne qualche inevitabile figheggia su botti. ma sulle IPA, vivaddio, si scannano. magari Moylan’s è più piccolino e costa un pelo di più. un pelo, non una treccia di un rasta
Art: una volta se ben ricordo veniva via a 7.5 euro. non so se poi l’iperinflazione abbia colpito anche Bizzarrone, non ci vado mai, il locale nuovo non mi piace francamente. se come diceva Beppe ci saranno le mezze chiederò ad uno dei soci… 😀
@michele
io sono fermamente dell’idea che mettere nella stessa associazione compratori e venditori sia uno sbaglio e un conflitto interno. la penso così da anni prima di MoBI. ne parlavo giusto l’altra sera col presidente di UB. i partitini all’italiana sono uno sbaglio, ovvio. ma il monopartito sovietico lo è ancor di più: voglio vedere poi scalare il vertice del soviet… credo che rappresentare domande e offerta sia doveroso ed eviti contrasti che sarebbero cmq sorti
ovviamente ciò non dovrebbe escludere affatto una collaborazione. ma collaborazione vuol dire due cose: dialogo e non plebiscito, e nello specifico del tema in discussione non deve voler dire “questa è la definizione, appoggiatela” ma “cosa ne pensate di questa definizione?”. e di questo si sta parlando
poi collaborazione dovrebbe voler dire (nel caso specifico di Birra dell’Anno, che io considero un bellissimo concorso al quale ho avuto la fortuna di giudicare in passato) mettere in comune idee, organizzazzione, nomi delle associazioni. altrimenti, è solo una richiesta di manovalanza, che peraltro potrebbe benissimo svolgere anche qualche birraio, con tutti gli accogimenti del caso per mantenere l’imparzialità del concorso. o no? fare un concorso comune, o con la collaborazione di, non sarebbe una iniziativa intelligente, al di là di screzi e gelosie che rendono probabilmente impossibile anche solo parlarne?
risorse economiche: se i birrifici sono i primi ad essere restii nell’investire in UB, che dovrebbero pensare gli appassionati? che dovrebbe pensare l’appassionato quando sentiva di birrifici che puntualmente si associavano prima di Pasturana? era per la cultura o per vendere fusti?
per me l’unico modo che un appassionato ha di sostenere economicamente l’associazione dei birrifici italiani è quella di comprare birra italiana. saranno poi i birrifici a destinare una quota di utile ad iniziative comuni tramite UB. l’importo dipende dal livello più o meno elevato di miopia dei birrifici italiani e pare ci vogliamo un sacco di occhiali in Italia
Ovviamente ogni idea è legittima , ma mi piacerebbe capire meglio perchè ci sarebbe conflitto. Che tipo di “storture” avrebbe creato la compresenza?. La sezione Pro e la sezione Appassionati di UB sono indipendenti l’una dall’altra. Qualche anno fa si voleva decidere appunto se rendere indipendenti i due rami o dividersi in due associazioni. Fu fatta un’assemblea e si votò. Gli appassionati si espressero per due rami all’interno della stessa associazione. Il ceh testimoniava che la maggior parte di loro non vedeva conflitto, ma mi piacerebbe che mi si spegasse meglio.
Quanto al soviet e al plebiscito mi fa molto dispiacere sentire queste cose, e mi piacerebbe che mi venissero portati degli esempi di opinioni che non sono state oggetto di dialogo o di persone a cui sia stata impedita la scalata del soviet. UB soffre del problema contrario. Io ho rimesso la mia carica a Rimini un anno fa, ma sono ancora qui perchè nessuno si è fatto avanti per prendere il mio posto. E questo problema si è presentato ad ogni elezione.
Risorse: Ribadisco che sostenere non è solo una questione di soldi. Partecipare ad una discussione e condividere gli obiettivi è altrettanto importante, e sono d’accordo che stia ai birrifici finanziare il ramo Pro di UB. Quanto a quello Appassionati non entro nel merito proprio perchè è un ramo separato ed autonomo.
Se i birrifici si associavano per partecipare a Pasturana era perchè apprezzavano una iniziativa promossa da UB, il che mi sembra assolutamente lineare e coerente. Quanto ai guadagni si tenga conto che da Pasturana si tornava a casa con delle spese, non con dei guadagni. Garantito.
@michele
Detto questo in italia esiste una associazione cha da 10 e più anni promuove la birra artigianale italiana. Quel poco riconoscimento che ha oggi è in gran parte dovuto ad essa. per farne parte un birrificio deve avere certi requisiti. Ad oggi, Birrifici sedicenti artigianali e che non lo sono o che producono con metodi non ritenuti idonei, non vengono accettati.
@ultimodeimoicani
Non riesco a smettere di ridere dopo queste tue affermazioni.Non voglio fare i nomi dei Birrifici che fanno delle birre non buone per rispetto, ma bisogna avere un bel coraggio a dire queste cose.Per questo motivo UB non ha nessun senso di esistere.Dimmi cosa ha fatto UB per i Birrifici in questi dieci anni.
Ragazzi il discorso è molto interessante, ve lo garantisco. Vi pregherei però di non uscire troppo dall’argomento di partenza.
@michele
è un esempio. se domani confindustria (chi paga) e la CGIL (chi è pagato) stessero sotto lo stesso cappello (che è lo stesso idealmente) lo troveresti normale? alla fine sotto il cappelo il consiglio resta uno anche quando le istanze delle due anime divergono…
io all’epoca del voto non ricordo se ero ancora associato UB o meno. in ogni caso di quell’esito io non fui soddisfatto. se ancora ero socio, non rinnovai. parlo ovviamente per me
so che sei in buona fede, ma non vorrei travisassi le mie parole. quello del soviet era un ESEMPIO, un ARTIFIZIO RETORICO per rendere l’opposto del tuo esempio sui partitini all’italiana. non ho affermato e non affermo (non ne ho conoscenza) che UB sia un soviet. manco lo penso. non volevo dire nient’altro che, sul tema della definizione di birra artigianale di UB, non si può chiedere di appoggiare una definizione a chi non ha partecipato a formularla. potrebbe non essere d’accordo, no?
pasturana: se lo so io, lo saprai tu meglio di me. qualcuno si associava poco prima perché alla fine con gli incassi bene o male si pagava l’iscrizione e non andava sotto, o non di molto. nulla di male. non dico che si associava solo per quello, avrà avuto anche piacere ad esserci, ma il ragionamento di fondo (quello di cassa) era quello. non mi si dica che era la voglia di adesione ad un movimento a spingerlo, perché altrimenti si iscriveva a gennaio e a pasturana c’era comunque. UB può accontentarsi di una partecipazione un po’ opportunista di questo tipo? poi l’iniziativa è stata ed è apprezzata da tutti, ma non c’entra niente col discorso
@Michele
Non ci credo che tu non abbia capito perché Kuaska, Bertinotti e Max Faraggi
sono usciti da UB e fondato il MoBI.
