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E se le pseudo-artigianali non fossero un male?

Venerdì scorso ho pubblicato un articolo sull’ampio spazio dedicato alla birra artigianale dalla guida I Ristoranti d’Italia de L’Espresso. Nei successivi commenti si è alimentato un interessante confronto sul modo di intendere la birra nei vari canali di distribuzione e sul “pericolo” rappresentato dalle multinazionali, che proprio attraverso i ristoranti stanno cercando di entrare nel settore dei microbirrifici attraverso prodotti pseudo-artigianali. A tal proposito, mi ha fatto riflettere molto l’ultimo commento di Nico, che secondo me vale la pena approfondire. Siamo sicuri che queste interferenze dell’industria nel comparto artigianale siano davvero così nocive?

Ecco i passaggi del Nico-pensiero che ritengo essenziali:

Vi prego di non lapidarmi per questa mia opinione, ma può avere del buono anche la Moretti gran cru, visto che serve ad allargare le vedute di chi intende come birra soltanto la classica lager onnipresente. Con l’aumentare della presenza di birre “diverse” sul mercato, secondo me, aumenterà anche la quantità di persone che si interessano per quello che c’é oltre la produzione industriale.

Prendo come esempio il Rum Zacapa, in fin dei conti un prodotto industriale di qualità discutibile e prezzo elevato ma di larga reperibilità nei supermercati, che gli apassionati del Rum disprezzano ma attraverso il quale si crea una consapevolezza che il Rum può andre ben oltre il classico rummaccio bianco. Se poi sei una pecora rimani lì e continui ad ingozzarti di Zacapa, se invece incominci ad informarti ed ad andare oltre i prodotti di larga reperibilità scopri un mondo intero.

Personalmente non ho problemi ad affermare che prodotti industriali camuffati da artigianali mi fanno concettualmente ribrezzo. In passato ho disapprovato esempi come la Moretti Grand Cru, la Estrella Damm Inedit o la Top Restaurant di Menabrea. Eppure il commento di Nico richiede quantomeno un minimo di riflessione. Possono queste birre rappresentare un’esca, una via d’ingresso, per traghettare il consumatore medio verso la birra artigianale (quella vera, s’intende)? Possono permettere di capire, insomma, che esiste una concezione diversa di birra rispetto alla lageracce che si trovano nei bar e nei pub più comuni?

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La questione è senza dubbio spinosa e di non facile soluzione. Si tratterebbe insomma di chiudere un occhio sulla validità organolettica ed etica di certe produzioni, con la prospettiva che possano stimolare l’attenzione dei consumatori. I quali, successivamente, dovrebbero avere un certo livello di interesse verso l’argomento per approfondire le proprie conoscenze, imparando alla fine la distinzione tra certe operazioni commerciali e la birra artigianale in quanto tale. In questo iter diventerebbero imprescindibili le informazioni raccolte tramite gestori e appassionati.

Insomma, bisogna capire se una Moretti Grand Cru può essere una valida “gateway beer”, concetto sul quale mi soffermai a inizio anno. Per alcuni le “birre di passaggio” dal mondo delle lager industriali a quello dei prodotti artigianali sono state Guinness, Leffe, Forst, Du Demon, Chimay (anche se quest’ultima rappresenta un caso a sè). Tutti marchi che con i microbirrifici hanno davvero poco da spartire, ma che hanno trasformato molti curiosi bevitori di ieri negli appassionati di oggi.

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Eppure il discorso mi convince poco, anche se difficilmente riesco a inquadrare il problema. La cosa che mi appare più inquietante è che le ultime birre menzionate non hanno la pretesa di camuffarsi da artigianali sfruttando i valori di quest’ultime, cosa che invece una Estrella Inedit o una Top Restaurant di Menabrea fa in modo evidente.

