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Oltre lo spaccio aziendale: l’ascesa delle tap room dei microbirrifici

Tra gli appuntamenti birrari di questo fine luglio c’è l’inaugurazione del Bancone, la tap room di Birra del Borgo. Il marchio reatino, passato recentemente nelle mani dell’industria, sembra puntare con decisione nella sua sala nuova di degustazione: spazi ampi, arredi ricercati, cura in ogni singolo dettaglio e impianto di dimensioni importanti. Sembra un’operazione priva di logica: perché investire così tanto in qualcosa che, in fin dei conti, è un’appendice di un sito produttivo e situato in un paesetto (Borgorose) quasi sperduto tra Lazio e Abruzzo? La risposta è da ricercare nel crescente interesse dei birrifici per le proprie tap room: un trend iniziato diversi anni fa negli Stati Uniti, ma di cui sembrano essersi accorti anche i nostri produttori. E che è destinato a diffondersi anche in Italia, nonostante gli evidenti limiti burocratici ed economici.

In questo senso cade a fagiolo un articolo di inizio maggio pubblicato sul magazine All About Beer. L’autore Harry Schumacher analizza il fenomeno sottolineando come nasca da un modello di business ben diverso da quello del passato:

Anni or sono, quando volevi aprire un birrificio generalmente cercavi uno spazio nelle parti più degradate e a buon mercato della città. Lì costruivi il birrificio, firmavi accordi con distributori e rivenditori e iniziavi a vendere birra a un pubblico di appassionati assetati. Se possibile, potevi aggiungere una piccola zona d’ospitalità dove far assaggiare i tuoi prodotti.

Oggi quel modello non è più valido. Con la crescente concorrenza presente nel settore, è diventato più complicato vendere birra al di fuori della tua comunità. Il modello emergente ora è “prima la tap room, poi la birra confezionata”.

Ma non è un discorso puramente difensivo. Le tap room infatti risultano assai redditizie, al punto che – come spiega lo stesso Schumacher – una multinazionale come Anheuser-Busch appare molto interessata al discorso. Così non è un caso che tutti i birrifici recentemente acquistati da AB Inbev stiano investendo pesantemente nelle loro tap room, con il conforto dei dati provenienti dalla Brewers Association: l’associazione stima che negli USA i birrifici possono ottenere fino a 400 dollari di profitto (lordo) sul singolo fusto di birra. E indovinate chi lo scorso aprile ha acquistato Birra del Borgo? Proprio AB Inbev. Ora capite perché una delle prime novità del marchio reatino è stata l’inaugurazione della sua tap room?

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I vantaggi collegati alle tap room non si limitano solo a discorsi di marginalità sul prodotto. Alla base c’è anche una forte componente comunicativa, perché questi spazi diventano la vetrina dell’azienda e luoghi in cui realizzare un “marketing esperenziale”. È il luogo per eccellenza dove entrare in contatto con i prodotti del birrificio e, a differenza dei normali pub e beershop, non esiste concorrenza: tutto è sviluppato intorno al marchio e alla sua concretizzazione liquida. Rappresentano insomma la massima espressione del produttore, come si evince dalla presentazione del Bancone di Birra del Borgo:

Si chiama così l’ultima idea di Birra del Borgo e si trova all’interno del nuovo birrificio di Spedino. La grande rivoluzione, che ha visto nascere nel birrificio una nuova sala cotte e l’ampliamento degli spazi per le nuove sperimentazioni in anfore di terracotta e botti, continua con “Bancone”, shop e tap room.

Lo spazio […] consentirà ai visitatori di vivere al meglio l’esperienza Birra del Borgo, tra assaggi, acquisti, idee e racconti. Al Bancone 14 vie, di cui 10 spine e 4 a pompa, per l’assaggio di birre classiche e inedite.

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Nonostante l’attenzione riposta nei particolari, il progetto del Bancone di Birra del Borgo non è minimamente paragonabile a quelli delle tante splendide taproom americane. Il confronto ovviamente è ingiusto e ingeneroso, ma per capire la massima espressione di questi luoghi bisogna ancora una volta guardare al di là dell’Atlantico. Gli esempi di tap room capaci di togliere il fiato sono tantissimi: in questo articolo di Food Republic vengono menzionate quelle di Bluejacket (nella foto sopra), Breckenridge, Lagunitas, Speakeasy e Surly (quest’ultima, nella foto sotto, capace di accogliere fino a 300 persone).