Anzi, per il rispetto che ho di te, mi rifiuto di crederlo.
@ schigi. Mi fa piacere il tuo rispetto, però effettivamente, al di la di eventuali problemi “di rapporti personali” non l’ho veramente capito, ti assicuro. Può darsi che occupandomi solo del ramo pro non abbia approfondito la faccenda. Il dubbio però rimane.
Giusto: qualche divagazione e gli sghignazzi di Moicano ci hanno portato un po’ fuori tema. Ma credo che la questione sia assolutamente in argomento:
Cioè, Una associazione dei produttori e degli appassionati della birra artigianale italiana non è lo strumento ideale per difendere l’identità della stessa ed elaborarne una definizione e se eventualmente ve ne fosse bisogno creare un marchio ed un disciplinare? Ovviamente all’interno di UB l’argomento è stato affrontato in maniera approfondita, e sono state stese delle bozze, compreso un protocollo di disciplinare con tanto di ipotesi di protocollo di esami di laboratorio. A questo lavoro hanno partecipato sia i produttori, che gli appassionati senza che ci fossero conflitti del tipo “datore di lavoro-lavoratore”, in quanto non ci sembra che vi siano due posizioni conflittuali tra due entità (ed es. Confindustria CIGL) ognuna delle quali deve difendere i propri interessi a scapito di quelli dell’altra.
Ad esempio la difesa da birre che si dicono artigianali e non lo è interesse sia dei consumatori che dei produttori. (la cosa non ha niente a che fare con la qualità organolettica della birra che non può essere oggetto di regole, men che meno di esclusione da una associazione). In alcuni casi, visto che la legge definisce cosa è artigianale e cosa no, basterebbe fare una azione legale contro chi contravviene a questa legge. Naturalmente per farlo è necessaria una entità (associazione o quant’altro) sufficientemente forte per farla. Il “sistema internazionale” prevede questo genere di organizzazione all’nterno del quale si svolge un dialogo per determinarne le decisioni, mentre il “sistema italiano” prevede ci si muova in ordine sparso.
@ michele .rimango veramente perplesso quando scrivi che la qualità organolettica non c’ entra niente, in tutti i prodotti commestibili esiste un panel di esperti che decide se il prodotto e buono oppure no.
Mi sconvolge il fatto che all’Ufficio italiano brevetti e marchi risultano 49 marchi registrati che contengono al loro interno la dicitura: birra artigianale. Niente e nessuno può impedire al proprietario di un marchio di spacciare per artigianale la peggiore birra industriale. Un paradosso legale. http://www.uibm.gov.it/dati/Testo.aspx
In ordine sparso, ormai ho perso il filo:
@Schigi: carta intestata a parte, è già come suggerisci. Il birrificio che richiede l’iscrizione a Ub compila un form che rimane agli atti.
@SR e anche altri: a parte il termine cruda su cui si può essere d’accordo, nella home page di una asociazione si può anche fare marketing, o no? La definizione tecnica magari viene richiamata in altra sede, che è già più di una tovaglietta da pub.
Sulla quantità prodotta: molte delle associazioni di produttori di birra artigianale nel mondo, una su tutti la BA con cui ricordo siamo gemellati, citano un limite produttivo per aiutare a definire il birrificio artigianale. E’ ovvio che tale limite varia enormemente da paese a paese. Se come Ub si vogliono portare avanti in sede istutuzionale le istanze degli artigiani, ciò va inserito in un contesto di piccoli produttori, per i quali si possa prevedere di accedere ad agevolazioni di vario tipo, per esempio aliquote ridotte sull’accisa.
Continuo a leggere cose molto confusionarie che mescolano definizione del prodotto, analisi organolettiche qualità e marchi che sono cose molto differenti fra loro.
@simone
quello certo.da come l’aveva riportata il Turco, con virgolettati, l’avevo presa per quella ufficiale. il tutto cmq non aiuta la chiarezza secondo me
@michele
piccolo inciso. ci sono tematiche endologicamente conflittuali: il livello dei prezzi. la qualità e la libertà di dire i nomi di chi toppa senza che quest’ultimo non si risenta. abbiamo dovuto aspettare 3 o 4 anni per avere una bozza (e manco un estratto di bilancio reale) di costi-ricavi nell’analisi dei prezzi fatta da Lelio (che è uscito dal giro nel frattempo) su FermentoBirra. perchè? e ricordo gente che aveva dei mal di pancia violenti solo a sentir parlare di birra belga più che di birra italiana. per me questo, da consumatore, è già un grosso problema. magari oggi i tempi sono cambiati
@SR La mia bozza di analisi prezzi e punto di pareggio (che ribadisco nasce con lo scopo di analizzare la fattibilità dell’impresa e non per giustificare o meno il costo al pubblico della birra “artigianale” italiana) è solo una parte di un manualetto che, impegni permettendo, metterò online a breve. La mia fuoriuscita dal giro (forse nei modi sbagliati, ma sicuramente nei tempi giusti :-)) mi permette di parlare di costi e di artigianalità senza incorrere in equivoci di nessun tipo.
Analisi simili alla mia erano comunque a disposizione dei partecipanti al “corso impreditoriale UB” e non credo di aver fatto nulla di così impossibile. (bhe insomma..un po del mio ce l’ho messo!)
La questione di base è che fino a quando un’associazione non imponga di fatto il termine “artigianale” questi sarà utilizzato da chiunque senza che lo si possa contestare.