L’avrete capito, la questione mi lascia abbastanza disorientato. Voi cosa ne pensate? Ci sono dei motivi precisi per i quali queste birre non possono realmente aprire le porte a una successiva crescita del consumatore?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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24 Commenti

  1. Secondo me bisogna prima chiedersi… cosa vogliamo ottenere? Se lo facciamo per accompagnare gli incalliti bevitori di Moretti piano piano verso birre di qualità scoprendo che non ci sono solo le bionde,io sono favorevole a questo nuovo tipo di marketing e birre ‘gateway’. Non sono d’accordo sul fatto di ingannare il consumatore. E’ come per le mozzarelle col golfo di Napoli sulla busta e poi provengono dalla Germania. Se queste birre traghettatrici sono commercializzate in maniera trasparente penso che i consumatori di birra meno esperti non avranno che da guadagnarci e con loro anche il comparto delle artigianali.

  2. sono un neofita, e secondo me la differenza la fa il gusto, mi sono appassionato alla birra artigianale perché ho trovato nel gusto un altro mondo, provando una orval in un festival della birra mi si è aperto il paradiso, secondo me l’unica strada è l’informazione fatta con la degustazione. Salvo in casi eccezionali il fatto di vedere o bere una moretti gran gru in una persona che non sa nemmeno che esistono vari stili birrari non serve a nulla.

  3. @Turco
    Guarda, è un ragionamento che ci potrebbe anche stare.
    Ma il semplice fatto che lo facciano solo ora che la birra artigianale tira, mi fa propendere nel credere che questi prodotti portino vantaggi quasi esclusivamente ai loro produttori.

  4. Anche io sono partito con quelle ESATTE birre (Guinness e affini), la curiosità è nata proprio da quei prodotti, probabilmente la questione Gran Cru ci tocca più sul personale a causa della forte pubblicità eccessivamente retorica, ricca di nefandezze, e dall’essere ormai “dall’altra parte della staccionata”.
    Tanto vale seguire il ragionamento di Nico: incazzarsi di meno e sperare che, da qualche parte, ci siano persone pronte ad utilizzare questi prodotti pseudo-artigianali come trampolini di lancio verso il mondo della birra artigianale.

  5. Dal mio punto di vista se la Moretti Gran Cru’ (et similia) puo’ anche essere un modo per avvicinare la gente al mondo delle birre di qualità resta comunque di sicuro il modo più sbagliato.
    Partire in un percorso di conoscenza di questo mondo prendendo come termine di paragone la Moretti come esempio di produttore tipo non può che essere fuorviante e controproducente.
    Semplicemente perchè la Moretti non ha niente a che fare col mondo delle birre di qualità ma piuttosto col suo esatto opposto.
    Considerando poi cosa c’è dietro alla birra in questione (cioè una Belga rietichettata) la cosa diventa ancor più esecrabile… l’idea infatti di proporre prodotti che basano buona parte del loro valore e del loro fascino sull’ artigianalità e sulla genuinità grazie ad un falso pensato ad hoc dall’industria (per accalappiare qualche allocco in un settore di vendite normalmente al di fuori della sua fetta di mercato) è di per sè abbastanza perversa.
    Ma poi, tutto sommato, c’è davvero tutta questa necessità di attirare con ogni mezzo la massa verso il consumo di birra di qualità? Perchè poi?
    Magari fino a qualche anno fa trovare roba bevibile (e anche informazioni a riguardo) senza fare i salti mortali era oggettivamente molto difficile, mi pare però che negli ultimi anni la situazione sia molto migliorata.
    Oggigiorno mi pare che ormai opportunità di provare birre di buon livello e quindi, spinti dalla curiosità di informarsi, di assaggiare altro ed infine di entrare in questo “circolo vizioso” le abbiano mediamente in molti senza bisogno di multinazionali interessate soltanto all’aspetto economico che agiscano da traino.

  6. Penso che operazioni del genere possano aiutare ad espandere il settore semi-craft. Che po da quello si possa arrivare alla vera birra artigianale è da vedere.

    Il problema è che tale settore in italia ancora deve nascere.
    io mi auguro proprio che si arrivi ad avere birrifici di qualità ma che cmq abbiano buoni numeri e distribuzione.

    Mentre per adesso è solo cannibalizzare il mercato.

