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Altro che finite: le New England stanno invadendo il mercato ora, con risultati pazzeschi

Nella teoria della comunicazione, e in particolare di quella dell’informazione giornalistica, molto controverso è il concetto di gatekeeper. Teorizzato a partire dagli anni ’40 da Kurt Lewin e sviluppato in seguito da altri autori, indica quei soggetti che permettono alle notizie di essere effettivamente veicolate e quindi di raggiungere il grande pubblico. Nelle moderne forme di comunicazione, che hanno arricchito i loro canali con gli strumenti digitali (soprattutto i social), questa figura ha perso i suoi connotati originali arricchendosi però di altre sfumature, che si legano all’idea del trendsetter. Succede anche nel mondo della birra artigianale: esiste una ristretta cerchia di appassionati che anticipa le tendenze del mercato, le elabora e quindi permette che si diffondano alla stragrande maggioranza dei consumatori. Tutto questo succede fondamentalmente in modo inconscio, tuttavia mostra delle peculiarità molto interessanti. Ad esempio può accadere che la suddetta nicchia perda interesse in un fenomeno proprio nel momento in cui diventa di dominio pubblico: è ciò che sta accadendo con le New England IPA.

La piccola comunità italiana di beer geek ha cominciato a parlare delle torbide birre della East Coast americana circa due anni fa. Da quel momento l’interesse intorno a questo sottostile è cresciuto velocemente, arrivando a toccare punte di ossessione collettiva. I pochi prodotti provenienti dagli USA sono stati accolti come pietre preziose e si sono alimentati interessanti dibattiti sugli ingredienti utilizzati, finché anche i nostri birrifici hanno iniziato a sfornare NE IPA con una certa regolarità e con risultati altalenanti. Come consuetudine di questo mondo, la novità è stata bruciata velocemente: a livello di discussioni la tipologia è stata vivisezionata da tutti i punti di vista, finché l’interesse ha iniziato fisiologicamente a scemare. Oggi per questi appassionati le “juicy” non solo non rappresentano più una novità, ma sono accolte in maniera molto tiepida, quasi con indifferenza. E intanto ci si guarda intorno per capire quale sarà il nuovo trend del settore.

Nello stesso momento, però, le New England IPA stanno diventando mainstream: non sono più oggetto esclusivo del desiderio dei beer geek più accaniti, bensì prodotti che trovano una loro dimensione sul mercato e che – come vedremo – sono persino in grado di ottenere straordinari risultati di vendita. È ciò che emerge da un articolo pubblicato su Good Beer Hunting, che cita precise statistiche di mercato per concludere che questa tipologia negli USA sta riscontrando un successo a dir poco clamoroso. Considerando i grandi player, prendiamo la Hazy Little Thing IPA di Sierra Nevada, lanciata sul mercato a fine 2017. Ebbene, nei primi tre mesi del 2018 questa birra ha venduto quasi quanto la Sidecar Orange Pale Ale e la Tropical Torpedo IPA messe insieme, cioè le due più importanti novità che il birrificio californiano ha messo sul mercato lo scorso anno. E risultati molto interessanti sono arrivati da altri competitor di Sierra Nevada, come New Belgium con la Voodoo Ranger Juicy Haze IPA o Samuel Adams con la New England IPA.

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Se l’attenzione si sposta verso aziende più piccole il discorso non cambia, anzi diventa ancora più evidente. In alcuni casi raggiungendo situazioni al limite del paradossale, con le versioni “juicy” delle IPA base capaci di competere in vendite con quest’ultime. Il risultato è che negli ultimi mesi il mercato statunitense è stato invaso da una miriade di birre con nomi caratterizzati da termini come “haze”, “New England” e “juicy”, sebbene non sempre appartenenti alla tipologia della East Coast. Insomma, creare birre torbide e soprattutto definirle in un certo modo è diventato quasi una garanzia di successo per i birrifici e questo dimostra il percorso intrapreso dal mercato della birra craft. Un simile fenomeno è quasi sorprendente, tanto più se consideriamo che il grande pubblico non sempre recepisce in maniera positiva una birra torbida e visivamente lontana dall’idea tradizionale della bevanda.

Così la “malattia” per le New England ha raggiunto addirittura i birrifici trappisti. È infatti previsto per il 23 giugno il lancio della Juicy IPA del birrificio Spencer, l’unico produttore americano che può fregiarsi del bollino Authentic Trappist Product. A causa probabilmente della sua collocazione geografica, l’abbazia si è sempre rivelata particolarmente permeabile alle tendenze del mercato: mentre tutti gli altri birrifici trappisti del mondo sono rimasti quasi sempre legati a stili classici belgi, un paio di anni fa Spencer annunciò la sua IPA. All’epoca quella dichiarazione fece scalpore tra gli appassionati, figuriamoci quindi la notizia (qui in pdf) di una prossima NE IPA da parte di un produttore del genere, tra l’altro confezionata in lattina.

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Insomma, proprio mentre l’attenzione dei beer geek per le NE IPA si sta affievolendo, queste birre stanno iniziando a conquistare i bevitori. Forse è la prima volta nella storia che una tipologia relegata a una piccola regione geografica – e caratterizzata da peculiarità tutt’altro che rivoluzionarie – supera il confine degli appassionati per affermarsi sul mercato in così poco tempo. Questo aspetto potrebbe rappresentare un interessante precedente per rivalutare il modo in cui i trend di mercato si creano e si sviluppano nel nostro ambiente, con tutte le conseguenze del caso.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. […] D’altro canto sin dalla sua nascita il birrificio Spencer è apparso sempre molto attivo e pronto a scardinare le consuetudini della birra trappista. È stato il primo birrificio trappista a lanciare una IPA (la Trappist IPA nel 2016), il primo a inlattinare una birra (la Monk’s IPA) e il primo a realizzare una birra collaborativa (la Sinergia ’19 insieme all’italiano Tre Fontane di Roma). Sul relativo sito web è possibile verificare l’ampiezza della produzione, ben superiore a quella di quasi tutti i birrifici trappisti del mondo: la gamma si compone di tre birre base (Trappist Ale, Trappist Holiday Ale e Trappist Monk’s Reserve Ale), cinque birre di stampo americano (due IPA, un’Imperial Stout, una Pils e una Vienna) e due birre appartenenti alla serie speciale con frutta (Peache Saison e Grapefruit IPA). In realtà le creazioni sono ancora di più, come la Juicy IPA che Spencer lanciò a giugno del 2018. […]

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