Tra gli scopi della defunta CONSOBIR (ciao Michele…che piacere rlieggerti) vi era proprio un disciplinare qualitativo (poi cambiato in corso d’opera) che garantisse l’artigianalità ed il rispetto di alcune regole. Regole che Ub, per statuto e per definizione non può imporre, se non in modo molto generico (limite massimo di produzione e “non pastorizzazione”). Qui si che un associazione di degustatori/consumatori (vedi l’opera del CAMRA) potrebbe intervenire e “certificare” cosa è buono e cosa non lo è…ma si sa che qualcuno si stia gia attivando per questo scopo…
@lelio
scacco matto in quante mosse ancora? 😀 io nel frattempo mi sto buttando sul caffé…
figurati…io sul Burro (e anche qui sulla definizione di “artigianale” ci sarebbe molto da discutere) anzi, tanto per fare un po di OT deviando sul marketing online. Ho appena fatto questo
http://www.untoccodizenzero.it/index.php/zenzero/news/e-arrivato-lingrediente-segreto/
vuoi dire che se dico “lo voglio” (ritenevo improbabile farlo con una donna, ma con un panetto di burro proprio non me lo sarei immaginato…) posso scroccarmi due panetti per fare gli ultimi brasati di stagione? non dirlo due volte…
@walter
perchè 49ti sconvolgono? Considerando quasi 300 birrifici, 49 marchi mi sembrano pochi.
La definizione di Artigianale è stata citata più sopra in maniera egregia, e se non si può impedire a nessuno di registrare un marchio che includa la parola Birra Artigianale, si può impedire che la dicitura sia apposta su un prodotto che non lo è. Come farlo l’ho detto sopra.
@giustiziere
Se stiamo parlando di una definizione del prodotto non credo proprio che possiamo inserire il parametro “deve essere buona” anche perchè cosa sia buona non possiamo deciderlo né io ne te. Né credo che si faccia in nessun settore alimentare Se invece parliamo di aderenza ad uno stile, è più che giusto che questa aderenza venga verificata da un punto di vista organolettico. Questo dato era infatti inserito sia nella bozza di Consobir che in quella di UB, che peraltro sono molto simili. Ho già spiegato qual’è il motivo per cui il progetto Marchio/disciplinare è in standby: l’inutilità della creazione di uno (o peggio ancora cento) marchi che non abbia una adeguato sostegno di marketing. Prima o poi qualcuno con le spalle più larghe lo farà, e sarà un peccato perchè ci verrà calato dall’alto da qualcuno che non ha niente a che fare col nostro settore.
L’idea di UB (ciao, Lelio) è di porre dei limiti più generici per l’ingresso nell’associazione (artigianalità, italianità, pastorizzazione, limite produttivo) e di imporre analisi biologiche, organolettiche(vedi sopra) e verifiche in situ per ottenere il marchio di qualità CHE SONO DUE COSE BEN DISTINTE. Una pessima birra deve ovviamente avere tutto il diritto ad essere definita artigianale se lo è.
@sr
Ritorno sul fatto che mi addolora molto (ma sopravvivo) che si sia inspiegabilmente creato un grosso equivoco. Non ho la presunzione di volerlo risolvere ma dico comunque la mia:
Ad un certo momento si è creata la convinzione che i produttori artigiani siano l’avversario dei consumatori e appassionati, e che i prezzi delle birre siano lo strumento con cui cercano di raggirarli. Non siamo mica il ministero delle finanze o l’enel da cui Michele Lubrano e Milena Gabbanelli ci devono difendere! Non siamo un ente pubblico o monopolistico che impone delle tariffe e con cui bisogna ingaggiare un braccio di ferro (confindustria CIGL). Esistono migliaia di birre sul mercato e il consumatore può scegliere. Ed infatti lo fa, consumando la birra artigianale italiana in quantità omeopatiche, principalmente a causa del costo molto alto.
I birrifici non usano denaro pubblico per produrre la birra, e nemmeno quello degli azionisti di una spa. Ma il loro. Quindi non devono rendere pubblico il loro bilancio, né devono giustificare i loro prezzi. Non funziona così in una economia di mercato e non mi risulta che avvenga in altri settori. Il prezzo di vendita è definito al fine di fare quadrare il bilancio. Detto questo anch’io tengo lezioni ai corsi dell’università di Udine e illustro i costi di produzione. Quindi tra i corsi di ub e quelli di udine direi che è molto facile conoscere i costi di gestione di un birrificio e capire perchè le birre italiane costano così tanto.
@Lelio affinché un marchio possa essere utilizzato in maniera univoca, deve necessariamente utilizzare un protocollo riconosciuto.
deve essere spinto con forza da produttori rappresentativi uniti , e o da un organizzazione autorevole.
in questo momento non vedo all’orizzonte nessuna delle due cose.
Il marchio collettivo, invece, serve a garantire l’origine, la natura o la qualità di prodotti o servizi. La registrazione di marchi collettivi è concessa a quei soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi e che possono concedere l’uso dei marchi stessi a produttori o commercianti che rispettino determinati requisiti.
Di solito il “marchio collettivo” è chiesto da enti e/o associazioni per dare certezza alla provenienza e garanzia alla qualità. L’uso non può essere limitato ad operatori affini all’attività non economica, ma deve essere ceduto nel rispetto del regolamento di utilizzo, allegato alla richiesta di protezione, prodotta dall’ente o associazione nella fase della prima registrazione.
es. Vero Cuoio Italiano, marchio collettivo gestito dal consorzio Vero Cuoio Italiano formato da 12 concerie della provincia di Pisa.
es. Pura Lana Vergine, marchio collettivo gestito dalla società australiana Woolmark Company.
es. Istituto per il marchio di qualità (IMQ), marchio collettivo italiano di conformità e controllo per prodotti elettrici.
@Pistillone…ehm grazie della precisazione, ma siccome l’azienda per cui lavoro fa parte di un consorzio che si chiama “Grana Padano” ed anche prima qualcosina nel settore marchi e tutele l’ho masticato, ho ben chiaro di cosa stiamo parlando e so che la definizione “artigianale” non potrà mai essere registrata e tutelata! Prima di questo mi era balenata un idea che si chamava Consobir , proprio per fare quello che dici tu (confermato da Michelke)…ma ormai siamo più avanti e lo “scacco matto” a cui accennava SR è alle porte.
Manca la coesione, di conseguenza la volontà e le risorse economiche.