    Ma come dice il primo commento, domandiamoci prima: “cosa vogliamo ottenere?”

  7. @Andrea: Mi sento un po’ imbarazzato comunque grazie della considerazione che ha dato al mio commento

    I have a dream…
    …. vorrei poter entrare in un pub qualsiasi e trovare una birra bevibile alla spina, perchè ne ho le palle piene di bere Guinness o simili per la mancanza di alternative. Non sono di certo un esperto in materia birraria ma mi piace bere bene e provo tutto quello che mi capita dando l’idea di non essere il solito prodotto di massa.

    Giro molto per lavoro e spesso dopo cena ho voglia di bermi una birra o due prima di andarmene a dormire, quando riesco ad organizzarmi cerco direttamente un albergo vicino a qualche locale fidato o del quale ho letto/sentito, cosa che comporta comunque quasi sempre dover allungare i tempi di viaggio la mattina dopo.
    Spesso e volentieri però capito in dei pub “normali” e trovo così frustrante la scelta con la quale mi vedo confrontato tutte le volte. Ieri sera ero da Eataly a Torino, alla spina c’erano tante Forst una di Baladin, che non mi ricordo, e la ReAle, scelta sicuramente triste considerando i grandi discorsi che Eataly fà sull’artiganalità dei prodotti, ma io ero già contento con il potermi bere una ReAle alla spina.

    Sicuramente la produzione birra artigianale in Italia è troppo limitata per poter soddisfare una grande domanda e probabilmente si perderà anche qualcosa in qualità con un aumento drastico delle quantità, però ci sono tanti esempi di birrifici che riescono a produrre grandi volumi pur mantenendo una buona qualità delle birre.
    Non sarà una InBevAnheuserBuschSABMiller o altro gigante che ci presenterà una valida alternativa, ma se cominciano a proporre dei prodotti indirizzati a chi cerca qualcosa di differente dalla “solita bevanda” vuol dire che c’è un potenziale da sfruttare e prima o poi forse arriverà anche qualche produttore coraggioso che riesce ad andare oltre l’attuale mercato di nicchia.

  8. @Nico
    Beh diciamo che questo ulteriore commento è una conferma che ho fatto bene a impostare un intero post su una tua precedente riflessione 🙂 Alla fine il tuo sogno è anche il mio, che – per quanto pensavo potesse essere difficile – in realtà non sempre è condiviso dagli appassionati e gli addetti ai lavori.

    E tanto per rimanere nell’ambito delle citazioni famose, negli anni ’70 Bill Gates profetizzò che nel futuro ci sarebbe stato un computer per ogni casa e ogni scrivania. A me piacerebbe che un giorno ci fosse una bottiglia di birra artigianale in ogni pub e in ogni bar d’Italia… 😛

  9. Mi ricordo di avere tentato un simile discorso tempo (anni) fa non ricordo il canale se ihb o quale, e fui lapidato con un sostanziale “la gente è e rimarrà ignorante, checcefrega, non siamo certo qui a voler convertire nessuno”. A parte questo.

    Vorrei anche vedere come specchio di questo discorso la becera sezione “birre vino alcolici” di quel portale che è “yahoo answers”, gran vivaio di bimbi certo, ma anche di mamme, cuochi, ingegneri, e chi più ne ha ne metta, dove in 5 anni sono parecchio diminuite le domande “meglio raffo dreher o peroni?” ed aumentate le “dove posso trovare birre non commerciali nel mio paesucolo xy?”, il che vuol dire che il messaggio gira eccome.

