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Gose italiane: come i nostri birrifici interpretano lo stile salato di Lipsia

Ho sempre trovato quello delle Gose uno stile birrario affascinante, per via della sua complessità ed unicità di preparazione. Si tratta di birre nella cui produzione vengono utilizzati il sale, il coriandolo ed i lattobacilli: questo mix è in grado di produrre un sorso acidulo, delicatamente salato e al naso un profilo olfattivo ricco e aggraziato. La bevuta è snella, pulisce, appaga il palato e richiama subito il sorso successivo, rendendo così le Gose specialità tipicamente estive, adatte a placare la sete. Sono ormai tanti i birrifici italiani che si sono cimentati nel riprodurre tali birre, alcuni attraverso creazioni stagionali, altri inserendole nella linea permanente del birrificio. È uno stile versatile che spinge alla collaborazione tra birrifici, a giocare con le materie prime, a testare nuovi lieviti e processi; il birraio può creare la sua versione storica-originale, oppure reinterpretarla ricorrendo a ingredienti insoliti.

Per via della forte assonanza con una delle parole più comuni del vocabolario italiano (“cose” appunto), si presta a svariati giochi di parole: Gose Bone (Birrificio Irpino), Gos’è (Orso Verde), Faccio Gose Vedo Gente (La Ribalta), Gosebuskers (Buskers Pub), Margose (Birranova), Belle Gose (Civale), sono solo alcuni dei risultati che troviamo nel web spulciando tra le varie cantine digitali.

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In questo articolo non voglio raccontare le ormai note origini storiche dello stile, né dare consigli tecnici su come brassarlo, ma cercare di capire come i birrifici italiani negli ultimi anni hanno contribuito a evitare l’oblio di questo stile complesso, creando interpretazioni più o meno fedeli della ricetta originale o personalizzandola con ingredienti del territorio. Proprio un anno fa, parlammo infatti del fenomeno della “fruttizzazione” delle Gose, per via del quale le caratteristiche dello stile stanno mutando profondamente, facendo aumentare nel nostro paese il numero di creazioni aventi la frutta come gradiente. Sì è andato a creare così un sotto-filone ormai solido e destinato a crescere in futuro.

Così, in preda a una curiosità sfrenata, con alcuni amici del BTT (Beer Tasting Torino) abbiamo deciso di assaggiare in batteria alcune creazioni italiane rientranti in questo stile, tenendo come riferimento la celebre versione prodotta a Lipsia.

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Gli assaggi in bottiglia

Di seguito le birre assaggiate in bottiglia:

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Per meglio apprezzare differenze e sfumature, ci siamo aiutati con un diagramma a radar, in cui abbiamo riportato i quattro sapori canonici, corpo e carbonazione, le materie prime della birra e alcuni ingredienti accessori tipici di questo stile.

Il risultato è un quadro interessante e articolato. La Gose di riferimento di Bayerischer Bahnhof è una birra delicata, con una componente maltata inaspettatamente ben percepita e in grado di bilanciare la vena salata (appena accentuata) e l’acidità presente ma non aggressiva. Tra le Gose italiane invece la Goslar 1826 di PBC ci è parsa la più equilibrata nelle sue componenti, rivelandosi come una birra gradevole e ottima interpretazione dello stile. La Gosexy di Batzen ci è sembrata la “più spinta” in tutte le direzioni (acidità, sapidità, speziatura), come se il birrificio avesse voluto esagerare di proposito per esaltare le caratteristiche storiche di questo stile. Il risultato è una birra ad alta carbonazione, vivace ma piacevole.

Alcuni giorni più tardi, ci siamo ricordati di consultare quali fossero i vincitori per questa categoria (la numero 38) a Birra dell’anno 2020… ma lasciamo a voi la verifica.