@michele
non sono fresco di diritto commerciale, ma credo che i bilanci delle società, quantomeno di capitale, siano pubblici. dire che un prospetto di budget è disponibile ad un corso professionale a pagamento è dare un risposta ad una richiesta annosa di dibattito pubblico sui prezzi? nessuno è obbligato a fare niente. era appunto una richiesta. non è mai stata soddisfatta e temo sia stata oramai sorpassata dalla storia, tant’è che oramai a nessuno interessano più giustificazioni giuste o sbagliate: non si comprano birre costose e basta e tutti si lamentano. forse sarebbe stato meglio organizzarlo quel dibattito…
mi pare che tu strumentalizzi sempre le mie metafore. allora la metto così, in modo bieco. la torta è una per tutti. ognuno vuole la sua fetta. siccome le imprese vivono per fare utili, ci sono tre modi per farlo: diminuire i costi, aumentare i prezzi, aumentare la produzione venduta. sui costi ognuno farà il massimo e lo Stato niente. sul resto, mi pare si sia scelta la strada dei prezzi alti, che era quella più facile. la storia è davanti agli occhi di tutti. e se all’inizio (come diceva Marchetto sopra) era forse inevitabile, oggi non mi pare che chi può stia andando verso una diminuzione dei prezzi per poter penetrare ulteriormente il mercato, nonostante alcuni birrifici abbiano la possibilità di farlo. quindi la fetta è contesa fra produttori e consumatori di artigianale. come un’unica associazione possa conciliare, SU QUESTO SPECIFICO TEMA oramai sempre più rilevante, posizioni opposte, per me resta un mistero. certo, se si fosse andati in un’altra direzione oggi si potrebbe pensare di avere una fetta più grossa sia produttori che consumatori di artigianale, diminuendo la fetta dell’industria, come accade in paesi più furbi del nostro, trovando terreno fertile per la coesione. invece mi pare che ci sia una forchetta di prezzo molto stretta che è quella dove vanno a inserirsi tutti: chi è con l’acqua alla gola, chi ha ammortizzato, fa economie di scala e può incassare soldoni. ricordo che la vita è dura non solo per i microbirrifici, ma anche per i poveri cristi che fanno gli impiegati…
Tornando in tema mi permetto di dire la mia perchè l’argomento mi interessa da tempo.
La definizione proposta da UB è perlomeno fumosa e lascia spazio, come già detto, a numerose interpretazioni.
L’utilizzo dell’aggettivo “integra” secondo me tra le altre cose è fuorviante: una birra “integra” per la definizione di qualunque dizionario essere completa, mentre una filtrazione sempre per definizione comporta la privazione di una delle parti della birra. A questo punto, visto che alcuni tra gli associati UB per i più svariati motivi hanno iniziato a filtrare, anche in questo campo (come già detto per le dimensioni) occorrerebbero parametri oggettivi che discriminassero fra filtrazioni non invasive per il prodotto (es. filtro a centrifuga, filtri a cartuccia sopra una certa dimensione, ecc) e filtrazioni che alterano il prodotto (es. microfiltrazione).
Facendo questo però UB dovrebbe ammettere che la filtrazione non è il male assoluto come sostenuto fino all’altroieri. La qual cosa avrebbe come conseguenza l’ammissione di aver sbagliato fino appunto all’altroieri. Oppure, visto che i birrifici che hanno iniziato a filtrare l’hanno fatto per dare più appetibilità al prodotto presso il pubblico non specializzato, di essere stata incapace in questi anni di fare cultura della birra e di penetrare detto pubblico non specializzato.
@michele 53
Perchè non rispondi alle mie domande?
@Lelio
Vabbè però smettila di spammare co sto burro!
@moicano
questa è l’unica domanda che ho trovato e rispondo a questa:
12 o 13 anni fa è nata UB. Allora nessun altro si occupava di birra artigianale in Italia e UB ha cominciato ad organizzare corsi da cui sono nati una bella fetta dei birrifici di oggi. Molti dei birrai di oggi sono cresciuti all0interno dei birrifici che hanno realizzato tutto ciò. Si è organizzata la partecipazione ad eventi in Italia e anche all’estero con grande dispendio di energie e di soldi (e nessun guadagno) per promuovere la birra artigianale italiana, che oggi è sulla bocca di tutti (per dirne una Slowfood ci ha messo molti anni ad accorgersi che esisteva e oggi la cavalca alla grande) Ha organizzato già da molti anni corsi di degustazione di primo e secondo livello, da cui sono uscite, mi sembra , persone piuttosto preparate. Chi era a Rimini avrà visto che la più importante fiera del settore (in italia) ha oggi nella birra artigianale una delle principali attrattive. I birrifici erano 50. Questo è così perche già 10 anni fa UB ha cominciato a presenziare con stand istituzionali smazzandosi in 6o7 gli stand, i viaggi, organizzando le prime degustazioni di birra in Italia e pagando tutto di tasca propria, creando un rapporto privilegiato con le organizzatrici che ha portato al fatto che oggi l’ultimo birrificio nato o club di appassionati può avere uno stand nella principale vetrina del settore ad un prezzo stracciato,
Non credo di essere molto lontano dal vero se dico che senza lo sforzo di UB oggi ci sarebbero una manciata di birrifici ed un gruppetto di appassionati in un deserto birrario italiano.
E’ vero che non abbiamo fatto molto. Ma con i mezzi a disposizione e tirando la carretta in pochissimi, non è poi neanche tanto poco
@marchetto ..su su tengo famiglia e sono pagato a numero di accessi, devo recuperare in qualche modo il tempo che perdo al lavoro dedicandomi alla birra 😉
quoto Michele, se è vero che Ub poteva (e potrebbe) fare di più è vero che senza i 4 gatti che si sono sbattuti smenando soldi e tempo anche per gli altri oggi la situazione sarebbe drammaticamente peggiore. Mi spiacque molto, all’ultima riunione a cui partecipai tenutasi a Bologna nel 2007, vedere degli ex colleghi affermare che con o senza UB “non fa differenza” (con tanto di incazz@@ del mitico Lorenzo/Marcos). Se oggi siamo qui a discutere sulla valenza del termine artigianale il merito è senz’altro da attribuire in buona parte ad UB.
secondo me non c’era la voglia di fare nulla.
troppo giovane l’associazione per lasciarla camminare con le proprie gambe, qualcuno ha pensato di poter decidere per altri.
i pro non hanno dimostrato interesse ed alcuni con atteggiamento oscurantista hanno pensato a definire paletti di carattere tecnologico persi a dibattere su microfiltrazione o birra cruda (che vor di poi boh?). nel frattempo sono stati superati dagli eventi (prodotti USA e non, decantati come ottimi che sono microfiltrati o pastorizzati) e siamo tutti rimasti a guardare Assobirra che faceva marketing associativo.
ed ancora stiamo qui a disquisire su cadaveri (il termine artigianale o qualità sono ormai avulsi da qualsiasi significato univoco o meglio vengono utilizzati per tutto furchè per ciò che significano).
molte proposte sono state fatte ma nessuno le ha mai volute discutere. si è preferito tenere il tutto “in buone mani”.
e comunque per chiarezza, non è vero che Michele (che saluto calorosamente) non avesse avuto modo di lasciare la mano perchè chi si proponeva di rilevarla c’era.