    Le vie della sensibilizzazione sono infinite…

  10. Non vedo dove stia il problema. Nico ha ragione. Inoltre se le multinazionali propongono prodotti che imitano gli artigiani è sintomo che qualcosa in meglio è cambiato.
    Lasciate che i supermercati ed i ristoranti si riempiano di moretti gran cru… A chi è che fanno male? Tolgono fette di mercato? Non credo, i ristoratori che vogliono di più possono oggi ottenerlo senza difficoltà ed i consumatori casalinghi avranno presto tanti piccoli beershop ad accontentarli… Non troppi però, mi raccomando

  11. Probabilmente non mi faccio degli amici con quello che sto per scrivere, ma ho l’impressione che alcuni appassionati si comportino come dei bambini, dello stile “no, tu non puoi giocare con noi” e che tutto quello che non rientra nella corrente di pensiero viene imposta dai pochi personaggi di spicco venga immediatamente timbrato come puttanata.
    (Mi potete picchiare domani al the dome 😉 )
    Dalla mia esperienza personale posso dire che mi diverto un sacco a far provare ad amici birre “strane” e che al 90% ricevo responsi positivi, può non piacere un genere o l’altro ma una birra artigianale di gradimento per ora sono sempre riuscito a trovarla. Che la gente sia ignorante è vero, ma non ho mai dovuto “convertire” nessuno, è più una questione di reperibilità e prezzi, la maggior parte della gente che si vede confrontato con un prezzo dai 10€ in su per una bottiglia di birra artigianale, non sapendo a cosa vanno incontro, lasciano stare.
    Io mi reputo fortunato di avere avuto il mio primo incontro ravvicinato al Lambrate e da quella sera ci sono rimasto sotto, ma ci sono andato dopo essermi informato prima e tutt’ora il Lambrate per me è il sacro Graal dei Pub, perché rappresenta davvero l’approccio popolare alla birra artigianale.

  12. @Nico
    Quoto ogni singola parola, a partire dall’esperienza di incontro ravvicinato al Lambrate ed aver poi scoperto l’Hop, che ha le birre del Lambrate, è ugualmente popolare, ma meglio servito dai mezzi :-), una media 4,20/4,50 euro, in centro a Milano. E pure per me rimangono quelli i posti da cercare dove bere buone birre fatte con passione.

  13. Personalmente penso che oggi il termine artigianale, non avendo valore giuridico valga ben poco, finchè non ci sarà una DEFINIZIONE un DISCIPLINAre DI PRODUZIONE della birra artigianale da seguire per poter mettere in etichetta la dicitura “ARTIGIANALE” chiunque può abusarne a piacimento…

    E’ in merito a questo che le associazioni che riuniscono al loro interno i birrifici dovrebbero spingere, per far in modo che il termine ARTIGIANALE non sia un termine di cui si abusa, ma che diventi identificativo di un prodotto realizzato in un detetminato modo e con determinate materie prime… Un pò come già accade per altri produzioni protette… DOP,IGP,BIOLOGICO.

  14. mezzo OT

    Credo che il problema della moretti sia però ancora quello di voler essere quello che non è, mi si scusasse se non lo so, ma hanno poi modificato la pappina “i nostri mastri birrai hanno creato una ricetta speciale per celebrare etc etc” in etichetta ?

  15. @Nico
    “(Mi potete picchiare domani al the dome 😉 )” incrociando questo messaggio con un altro paio credo d’aver capito chi sei…e mi fa immensamente piacere sapere che stasera sarai dei nostri. Le Wv12 son finite, però…

    A stasera!!

  16. A mio avviso è da valutare anche il problema opposto ovvero che queste birre potrebbero anche far “scappare” possibili clienti dal mondo della birra artigianale. Mi spiego meglio.. Se uno che non ha mai bevuto una birra artigianale prende non so una Gran Cru ha tre possibilità:

    1 – Gli piace tantissimo e si informa sul mondo delle birre artigianali e allora ha ragione Nico (ma uno per piacergli così tanto deve avere le papille gustative deformate credo!!).

    2 – Gli piace abbastanza o semplicemente come le altre allora magari l’apprezza però considera che non vale la pena spendere di più per bere una birra di poco superiore alle solite e quindi si rituffa nel mondo Heineken Becks ecc.. e non considera più la possibilità di comprare altre birre artigianali.

    3 – Nella peggiore delle ipotesi non gli piace ed in più è scontento del prezzo e la sua idea di birra artigianale diventa della serie “birre scarse che costano tanto”.

    Cosa ne pensate??

