Vi ricordate quando a inizio mese pubblicai un articolo sul calo che stanno mostrando i grandi marchi craft in America? La riflessione partì da un pezzo di Vinepair in cui l’autore individuava come causa primaria l’ossessiva ricerca della novità da parte degli appassionati, che le birre ammiraglie di birrifici come Samuel Adams, New Belgium e Sierra Nevada non sarebbero in grado di assecondare. Personalmente criticai quella visione, ipotizzando che la tendenza fosse più che altro dovuta alla crescita dei prodotti dei birrifici ex craft passati in questi anni sotto il controllo delle multinazionali: i dati di vendita di Elysian, Founders, Firestone Walker e altri confermerebbero questa teoria. Tuttavia in quell’occasione affermai che sarei tornato sull’inquietante ossessione per il nuovo che sta sempre più caratterizzando il nostro mondo. Forse non aveva troppo senso chiamarla in causa per spiegare quel trend di mercato, ma in termini generali è un elemento che è bene non sottovalutare.
Anche perché il tema è molto sentito nell’ambiente, tanto da aver alimentato un dibattito che sta tenendo banco anche in questi giorni. Uno dei commenti più interessanti e condivisi è arrivato dall'”evangelizzatore birrario” Ron Smith. Ecco di seguito alcuni passaggi del suo pensiero al riguardo:
Relativamente alle birre “strane” degli Stati Uniti e al tentativo di soddisfare continuamente un pubblico che vuole sempre qualcosa di nuovo, penso che forse sono semplicemente vecchio e questo sarà davvero il futuro della birra, ma il mio (grande) istinto mi dice qualcosa di diverso. Probabilmente i consumatori che amano “le birre che non sanno di birra” un giorno si convertiranno in normali bevitori, ma ho qualche dubbio al riguardo. Più facilmente scivoleranno verso la prossima bevanda alternativa, o cocktail o altri fermentati che subentreranno. Nessuno di loro probabilmente sarà mai un consumatore fedele a un determinato birrificio. I birrifici mi dicono spesso che “devono” brassare birre strane, perché è ciò che le persone vogliono e richiedono. Io rispondo “Quali persone?”. I tuoi consumatori abituali o i clienti che semplicemente vogliono qualcosa di nuovo?
Se un birrificio non produce soprattutto birre tradizionali, o almeno birre che sanno di birra, probabilmente non sta costruendo una base solida di clienti, né sta assicurando longevità al settore. Ciò di cui molti non si sono resi conto è che mentre l’ambiente, i birrai e i consumatori erano tutti presi ad alimentare la mentalità del “cosa c’è di nuovo e diverso?”, il mercato della birra negli USA è realmente cambiato, e forse per sempre. Ora ci sono tantissimi consumatori che vogliono solo bere birra migliore e più autentica. […]
Ogni birrificio dovrebbe chiedersi cosa succederebbe se smettesse di produrre birre strane e si concentrasse sugli stili classici. Molti ottimi birrifici registrerebbero effetti positivi. In caso contrario, probabilmente dovrebbero rivedere il loro business plan. […] Perdere alcuni consumatori che non amano la birra non dovrebbe avere ripercussioni negative su un buon birrificio. E non significa che non si può brassare un prodotto strano ogni tanto. Significa solo non affidarsi totalmente a questo meccanismo, che rappresenta un pessimo business model e alimenta una cultura che in definitiva è un male per tutto l’ambiente.
Focalizzarsi su un numero limitato di ottime flagship beer riduce i costi, semplifica la gestione del magazzino e costruisce consumatori più fedeli. Dobbiamo smetterla di nutrire il fanatismo e ricominciare a fare buone birre ordinarie, senza che siano per forza strane.
In certi punti il commento di Ron Smith può essere facilmente attaccato, ma al di là di alcuni passaggi il senso generale non può che essere condiviso. Il “famolo strano” è sempre esistito nel mondo della birra, ma da estemporaneo stratagemma per attirare l’attenzione del mercato si è trasformato in un’inquietante costante. In un mercato sempre più competitivo i nuovi birrifici faticano a emergere, quindi è quasi fisiologico che cerchino di incunearsi nei pochi spazi disponibili giocando sull’effetto curiosità. Nel tempo però si è instaurato un meccanismo perverso, che ha generato una rincorsa alla novità che talvolta ha superano i limiti della ragionevolezza.