Sin da Rimini 2006. Ricordi? alcuni consiglieri dimissionari ritirarono le dimissioni in assemblea proprio di fronte a candidati che si proponevano di subentrare.
Alcuni passi UB li ha fatti ma sembra che chiarezza sopratutto di intenti ce ne sia poca.
Non credo possa andare avanti molto se non si muovono i pro. e UB ed i suoi consiglieri devono accettare di fare un passo indietro per lasciare spazio a chi vuole lavorare per la casa comune. Devono assumersi il rischio che nessuno colga l’onere perchè se così dovesse essere vuol dire che non frega a nessuno ed allora è il caso di smetterla di farsi delle pugnette mentali su cosa sia meglio se la piantagione di luppolo o i consorzi markettaro fighetti.
Devo dire che Agostino merita rispetto per la scelta che ha fatto (ad esempio) anche se forse poteva essere fatta prima.
ma tanto lo so che alla seconda riga avete già smesso di leggere (citazione di Beppe mitico Vento).
p.s.: uccellino mi dice che molti di coloro che pubblicamente avversano la microfiltrazione in privato invece….
In etichetta noi scriviamo: birra artigianale non pastorizzata, non filtrata, senza conservanti. Nessuno controlla che sia effettivamente così. E se pastorizzo? Il giorno che mi beccano mi fanno un mazzo tanto. Non perché ho pastorizzato, ma perché ho dichiarato il falso e commesso una frode usando impropriamente il termine: non pastorizzata. Birra artigianale invece non significa niente di vincolante: la legge non sa letteralmente cos’è. La normativa parla solo di produttori, definendo piccoli quelli che rientrano sotto a un tetto altissimo per il 90% dei micro italiani. Se qualcuno produce e scrive una cosa rivoltante del tipo: birra artigianale filtrata e pastorizzata, legalmente è a posto.
@Michele 73
E’ vero va dato atto che UB ha contribuito in modo fondamentale alla nascita e allo sviluppo del movimento italiano.
Però francamente non capisco quando vari esponenti di UB si lamentano perchè le solite 6 o 7 persone si sono smazzate tutto ciò che è stato fatto.
Da associato UB non ricordo un solo messaggio in cui si chiedesse l’aiuto per portare avanti una attività, per formare un gruppo di lavoro, per decidere qualcosa riguardante UB, etc.
L’unica eccezione è la richiesta di “manovalanza” in occasione di PB o di Birra dell’Anno.
Se UB desidera maggior partecipazione tra gli associati, bene questa partecipazione bisogna anche cercarla e stimolarla.
Ragazzi lo so che parlare di una definizione di birra artigianale in Italia significa anche parlare di UB, della sua storia e delle sue evoluzioni. Cerchiamo però di mantenere centrale il tema principale… in parole povere, parliamo di UB nell’ottica di una definizione di birra artigianale e non di UB in quanto tale o rispetto ad altri argomenti.
Sr,
scusa, non intendo strumentalizzare le tue metafore, né essere polemico. Cercavo, attraverso una mia metafora di esprimere la mia posizione che è in linea di massima quella di tutti i produttori di birra, ma anche di qualsiasi produttore di qualunque bene o servizio.
In un sistema di mercato (diverso è per le produzioni di monopolio o di aziende pubbliche) non c’è nessun motivo, da un punto di vista ETICO prima ancora che di DIRITTO, di dimostrare la “giustezza” del prezzo, perchè il prezzo lo fa il mercato. L’imprenditore devo solo cercare di stare nel mercato. E’ in questo senso che non sta in piedi il concetto di Difesa del Consumatore (che ha ragione di esistere per altri aspetti, ovviamente). Il coltello dalla parte del manico ce l’ha proprio il consumatore, che infatti si difende non comprando le birre italiane.
Guarda che il problema dei costi e dei prezzi ce lo stiamo ponendo già da anni e se si risolvesse con una decisione penso che lo avremmo fatto (io certo si).
Il fatto è che sarebbe bello potere ridurre i prezzi ed ottenere un conseguente aumento delle vendite. Per compensare il minore guadagno per unità dovuto ad una (sensibile) riduzione di prezzo è necessaria una produzione di molte volte superiore (cioè non basta produrre il doppio per compensare un prezzo dimezzato). Senza contare che produrre non significa automaticamente vendere.
Per aumentare di tante volte la produzione sono necessari investimenti fuori dalla portata di quasi tutti i birrifici italiani. Cioè passare dai 5/600mila euro per un attuale birrificio di piccole dimensioni (lasciamo perdere quelli che fanno 200 litri la domenica e lo imbottigliano a mano) a diversi milioni di euro. Quanti utili ci vogliano per coprire un mutuo di alcuni milioni lo sappiamo calcolare tutti.
E’ vero che in altri paesi queste realtà esistono, ma a parte che evidentemente hanno un sistema bancario diverso, là investono su un mercato che esiste. Qui noi abbiamo investito su un mercato ceh oggi non c’è e che forse un giorno esisterà.
Ovviamente non vado oltre nell’elencare quali sono le altre voci che concorrono a creare l’alto prezzo delle nostre birre, ma ricordo solo che quello che troviamo in negozio ad 8 euro fa entrare nella cassa circa un terzo di quella cifra (ricavo, non guadagno eh!)
Andrea,
Il tema centrale è di una semplicità disarmante:
La birra artigianale è quella prodotta da un birrificio artigianale. Cosa sia una azienda artigiana per la legge lo ha riportato qualcuno più su.
Una birra pastorizzata (o microfiltrata) rimane ovviamente artigianale se lo è. Non vi è motivo di proibire questa pratica da un punto di vista legale. la scelta di UB in merito riguarda il diritto ad essere soci di UB non di definirsi artigiani.
Che poi le discussioni sulla creazione di un marchio di qualita, che ripeto è diverso dalla definizione di un prodotto, ad oggi si siano orientate verso limiti ulteriori (pastorizzazione/microfiltrazione, ettolitri etc) è un altro discorso, così come ognuno di noi può avere simpatia per una sua personalissima definizione.
