Il 2025 birrario poteva sicuramente cominciare meglio. In pochi giorni abbiamo dovuto incassare diverse notizie negative provenienti dai birrifici italiani, tra chiusure sanguinose, vendite di impianti e ridimensionamenti piuttosto evidenti. Il fenomeno è la diretta conseguenza delle difficoltà economiche emerse dopo la pandemia, ma non è certo nuovo: erano alcuni anni che il settore appariva in affanno, anche a causa dell’esaurimento della sua epoca d’oro. La novità di questo inizio 2025, tuttavia, è il coinvolgimento di marchi storici o di grande rilievo in vicende che, in passato, avevano riguardato soprattutto birrifici piccolissimi, nati da progetti poco più che hobbistici. Ora invece i nomi sono decisamente più roboanti e, se a questo aspetto aggiungiamo la concentrazione di molte notizie in pochi giorni, è facile comprendere lo stato di allarme che si sta vivendo nel mondo della birra artigianale italiana. Ci sembra opportuno allora riassumere il tutto e tirare le somme.
La trasformazione di Extraomnes in beer firm
La speranza che il 2025 potesse essere un anno benevolo con la birra artigianale italiana è durata appena dieci giorni, il tempo cioè che la testata Malto Gradimento ufficializzasse i cambiamenti in atto in Extraomnes. Come annunciato da Alessandro Contadori di El Mundo, la società proprietaria di Extraomnes, tutta la produzione del marchio lombardo è stata spostata presso il vicino The Wall, birrificio artigianale di dimensioni medio-grandi, abituato a lavorare come contoterzista. Nonostante Contadori abbia dichiarato che la scelta è stata compiuta con l’idea di ampliare la diffusione di Extraomnes, la mossa non può non apparire come una “correzione di rotta” a causa delle difficoltà espresse dal mercato – è lui stesso infatti ad avere citato la necessità di riposizionarsi “in uno scenario complicato”. Senza appoggiarsi a un impianto di proprietà, che al momento comunque resterà al suo posto, Extraomnes assume le caratteristiche di una beer firm. Indipendentemente dall’evoluzione che avrà l’importante marchio lombardo – e l’auspicio è che possa crescere ulteriormente nei prossimi anni – al momento la percezione è di un netto ridimensionamento.
La vendita dell’impianto di Loverbeer
Neanche il tempo di riprendersi dalla notizia di Extraomnes che, qualche giorno dopo, è arrivata quella della vendita dell’impianto di Loverbeer direttamente dalla nostra sezione degli annunci. Anche in questo caso non si tratta di una chiusura definitiva, perché l’intenzione del fondatore Valter Loverier è di mantenere attivo il marchio, declinandolo eventualmente anche in un nuovo progetto produttivo. In attesa di conoscere novità al riguardo, colpisce però la decisione di Valter di vendere un impianto che ha scritto la storia della birra in Italia: aperto nel 2009, Loverbeer è stato infatti uno dei primi birrifici italiani a puntare in maniera esclusiva su fermentazioni miste e spontanee, posizionandosi in una nicchia di mercato che negli anni successivi sarebbe cresciuta considerevolmente. Questa recente evoluzione ha quindi un valore simbolico non indifferente per gli appassionati italiani (e stranieri).
La cessione di Almond ’22
Tre giorni dopo l’annuncio di Loverbeer ne abbiamo pubblicato un altro, relativo alla cessione di un intero birrificio nei dintorni di Pescara. Nonostante l’assenza di qualsivoglia riferimento al produttore, sono bastati pochi minuti perché l’ambiente riconoscesse nelle foto il birrificio Almond ’22, storico marchio fondato nel 2003 da Jurij Ferri. La notizia della cessione, confermata dallo stesso Jurij su Facebook tra i commenti al nostro articolo, ha rappresentato un altro colpo all’umore del settore. Almond ’22 è stato infatti uno dei birrifici pionieristici in Italia, aperto subito dopo i primissimi “padri fondatori” della birra artigianale. Jurij inoltre ha formato diversi birrai italiani, che oggi sono molto apprezzati nell’ambiente. Al momento non sappiamo se, al di là della cessione, il marchio Almond ’22 rimarrà in vita in una forma diversa.
I precedenti più altisonanti
Come spiegato, il fenomeno delle chiusure non è una novità, ma fino a oggi aveva riguardato quasi esclusivamente realtà minori. Ciononostante negli ultimi anni non sono mancate notizie relative a marchi di un certo rilievo, che citiamo per restituire una visione d’insieme più completa. A ottobre del 2022 suscitò un certo scalpore il messaggio che apparve sulla pagina Facebook dello storico birrificio Bi-Du, con cui il produttore annunciava la fine della sua avventura. Fu una sorta di arrivederci, lasciando intendere che il marchio sarebbe sopravvissuto in un’altra veste. Evoluzione che qualche mese prima aveva visto protagonista Birra Amiata, altro nome storico dell’ambiente. Le difficoltà emerse dopo la pandemia portarono Amiata “ad avviare una logica di co-produzione e dismettere la propria unità produttiva”, attuando una strategia “conservativa” che è stata seguita da altri marchi, più o meno importanti nell’ambiente.
Diversa fu invece la vicenda legata a Elav, altro nome di rilievo nella storia della birra artigianale italiana. A marzo del 2023 il birrificio annunciò la chiusura con uno stringato messaggio sui social, che fu accolto come un fulmine a ciel sereno. Il motivo infatti fu il fallimento dell’azienda, un’evoluzione che in pochi si sarebbero aspettati da un marchio che all’epoca sembrava in discreta salute. Per fortuna la storia di Elav non terminò lì: di recente un nuovo investitore ha deciso di rilevare il birrificio, richiamando in sala cotte Antonio Terzi, fondatore e birraio di Elav. Un lieto fine che fa ben sperare anche per altri birrifici.
Conclusioni
Alle vicende riportate fin qui va aggiunta almeno quella di un altro importante birrificio, che a fine 2024 ha deciso di vendere il suo impianto. Ne emerge un quadro preoccupante e deprimente, al quale bisognerebbe tuttavia rapportarsi con equilibrio. Innanzitutto è opportuno notare che lo scoramento serpeggiante nell’ambiente è anche dovuto alla casuale vicinanza temporale di queste notizie. Sebbene si siano concentrate nell’arco di una settimana, assestando una micidiale combinazione di colpi al settore, la loro origine parte da molto lontano. Insomma non è tanto il 2025 a essere partito male, quanto il mercato a trovarsi in una situazione delicata da almeno tre anni. In secondo luogo i nomi coinvolti sono diversi e dal peso specifico non indifferente, ma sono solo una manciata in un contesto in cui operano centinaia di birrifici.
Pur muovendo queste sacrosante obiezioni, rimane la sensazione di un periodo molto difficile per la birra artigianale italiana. L’impressione è che sia cominciato il momento della resa dei conti, in cui i progetti più esposti (per diversi motivi) non sono più in grado di arginare la corrente negativa. Non bisogna però cadere nell’errore di pensare che ci sarà un’ecatombe di birrifici italiani: le difficoltà sono comuni a molte aziende, ma questo non significa che siano destinate tutte a morire. Arriveranno altre chiusure, saranno prese altre scelte dolorose. Ma partiranno anche nuovi progetti e altri birrifici nasceranno. Come già accaduto nel 2024.
Se non sbaglio anche Toccalmatto ha avuto problemi nei mesi passati. Questo per dire che mi pare ci sia in giro un’ondata di fortissime difficoltà.
Le difficoltà sono tante e penso che dovremo abituarci a questo nuovo contesto