Da soluzione per incuriosire il consumatore, la ricerca ossessiva della novità è diventata un vero e proprio business model. Quanti sono i birrifici che oggi fondano quasi interamente la loro filosofia produttiva su questo aspetto, rivolgendosi a un pubblico super specializzato ma sempre più ampio? La base degli appassionati ha cambiato pelle rispetto al passato, nutre altre aspettative dal mondo della birra e – anche grazie agli strumenti digitali – è in grado di trascinare un’ampia fetta di consumatori, non propriamente evoluta. L’hype – cioè l’attesa che certi marchi sono in grado di generare nell’ambiente, quasi sempre ben oltre i propri meriti oggettivi – è ormai un parametro che influenza profondamente il nostro ambiente.
Un problema molto interessante sollevato da Ron Smith e raramente approfondito è quello riguardante la creazione di una base di consumatori fedeli. Assecondare la ricerca ossessiva per il nuovo, giocare sull’hype e sugli elementi di tendenza, è una strategia che se ben instradata – ammesso di riuscirci – può portare ottimi risultati nel breve termine, ma è tutta da verificare nel medio e lungo termine. La conseguenza primaria è di crescere un pubblico che sarà necessariamente incostante e che si stancherà presto, cercando il nuovo nel prossimo birrificio alla moda. Esistono molti produttori che sin dagli esordi hanno puntato tutto sull’effetto novità e in alcuni casi sono durati il tempo di un paio di stagioni.
Questa ricerca a tratti isterica per il nuovo è un elemento di passaggio? Verosimilmente sì. Come accennato in precedenza, è il frutto di un mercato diverso dal passato, nel quale diventa fondamentale farsi notare il prima possibile. È probabilmente l’effetto di un momento di transizione e finirà con il ritorno a un mercato meno altalenante e più consolidato. Senza considerare che forse anche i consumatori si stancheranno di questa ricerca della novità a tutti i costi, per prediligere birre che conoscono bene e che considerano affidabili. Oppure, come nelle peggiori previsioni di Ron Smith, semplicemente cercheranno qualcosa di nuovo in settori diversi da quello della birra artigianale.
Ci vogliono birre semplici che fanno innamorare. Quelle che per i nostri birrai sono difficili da fare.
Già… datece la marzen de Elvo!!!
Non la trovo mai azz!!!
Anch’io sono molto scettico riguardo a questa corsa all’ingrediente più strano.. del resto, più la birra è complessa, più si possono mascherare i difetti. Cosa dire poi delle etichette e dei nomi delle nuove birre? Per non sbagliare, continuo a farla da me e sto tranquillo.
“E non significa che non si può brassare un prodotto strano ogni tanto” –> uno dei passaggi chiave secondo me.
Mantieni una linea continuativa di 2-4 birre classiche che gli appassionati possano sempre ricordare, e ogni tanto esci con un’edizione speciale limitata sia per avere qualcosa di nuovo, sia per non far annoiare il mastro birraio.
Alla fine è un sistema paragonabile a quello dei birrifici industriali, che alla loro birra classica alternano edizioni speciali. Aziende che non produrranno birre di qualità, ma che sicuramente sanno studiare cosa vuole il consumatore.
Quoto: “E non significa che non si può brassare un prodotto strano ogni tanto” –> uno dei passaggi chiave secondo me.
Mantieni una linea continuativa di 2-4 birre classiche che gli appassionati possano sempre ricordare, e ogni tanto esci con un’edizione speciale limitata sia per avere qualcosa di nuovo, sia per non far annoiare il mastro birraio.”
La nostra filosofia birraria ormai da 12 anni… ne abbiamo viste di tutti i colori (e gusti) ma siamo sempre stati seduti sul bordo del fiume. E come sono passate le birre al gelsomino, al peperoncino e al basilico, stanno passando le NEIPA de noartri (lurido che basta), le double dry hopping e quant’altro…. il nostro movimento è troppo modaiolo, giusta ci sta una contrazione di chi non lo prende seriamente.
92 minuti di applausi di Fantozziana memoria.