Forse sarebbe più utile fare il percorso opposto: citare casi specifici e vedere se possono essere definiti artigianali o no.
ps per marcos: Sei Bottoni? ciao.
@michele
concordo che il prezzo lo fa il mercato. infatti nessuno ha parlato di diritto, bensì di gentile richiesta. è proprio qui che, contrariamente a quello che pensi tu, nasce l’esigenza di un movimento di consumatori. tale richiesta può avere più voce fatta da un’associazione che da me e magari venire ascoltata. se le risposte non arrivano si potrebbe ad addirittura proporre (é UN ESEMPIO, non lo ritengo necessario e tantomeno lo approverei, ma è per farti capire a cosa serve un movimento) il mese dello sciopero sulla birra artigianale italiana. se lo faccio io sono il Pannella dei poveri, se lo fanno in 300 (ad oggi) già un po’ di sente. in pratica, un associazione non pretende niente, fa quello che gli anglosassoni chiamano MORAL SUASION. la fanno anche scrivendo qua sul blog del Turco e abusando della sua pazienza nel perseverare con l’OT
la necessità di un prezzo giusto sorge per chi produce quando nessuno più acquista perché tale prezzo viene ritenuto tale. un’associazione, un movimento, potrebbe (non dico debba farlo) stimolare questa presa di coscienza. se invece, con la buona volontà e cominicazione cristallina si stabilisce prima un ritorno verso strade più condivise, ci sono molti spazi per temi di comune interesse e vantaggio, a discapito dell’industria.
ci sono anche le mezze misure poi. si può diminuire del 20% e aumentare del 30% con gli impianti esistenti, magari investendo in un paio di maturatori. o in tanti maturatori, assumendo un garzone e organizzando dei turni notturni, come fanno all’estero i piccoli che vogliono produrre molto a prezzi abbordabili mantenedo alta profittabilità.
a me risulta, da un birrificio che ha appena cambiato impianto, che ce la si possa cavare per un 1000 lt con meno della cifra da te indicata. in ogni caso, sul sistema bancario ti do pienamente ragione. MA: quanti di voi hanno almeno esplorato la strada del private equity e del venture capital seriamente per ovviare alle restrizioni bancarie. nessuno?
poi il punto resta che la birra in più va venduta. per vendere deve costare meno e ci devono essere sforzi di comunicazione. a me pare che questo ragionamento serva per molti solo per trincerarsi dietro alle solide posizioni acquisite in termini di prezzi e di vendita, senza voglia alcuna di andare oltre. se c’è da fare comunicazione la si fa: si danno gli strumenti a UB per farlo e lo si fa. è un investimento che torna subito. nel frattempo, al saturarsi dell’offerta produttiva come associazione di prendono contatti col mondo bancario e finanziario e si vede quello che si può fare per rendere l’accesso al capitale più semplice. occhio che cominciano a capirlo gli Svizzeri che in Italia c’è un mercato pronto per essere conquistato grazie al lavoro svolto da UB negli anni, se ci arrivano pure i Belgi e qualche statiunitense a subappaltare qualche loro birra in produzioni in Italia (e dovremmo quasi esseci), inondano il mercato italiano di birre buone a basso costo e la pacchia finisce per tutti
l’altro prezzo ha altri due imputati eccellenti: importatori e publican, non meno colpevoli dei birrai, anzi. spesso se gli dai una birra a poco se ne approfittano per ricaricarla di più e portarla al livello degli altri. nessuno può obbligare nessuno a stabilire un prezzo. ma che tipo di accordi hanno sviluppato i birrifici UB verso i suoi clienti per fornire quantomeno un prezzo indicato alla mescita? lo ritieni impossibile commercialmente? a parte che si fa in altri settori, ma io questa richiestase fossi al consiglio UB la chiederei? ha sempre senso lo stare sotto lo stesso cappello?
poi… quando trovo in un beershop una birra 0.75 a 10 euro (ma 8 dove li vedi per una italiana?) vuoi farmi credere che è uscita da birrificio a 3.5 euro? soprattutto sapendo che il negozio per starci dentro la ricarica molto meno di altre e magari le ha pure prese direttamente dal birrificio. e i due terzi? evaporati?
ho scritto una quantità superiore al solito di errori ma spero di capisca
Se la questione definizione di birra artigianale va intesa nelk senso di cosa va scritto sull’etichetta siamo certo OT, Scusa Andrea, ma se nella definizione di Birra artigianale l’elemento prezzo è importante, il discorso ci sta. Ma secondo voi, quale è un prezzo ragionevole. (o giusto, come si usa dire)?
@Michele
Per una 75cl il prezzo dovrebbe essere sui 4,50 € max, anche se so che i ricavi sono irrisori…
Il problema, come dici tu, si risolverebbe con l’aumento della produzione, o l’ideale sarebbe fare come in Belgio con gli impianti in affitto tipo Deca service
Non capisco.
Il titolo della discussione di turco è :” per la definizione di birra artigianale”, possibile che si parli sempre di prezzo?
Per voi è troppo cara la birra Italiana ?, allora non compratela!
Dopotutto chi fà il grosso degli acquisti non sono gli appassionati di internet.
Premesso che per me è ben diverso discutere dei paletti da rispettare per associarsi ad UB e di cosa sia la birra artigianale, mi permetto, visto che tra l’altro è già stato citato nell’articolo da Andrea, di tirare di nuovo in ballo Randy Mosher. Nel suo “Tasting beer” affronta brevemente il discorso. Non deve per forza essere il Vangelo, ma, visto che in US hanno già affrontato il dibattito, e che Randy ha visto l’evoluzione della scena artigianale US sin dagli albori, credo ci siano parecchi spunti interessanti. Traduco:
“Cos’è la birra artigianale?
Domanda difficile; è uno di quei termini delicati, che resiste ad una definizione esatta. Chiunque beva birra buona […] ha un’idea abbastanza chiara di cosa si stia parlando, ma più si cerca di definirla, più le linee divisorie si fanno indistinte. E’ quello che troviamo nel bicchiere o chi la produce che fa la differenza? […] E’ il chiamarla artigianale che la rende tale?
[…]
Nel 2007 (quasi trent’anni dalla sua fondazione, N.d.T.) la BA ha definito lo status di “birraio artigianale”: chi produce meno di 2 milioni di barrel l’anno (2.340.000 hl, ogni commento è superfluo N.d.T), l’indipendenza, definita dal fatto che meno del 25% del valore aziendale sia di proprietà di un’azienda che non produce birra; e il rispetto della tradizione, nel senso che il birrificio deve produrre il top della propria gamma senza succedanei.