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Il fenomeno però sta raggiungendo l’Europa – nel Regno Unito c’è qualche esempio meritevole – e come accennato anche i birrifici italiani appaiono interessati al discorso. La nostra però è una fase ancora vicina al vecchio modello illustrato da Schumacher: a parte rarissimi casi, più che di tap room in Italia occorre parlare di piccoli spazi ricettivi, spesso anticamere dei luoghi deputati prettamente alla produzione.

Eppure anche questa forma decisamente embrionale dimostra un cambiamento di filosofia piuttosto evidente. Lo stesso concetto di “tap room” qualche anno fa in Italia era totalmente sconosciuto, mentre oggi qualsiasi birrificio che apre o che si rinnova, ha tra le priorità la destinazione di uno spazio per assaggi in loco. Insomma, anche nei progetti meno strutturati emerge l’importanza (economica, comunicativa, ecc.) di un luogo deputato a fungere da tap room, che non sia semplicemente l’evoluzione del vecchio “spaccio aziendale”. I limiti, come espresso in apertura, sono semmai di ordine economico e burocratico: due fardelli con cui i birrifici italiani (e le aziende in generale) devono combattere continuamente.

La creazione di una tap room però ha anche i suoi aspetti negativi, perché possono alimentare un certo malcontento. Come spiegato ancora da Schumacher, esse infatti pongono il birrificio in diretta competizione con i locali che trattano i suoi prodotti, e che dunque sono anche suoi clienti. Questa strana situazione può chiaramente generare tensioni e incomprensioni. Un’altra ripercussione, più sottile, riguarda invece la posizione di totale controllo che possono assumere le multinazionali: aprendo tap room e controllando la distribuzione, riducono gli spazi di manovra dei soggetti più piccoli e fragili.

Al di là di queste analisi, personalmente apprezzo molto lo sviluppo del fenomeno delle tap room. Sono luoghi perfetti per entrare nella filosofia di un produttore e il posto in cui essere certi della freschezza delle sue birre. Voi che ne pensate?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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8 Commenti

  1. Importante molto, i luoghi di produzione vengono vissuti come elemento di commercializzazione del prodotto, il visitatore vede da dove viene ciò che trova in bottiglia..visto che il collo di bottiglia di tutto è la vendita, affermazione un pò meno vera per artigiani, ma anche per noi l’elemento difficile è la vendita. Margini importanti ..me lo sono chiesto sempre quando vado in giro..GB, Belgio..Germania..molto più attrezzate di noi in queste cose..questa marginalità collaterale forse un giorno chissà potrebbe permettere un lieve calo dei prezzi sulle bottiglie dove si potrebbe accettare marginalità più bassa.

  2. Dal punto di vista visivo: quelli listati da Food Republic, li trovo carini, anche se trovo i biergarten tedeschi di lunga molto più accoglienti.

  3. Concordo con Paolo Mazzola ed aggiungo alcune considerazioni di tipo prettamente commerciale.

    BdB è stata eliminata dalla scena romana, quantomeno nei posti che esprimono il trend nel microcosmo della birra artigianale. Leonardo è trattato come Higuain dai tifosi del Napoli e per trovare una My Antonia conviene raggiungere il flagship store in zona Marconi.

    Io vedo nella taproom anche un colpo di reni per togliersi dall’angolo in cui è stato messo il microbirrificio di Borgorose. Raggiungere Bancone è, in termini di tempo, una valida alternativa alla zona tra ponte Sisto e Marconi, regno di alcuni dei più noti publicans romani … ex clienti del marchio della torre.

  4. Beh, di certo non venderei bdb che, magari poco distante da me, uscirebbe a prezzi di certo più bassi. Niente spese di trasporto, documentazione varia, movimentazione di magazzino. Un concorrente alle porte.
    I produttori più piccoli hanno bisogno di qualche locale che faccia conoscere il loro prodotto, loro no. Hanno già il sostegno pubblicitario di AB Inbev.

  5. Avere un locale di mescita diretto per i birrai artigianali è a mio avviso vitale in quanto può essere la fonte di sghei e tenere in piedi la baracca. Ce lo siamo sempre detti ma per mettere su una birreria (e continuare a farci gli investimenti) si deve partire dal progetto distributivo.. Troppo spesso (e ahime lo vediamo in questi giorni) punti vendita (improvvisati o meno) al birraio lasciano il cerino in mano con chiusure, cambio gestione, e fatture non pagate… le tap room (dove si debbono iniziare anche a vendere i merchandising!) offrono sia opportunità economiche che contatto diretto con i consumatori (con tutte le informazioni dirette e di prima mano al birraio imprenditore). Anche se non è una Tap Room il birrificio di cagliari con il loro punto diretto sono a mio avviso un bell’esempio di quello che si dovrebbe fare.

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