    Secondo me in tutti i settori ed in particolare quello alimentare la differenza tra prodotto artigianale e prodotto industriale dovrebbe essere nettissima sia come informazione che come legislazione.. Ovviamente per far ciò ed essere credibili non solo ditte come la Moretti non devono “imitare” birre artigianali, ma allo stesso modo i birrifici artigianali devono fare birre eccellenti e non intrugli mortali!! 😛

  17. Ma se invece di dare una moretti gran cru , per avvicinare il cliente al mondo della birra di qualità, gli diamo direttamente una Tipo pils o una ReAle o che ne so… forse evitiamo che magari si faccia un idea sbagliata delle birre di qualità… esi fa prima

  18. @ Andrea (il giallo)

    Io ci ho messo un anno ad apprezzare l’amaro del luppolo vero. Prima non lo volevo sentire.
    Anche diversi miei amici che ho introdotto alla Birra (B maiuscola per intendere la vera birra) ed abituati a bere birra ( b minuscola per intendere le lagheraccie) hanno impiegato un pò di tempo ad apprezzare birre di un certo tipo.

    Per apprezzare una birra vera ci va relativamente del tempo…forse le gateway beer hanno il loro perché.

  19. Io penso che l’approccio di ognuno sia diverso, ed in questo conta anche l’eta’.
    E’ chiaro che 15 anni fa si sarebbe faticato di piu’ ad incappare in qualche birra decente…chissa’ che la prossima generazione, gia’ denominata dei “nativi digitali”, non possa essere anche quella dei “nativi artigianali”. 🙂
    Ormai il tempo dei pionieri e’ passato e forse anche quello delle gateway beer.

  20. Secondo me ci vorrebbe al più presto un disciplinare che regoli definitivamente questo mondo immenso, sarebbe più facile anche per chi si avvicina per la prima volta alle birre di qualità. Gli si inculca subito che la birra è classificata in “stili” e non in colori!!

  21. I gateway servono per culture molto distanti. In Cina ed in altri paesi orientali (e non), i vini italiani di qualità hanno utilizzato come gateway il lambrusco, frizzante e scuro come la coca cola e poi da lì hanno iniziato con i vini più pregiati.
    Dire che in Italia, dove una buona birra artigianale può essere bevuta nel raggio massimo di 50-100 Km, dire che serve una gateway beer è un pò eccessivo.
    Stiamo assistendo anche ad un interessamento di alcune catene della GDO sulle artigianali italiane con prezzi anche interessanti, per cui non c’è proprio modo di discutere della cosa.

  22. La birra industriale si sente minacciata dalle birre artigianali? Assolutamente no.
    Semplicemente ha visto aprirsi una nuova fetta di mercato aprirsi senza bisogno di accollarsi i rischi pionieristici d’impresa e prova a “cavalcar l’onda”.
    Riuscirà a produrre prodotti di qualità che reggano il confronto? Dipende da quanto vorranno investire, ma dubito.
    La verità è che indipendentemente dagli stili di birra, dalla diatriba industriale artigianale, dalla “guerra” tra birre d’Abazia e tra birre trappiste, la birra si divide in due sole categorie: La birra buona e la birra cattiva.
    Se il mondo industriale riuscirà a produrre birre simil-artigianali di qualità, bene: Si amplierà la scelta per chi ama questo prodotto. Altrimenti, le cosiddette pseudo-artigianali lasceranno il tempo che troveranno nel tempo di un’estate nemmeno troppo torrida.
    Le artigianali rischieranno il fallimento? Dubito, al massimo falliranno quei microbirrifici che producono birra mediocre che si sono lanciati, magari anche con passione, ma con poca competenza e più per moda che altro. Tuttavia quest’ultima ipotesi la vedo più come una “peste manzoniana”, tanto per cambiare senza alcun untore, che una “tragedia greca”, perché come ci sono birre industriali decenti ci sono anche birre artigianali e microbirrifici scadenti e (udite udite) ci sono anche persone a cui è impossibile proporre altro che una birra lager industriale tipo la “3 luppoli” e a cui non vale neppure la pena perdere del tempo per proporre loro altro.

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