Sono stato coinvolto in questo dibattito in quanto parte del Consiglio Direttivo della BA. Fu lungo e straziante, e alla fine non ci fu unanimità. Secondo me la birra artigianale è arte. Ciò significa che le idee e le ricette devono venire dai birrai e non dall’Ufficio Marketing. Serve un punto di vista personale e molto appassionato per creare qualcosa di unico, memorabile e significativo.” (Tasting Beer, R.Mosher, pag.208 Storey Pub.)
La definizione di UB è sicuramente vecchia, superata e migliorabile, sotto tutti i punti di vista. Ammesso che ce ne sia davvero bisogno. E “cruda” è insopportabile anche per me…
@Michele
Non credo di essere molto lontano dal vero se dico che senza lo sforzo di UB oggi ci sarebbero una manciata di birrifici ed un gruppetto di appassionati in un deserto birrario italiano.
Polli
Il tuo discorso mi sembra un po’ presuntuoso.
Cosi dicendo non valorizzi tutte le altre associazioni che hanno fatto molto per il mondo della birra artigianale in Italia.
Non voglio fare polemica ma che tu dica che Rimini sia una fiera di settore mi sembra sbagliato.
Ricordatevi di rimanere IT e soprattutto di non aprire parentesi che possono alimentare discorsi infiniti completamente fuori tema
@scauca
gira l’olanda che l’america l’è granda! 2340000 hl!!
l’indipendenza, definita dal fatto che meno del 25% del valore aziendale sia di proprietà di un’azienda che NON produce birra. Vuole dire che più di tale percentuale può essere di proprietà di una azienda che PRODUCE birra??
Condivido il fatto che le ricette devono provenire dalla sensibilità dei birrai e non dalle calcolatrici dei commerciali, anche se ovviamente questo non può essere inserito nè in una etichetta, nè in un disciplinare.
A differenza dal panorama USA (oltre alle dimensioni) va detto che nella nostra cultura il concetto di “artigianale” è molto più radicato e conosciuto. E’ una ricchezza che loro conoscono molto meno. Parlo di qualsiasi settore.
@Polli
ti darei parzialmente ragione ma non voglio deragliare
@ Michele
Ciao.
A quanto pare si tratta sempre di aziende del settore beverage che però non birrificano. Non ho altri elementi per rispondere alla tua domanda.
Qui
http://tinyurl.com/y8sdq5m
si trova “lo statuto” e una definizione di “Craft brewer” da parte di BA.
si, avevo inteso l’opposto. Max 25% controllato da una industria delle bevande alcooliche, ma non c’è limite sulla proprietà da parte di industrie di altri settori: automobili, immobiliari etc. Certo cozza al 100% con la definizione di artigiano corrente in Italia citata da Pistillone. Sia dal punto di vista legale, ma anche di senso comune.
Ovviamente ognuno ha un suo ideale di birra artigianle e vorrebbe una definizione che la avvalli. Non è solo una questione di opinioni soggettive, ma anche di punti di vista oggettivamente diversi. E d’altra parte se non ci riescono gli americani che sono molto più pragmatici di noi…
Quindi tornerei alla domanda iniziale che si è posto anche Marchetto:
Perchè definire cos’è la birra artigianale italiana?
La Risposta che si dà Andrea Turco in fondo si ripropone come domanda a sua volta: per sottolineare insomma che non si tratta della stessa identica bevanda (rispetto all’industriale). Si, d’accordo, ma perchè bisogna farlo?. In fondo a noi non interessa che la birra sia buona e genuina? Non sarebbe allora meglio cercare di definire l Birra Buona?
Quindi perché?
Es:
Per proteggere il consumatore dai falsi?
Per difendere i produttori dai furbacchioni che gli rubano il mercato?
Perchè riteniamo che Artigianale sia sinonimo di Buona e Genuina, o Migliore?
Per sostenere e promuovere la diffusione di un prodotto che riteniamo interessante?
Per ottenere dei contributi pubblici?
Per cavalcare un evoluzione e sfruttarla commercialmente o in altro modo prima che lo faccia qualcun’altro.
Altro?
@Michele
Per proteggere il consumatore dai falsi
@ Michele
Per proteggere noi, nanobirrifici, dalle malvagie multinazionali.
Quando UB avrà stabilito il disciplinare per l’uso del marchio che ha già registrato, saremo felici di chiedere il permesso di inserire il marchio in etichetta. UB è l’unica ad avere una credibilità da spendere in questo senso. Non è un circolo parrocchiale. Adesso, entrata nell’orbita di CNA, riferimento per il mondo artigianale italiano, pur restando un’associazione culturale assolve compiti da associazione di categoria.
Quindi, orsù, avanti tutta nella crociata contro il male!
birra artigianale x me’ significa anche che un prodotto non lo si trovi d’appertutto! lo scorso anno se leggete i miei vecchi post ero estimatore di un noto marchio di birra artigianale ….ma poi…vai di qui c’e vai di la idem! supermercato…salumiere! ricordo le mie amate birre trappiste che trovavi solo in pochissimi posti (escludendo la chimay che c’era anche in Giamaica!) ora…..super mercato tutte li! manca solo la westeleteren!
@ lallo
anche se continuare a fare il “cacciatore” di birre possa avere un certo fascino non si può di certo impedire inserendolo in un ipotetico disciplinare della birra artigianale a chi debba o non debba essere venduta ! Su, siamo seri la birra se è buona è buona sta poi a noi andarcela a comprare dal ns enotecaro di fiducia piuttosto che dal supermercatino. Anche perchè se se volessimo un prezzo più basso ( che spesso è stato citato ) è solo la grande distribuzione che potrà eventualmente proporcela, mica il ns amico appassionato sotto casa…
@giors
sta di fatto che mi hanno insegnato ….birra che trovi ovunque..birra che perde di valore! la questione e’ anche come sono trattate le birre in certi luoghi!(ad esempio supermercato) sbalottate di qua’ e di la’…alla luce (la birra deve stare al buio) temperatura! se io fossi un produttore di birra artigianale non vorrei che finissero cosi i miei prodotti! sia ben chiaro e’ un mio punto di vista! io quel che posso lo vado a comprare direttamente al birrificio! ciaoooooo
@lallo
dispiace anche a me vedere certe birre sugli scaffali gettate li insieme a di tutto un pò.. I francesi sono dei maestri a farti trovare anche nelle catene dei più grandi supermercati vini di pregio in lussuose aree dedicate con luci moderate e temperatura costante che possono solo invogliare ad informarsi toccare e quindi comprare il prezioso nettare, mentre ai mediocri ed infimi vinacci vengono riservate spazi spesso anche poco ordinati sotto potenti luci al neon proprio per sottolineare le differenze fra i prodotti. Secondo me il problema non è che trovandolo dappertutto un certo prodotto diventi scadente, è in quali condizioni viene conservato e come viene proposto. E poi come già dicevo, certe strutture possono solo aiutare ad avere un prezzo al pubblico più basso.. Ciao 🙂
Si, ma per difendere il consumatore ci sono già delle leggi che reprimono le frodi, proteggono da danni alla salute, e da eventuali cartelli monopolistici. Da che altro dovrebbe essere protetto?
