Il “famolo strano” nel mondo della birra esiste da sempre e rappresenta per i birrifici uno degli stratagemmi più efficaci per attirare la curiosità dei consumatori. Spesso si riduce a una semplice divagazione rispetto allo stile di riferimento: pensiamo alle tante varietà di agrumi nostrani utilizzate in alternativa (o in aggiunta) alle arance amare per le Blanche italiane. In altri casi l’originalità si spinge verso limiti più fantasiosi, come nel caso delle birre realizzate con mosto di vino (Italian Grape Ale) o aromatizzate con frutta esotica. Talvolta, però, incappiamo in casi estremi in cui il desiderio di sorprendere spinge a imboccare strade al limite del buonsenso, se non addirittura del buongusto. E dopo un periodo di relativa tranquillità , sembra che questa tendenza stia tornando alla ribalta.
Nell’ambiente internazionale della birra artigianale ci sono produttori che superano questo confine non di rado. Una delle foto diventate celebri negli ultimi anni tra gli appassionati di tutto il mondo mostra un tino di ammostamento pieno di panini per hamburger e patatine fritte, oltre che di birra. Si tratterebbe – il condizionale è d’obbligo, perché si stenta a crederci – della fase iniziale della cotta di Hilma Vanilla Flippin’ Burger Fries IPA (8%), un’Imperial IPA realizzata appunto con pane aromatizzato alla vaniglia (quello usato per l’iconico panino americano) e french fries. Autore della follia brassicola il birrificio svedese Omnipollo, piuttosto conosciuto nell’ambiente e non certo nuovo a simili trovate.
Ma nel resto della Scandinavia non stanno certo a guardare. Una delle collaboration beer più chiacchierate degli ultimi tempi ha visto protagonisti il birrificio Lervig e la contract brewery Evil Twin, il cui incontro ha dato vita alla Big Ass Money Stout. I birrai volevano creare una birra che piacesse al pubblico norvegese e hanno pensato di aggiungere due delle cose più apprezzate in patria: la pizza surgelata e i soldi. Anche se può sembrare assurdo, è ciò che hanno fatto: il discutibile alimento è stato inserito in ammostamento, mentre le corone norvegesi sono state impiegate per il dry hopping. Quasi una presa in giro nei confronti dei consumatori, se non fosse che la birra è regolarmente disponibile sul mercato.
Non pensiate che queste stranezze siano appannaggio dei soli birrifici scandinavi, poiché la lista è lunga e copre tutto il mondo. Negli Stati Uniti ci sono birre con testicoli di toro, bacon e sciroppo d’acero, cervello di capra affumicato, burro di arachidi, testa e ossa di maiale, nero di seppia. In passato raccontammo della creazione giapponese con chicchi di caffè recuperati dallo sterco di elefante, mentre in Italia non mancano birre al tartufo e ai funghi porcini. Ma è in Scandinavia che si dimostrano veri fuoriclasse in questa specialità , come ci ricorda la Smoked Amber Ale islandese con testicoli di balena o l’esperimento del birrificio Narke con ghiandole di castoro. E alzando l’asticella del disgusto, è impossibile non citare la Beard Beer di Rogue con lieviti cresciuti sulla barba del birraio, o The Order of Yoni realizzata con acido lattico vaginale.
L’ultima assurdità in ordine di tempo arriva dal birrificio danese Beer Here: la sua Antnother Brick in the Wall è una Saison acida invecchiata due anni e “impreziosita” con l’aggiunta di formiche rosse. Vive. Catturate a mano dal birraio. Che nel relativo post su Facebook spiega che:
Le formiche rosse giganti sono piuttosto comuni sull’isola di Bornholm e hanno un gusto spiccatamente speziato che ricorda il lime e il rabarbaro. Le abbiamo uccise in un 96% di etanolo prima di schiacciarle e filtrarle nella birra.
La novità di Beer Here risale a fine agosto e non è certo un caso isolato. Proprio negli stessi giorni si è diffusa la notizia di una birra neozelandese brassata con la peluria che ricopre i palchi (le corna) dei cervi, che pare sia andata a ruba in Cina. Se dunque il “famolo strano” è una costante da sempre nel mondo della birra, è impossibile non notare che le incarnazioni più estreme di questo trend si stanno moltiplicando negli ultimi tempi. Sintomo che probabilmente molti birrifici sentono la necessità di sconvolgere i consumatori per emergere in un mercato sempre più competitivo, dove i “mi piace” sui social network valgono mille volte più della costanza e della qualità produttiva.
Durante il Villaggio della Birra dello scorso fine settimana ho avvertito qualcosa di molto simile. Il numero di produzioni inusuali è stato davvero molto alto, soprattutto se paragonato a quelle standard. C’era la birra agli spinaci, quella con dry hopping di tè e quella con fragole, lattosio e vaniglia (per rimanere alle sole che ho avuto modo di assaggiare), ma non si contavano le produzioni acide, con frutta o affinate in legno. A meno di non rivolgersi a qualche classico birrificio belga, incrociare stili tradizionali era praticamente impossibile – sebbene poi molti esperimenti si siano rivelati sorprendentemente validi. Per carità , è sempre accaduto che nei festival i birrifici presentassero un paio di creazioni strambe accanto ad altre cinque o sei “normali”: in questo caso però il rapporto era praticamente invertito. Aspetto curioso e meritevole di riflessione, considerando anche che il Villaggio non è certo un festival che si rivolge esclusivamente ai beer geek.
Così proprio nel momento in cui in Italia certe sperimentazioni sembrano superate – o quantomeno ricondotte all’interno di correnti produttive definite e dai confini netti – ecco che nel resto del mondo il “famolo strano” acquista sempre maggiore forza. Birre acide, alla frutta o passate in botte, se non addirittura caratterizzate da ingredienti assurdi, dovrebbero essere l’eccezione e non la regola. Perché il rischio è che tutta la ricchezza della cultura brassicola internazionale venga ridotta a uno scherzo o a un gioco, di cui farsi una risata prima di bollare la birra artigianale come un’eccentrica moda del momento, destinata a volatilizzarsi con la stessa velocità con la quale scompare il sorriso poco convinto sul consumatore di turno.