Secondo l’Unione Europea, l’economia circolare è “un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. […] Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore”. Questo concetto, particolarmente sentito nel momento storico che stiamo vivendo, si applica anche al settore alimentare e, di conseguenza, a quello brassicolo. La sua adozione è però un fatto tutt’altro che recente: da secoli, ad esempio, le trebbie risultanti dalle cotte sono usate come mangime per il bestiame. Ben più raro è il processo inverso: cioè l’utilizzo di materiale di scarto da altri processi produttivi per realizzare birra. Recentemente però si sono segnalati diversi esempi in tal senso.
Birra prodotta con pane di scarto
Il caso più celebre e diffuso è quello dell’impiego di pane vecchio o comunque di scarto, utilizzato per integrare la base fermentescibile composta da malto d’orzo. Per la verità questa soluzione è strettamente legata alle tradizioni brassicole dell’Europa orientale, tanto da identificare una bevanda con una propria identità: il Kvass. I primi documenti che citano il Kvass risalgono addirittura all’anno mille, ma la sua riscoperta è questione recente, grazie proprio all’impulso dato dalla diffusione del concetto di economia circolare. Oggi sono tanti i birrifici italiani e stranieri che producono birre con pane di scarto, spesso in collaborazione con importanti forni locali o associazioni di panificatori. Abbiamo raccontato alcune di queste birre in un articolo del 2020 a firma Alessandra Agrestini.
Birra prodotta con acque reflue
La produzione brassicola è estremamente idrovora. Per ottenere un litro di birra occorrono diversi litri d’acqua e questa è una verità incontrovertibile, che mortifica ogni discorso di sostenibilità legata alla nostra bevanda. Non è forse un caso che sia arrivata da Singapore, isola con gravi problemi idrici, l’idea di realizzare una birra con acque reflue. Il progetto è stato battezzato NEWBrew ed è il frutto della collaborazione tra il birrificio artigianale Brewerkz e l’agenzia idrica nazionale PUB. La birra si basa sulla tecnologia NEWater della stessa PUB, un processo in grado di trasformare l’acqua di scarico in acqua riciclata ultra pulita e di alta qualità, con un positivo impatto a livello ambientale. La prima NEWBrew fu presentata in via sperimentale nel 2018, mentre la ricetta messa a punto nel 2022 è quella di una Tropical Blonde Ale, fermentata con lievito Kveik e aromatizzata con luppoli Citra e Calypso. È presente sul mercato in tre diverse lattine (la birra è sempre la stessa) che raffigurano altrettanti luoghi iconici di Singapore legati all’acqua. A quanto pare i primi lotti di NEWBrew sono andati a ruba.
Birra prodotta con escrementi di oche
Se l’uso di acque reflue vi sembra disgustoso, sappiate che in Finlandia si produce una birra con l’impiego di escrementi di oche. Siamo a Lahti, città di centomila anime situata nella parte meridionale del paese scandinavo, dove il birrificio artigianale Ant Brew ha lanciato una linea speciale denominata Wasted Potential e dedicata proprio all’economia circolare. La birra della gamma più curiosa è la Wasted Potential Imperial Stout, che nel suo percorso produttivo ricorre a escrementi di oche. Attenzione però, perché lo strano ingrediente non è usato per aromatizzare la birra – per fortuna aggiungiamo – bensì per affumicare il malto nel rispetto delle leggi di sicurezza alimentare. Questo procedimento apporta una nota fumé alla birra, aumentando la complessità del profilo aromatico. L’idea può sembrare un modo molto strumentale di intendere l’economia circolare, tuttavia nasce da un’esigenza concreta: contribuire a ripulire i parchi della città dai ricordini lasciati dai volatili, che rappresentano un problema sociale non indifferente.
Birra prodotta con urina umana
L’ultimo esempio creativo di economia circolare applicata alla birra arriva dalla Danimarca, dove il birrificio Norrebro ha prodotto una Pilsner con urina umana. Non solo: con urina umana “collezionata” nei bagni chimici del celebre Roskilde Festival, una delle più importanti kermesse musicali europee. Attenzione però, perché i 50.000 litri di pipì raccolta nel corso della manifestazione non sono stati filtrati e usati al posto dell’acqua, come si potrebbe pensare. In maniera molto più sensata, l’urina è stata utilizzata come fertilizzante per la coltivazione dell’orzo da cui è stato ottenuto il malto per la birra. Il risultato è la Pisner, una bassa fermentazione che per il suo nome ricorre a un gioco di parole tra lo stile di riferimento e il suo ingrediente caratteristico. Anche in questo caso alla base dell’idea c’era un’esigenza reale: ridurre i danni che il Roskilde Festival arrecava ogni anno al sistema fognario locale e all’ambiente circostante, ricorrendo a una soluzione “no waste”.