Al di là degli assaggi in batteria, vale la pena citare un paio di altre Gose bevute in bottiglia di recente. Partiamo dalla Kora, la non-conventional Gose all’ibisco di Birra dell’Eremo, dal colore seducente rosa intenso; una Gose sui generis in cui la tipica acidità non proviene dall’impiego di lattobacilli, ma dall’uso del particolare lievito Kluyveromyces thermotolerans, frutto delle ricerche del birraio Enrico Ciani. La ricetta prevede anche fior di sale italiano, coriandolo e, per l’appunto, ibisco. Chiudiamo gli assaggi in bottiglia con una piccola scoperta, cioè la Gose del Gargano brassata da Cantaloop per la beer firm Birra del Gargano, arricchita con buccia fresca del più antico limone locale (Femminello del Gargano IGP), oltre che dai consueti sale e coriandolo (da notare anche la graziosissima etichetta).

Gli assaggi alla spina

Anche al bancone ho avuto la possibilità di apprezzare questo stile, dove – secondo me – offre il meglio di sé:

  • Space Pulp di Edit, interpretazione dove la frutta la fa da padrona grazie alla con pressatura a freddo di ananas e lamponi, e la sapidità è data dall’aggiunta di sale di Guérande.
  • Gose Buskers di Casa di Cura insieme a Buskers pub, arrivata ormai se non erro alla terza edizione, questa volta come Gose Grape Ale. Un’inaspettata morbidezza che, per birre solitamente secche e attenuate, è un aspetto interessante.
  • Gose di Ritual Lab, una pinta dal color dorato intenso e dal cappello di schiuma persistente, capace di regalare un’esplosione di acidità lattica e note agrumate, il tutto accompagnato da una vena sapida e speziata.
  • Original Gose di Ritterguts, che ho bevuto al Lambiczoon di Milano. Birra non italiana ma prodotta a Chemnitz, in Sassonia: è una delle due Gose “di riferimento” per questo stile, e si contraddistingue per un’acidità marcata e citrina (più della Bayerischer Bahnhof), ma snella e con un corpo pressoché nullo.

Considerazioni finali

Acidità, sale e uso di lieviti non convenzionali sono tre aspetti che non si incontrano frequentemente – né tantomeno contemporaneamente – nelle birre quotidiane o da pasto, e possono scoraggiare il bevitore più tradizionalista all’assaggio – aleggia il terrore di bere una tequila sale e limone ai sentori di cantina! Invece, dopo questi assaggi, ci viene spontaneo osservare che la loro acidità non deve essere temuta (altri stili la manifestano in modo molto più drastico), così come la presenza del sapore salato (rimane comunque paragonabile o inferiore a quella di un comune energy drink). Anche il contributo olfattivo dato dai lieviti non canonici può essere sapientemente dosato ed eventualmente bilanciato dall’aggiunta di spezie o frutta (e coloro che non amano il luppolo trovano in questo stile un rifugio sicuro).

Sembra ormai che la Gose si tratti di una birra che si è “scrollata di dosso” le sue note storiche e rustiche, e che i birrai italiani ne preferiscano nuove versioni, ben più complesse, in nome di interpretazioni più moderne, modaiole o a volte ruffiane. Siamo lontani dai primi tentativi un po’ zoppi dei birrifici italiani, in cui le tre caratteristiche di questo stile apparivano scomposte, non ben amalgamate, originando così birre spigolose e non facili da capire; oggi invece ci troviamo di fronte a prodotti maturi. Chissà la prossima estate quali interpretazioni ci porterà di questo stile…

Qual è la vostra Gose preferita?

Andrea Bedini
Andrea Bedini
Chimico di professione, appassionato di viaggi e montagna. Da diversi anni fa parte della redazione di Cronache di Birra, è membro attivo e organizzatore di eventi presso il Beer Tasting Torino. Fondatore dell'Associazione Pommelier e Assaggiatori Sidro, è tra i curatori della Guida alle Birre d'Italia per la sezione sidro. Diplomato assaggiatore ONAB e ONAV, collabora con l'università su alcuni temi scientifici dei fermentati.

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5 Commenti

    • Ciao Michele, credo di no. Bayerischer Bahnhof a Lipsia afferma di aver dovuto innovare il processo produttivo rispetto a quello storico. Non si inoculano più batteri lattici nel fermentatore ma si dispone di un tino dedicato per la produzione di acido lattico a parte. Il mash sembra regolare.

      In questo video il birraio spiega i dettagli del processo.
      https://vimeo.com/206172707

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