Per difendere i produttori un marchio sarebbe utile, ma come dicevo, un marchio non supportato da comunicazione sostanziosa non ha nessun peso. UB non ha la forza economica. Immagino che prima o poi qualcuno con i mezzi lo farà (Slowfood? Farinetti? Interbrau?). Loro avranno i mezzi per farlo, ma lo scopo principale sarà il business. Per noi sarà solo una spesa in più (visto che la birra artigianale deve costare poco).
Comunque un marchio non è una definizione di prodotto, E’ un disciplinare a cui aderisce chi vuole fregiarsi di quel marchio. Il disciplinare lo decide l’organizzazione che realizza il marchio, (se sbaglio Lelio mi corregga). Non è impossibile che un dì avremo il marchio di UB, Quello di ADB, quello di MOBI, quello di Eataly, quello di Slowfood, probabilmente un po’ diversi tra di loro. Ve ne viene in mente altri?. Quale pensate che sceglierà il pubblico nei negozi?
Sono daccordo che un marchio UB non sia risolutivo. Ma tieni presente che è sempre meglio del niente che abbiamo ora: adesso il consumatore si deve fidare di quello che gli racconto io, venditore non certo disinteressato. UB ha una credibilità da questo punto di vista, è comunque un’associazione che rappresenta un bel numero di produttori. Si dia un disciplinare e inviti a seguirlo. Magari il 98% dei consumatori finali non si accorgerà neanche del marchio, pazienza. Vale comunque la pena di farlo. I soldi per la comunicazione non ci sono, ovviamente. Ma ogni birrificio valorizza il marchio, usandolo correttamente. Ogni vendita diventa un atto minimo di comunicazione del marchio. Una comunicazione capillare, lenta, ma nel lungo periodo efficace.
Trovo questo discorso molto giusto. meglio fare poco che non fare nulla. Mi adopererò in questo senso.
Michele..quoto tutto!! Soprattutto che chiunque, in assenza di legislazione, può crearsi il proprio marchio..e lasciarlo usare a chicchessia.
Le paure di Michele non sono infondate ed è meglio (per il consumatore) un pochino fatto da un associazione comunque sopra le parti..che un azione anarchica di chi non vuole tutelare un bel niente, ma solo farne un motivo di business.
In poche parole ……per tutti voi ARTIGIANALE cosa significa……
Premesso che sono socio UB e anche SlowFood da quest’anno e che ho fatto il corso di degustazione di primo livello con UB a Parma.
Sono un neofita probabilmente rispetto a tutti voi ma questa discussione è molto interessante.
Quello che mi colpisce (ma non mi stupisce), principalmente è questo frazionamento che si viene a creare tutte le volte in Italia con rivalità più o meno accese.
Il risultato che anche un appassionato come me, che non segue da tanto tempo il mondo della birra è completamente spiazzato. Al di la dei gusti sul prodotto non si capisce di chi fidarsi sulle informazioni relative alla qualità e al prezzo.
Diciamo che senza pregiudizi consumo sia italiano che straniero, con una spesa tutto sommato discreta. Mi metto nell’ottica di essere il consumatore che può portare la sua esperienza di acquirente.
Problematiche:
1) Prezzo. Intanto 0,75 italiana la trovo a 8,50 euro in BeerShop (se voleta faccio i nomi). E’ cmq tanto. Troppo. Non c’è verso e solo un autolesionistico amore me ne fa comprare di tanto in tanto.
2) Reperibilità/Distribuzione. Le birre italiane mi costano in benzina! E dire che son fortunato perchè ho due birrifici nelle province adiacenti alla mia che considero eccezionali.
O le compro dal birrificio oppure spesso non le trovo. E allora? Vado a 5 km e compro birre straniere, è ovvio.
3) La birra straniera costa meno e si trova con una facilità disarmante. Molti distributori di bevande vendono direttamente al pubblico con prezzi stracciati.
Westvleteren 12 a 8 euro, tutte le altre sotto i 3 euro, comprese molte americane note.
4) Informazione. Come già detto c’è una giungla in Italia incomprensibile. Qui da me ha aperto un beershop che si rifiuta di vendere roba italiana se non con prezzi bassisimi (qualità tutta annessa conseguente). Poi mi vende la Edikt1516, dove sopra non c’è lo stabilimento di produzione e mi viene spacciata come superiore alla Tipopils (in rapporto qualità/prezzo). Allora premettendo la stro…. detta dal venditore, io capisco anche un po’ l’uomo-commerciante che deve vendere una birra e te ne rifila una così così che costa meno della metà….
Al di la della definizione di artigianale (non pastorizzata secondo me al di la che rientri nella definizione andrebbe cmq specificato in grande sulle etichette), i problemi che avverto da appassionato sono quelli che ho scritto sopra.
[…] Tanti l’hanno cercata. Tutti, ma proprio tutti, l’hanno disperatamente invocata. Sto parlando di una definizione birra artigianale riconosciuta da legge. Bé, caro mio, a quanto pare i tempi stanno per cambiare. O perlomeno così pare. Una proposta di definizione birra artigianale ha infatti ottenuto il parere positivo della Camera e questa settimana è previsto il giudizio da parte del Senato. Non è ancora detta l’ultima parola ma siamo già a un traguardo mai raggiunto prima. Chissà, forse domani i birrifici potranno finalmente scrivere “birra artigianale” in etichetta. Com’è giusto che sia. […]
Mi sa di vestito su misura per alcuni!!!