Il periodo che stiamo vivendo non è certo semplice. Neanche il tempo di aver archiviato la fase più dura della pandemia che ci siamo trovati catapultati in una delicata situazione internazionale, che sta minando tutte le sicurezze che possedevamo fino a qualche tempo fa. Questo pesante periodo di incertezza sta avendo effetti negativi su tanti aspetti della quotidianità, con effetti che difficilmente avremmo potuto prevedere. Tutti i settori produttivi stanno risentendo dell’incremento dei costi energetici, nonché delle difficoltà di approvvigionamento di alcuni prodotti primari. Fortunatamente nelle ultime settimane abbiamo parlato di birra in maniera leggera, ma ora è arrivato il momento di riassumere quanto sta avvenendo nel nostro mondo. A nostro parere non è il caso di lasciarsi andare a inutili allarmismi, tuttavia è opportuno evidenziare le criticità attuali e quelle che potrebbero verificarsi in futuro. Il condizionale è d’obbligo, perché al momento non è possibile fare previsioni accurate, in un senso o nell’altro.
Quella dell’anidride carbonica, ad esempio, è una crisi che mai ci saremmo aspettati. Probabilmente ne avrete sentito parlare perché recentemente Menabrea ha dovuto addirittura interrompere la produzione per mancanza di CO2: la sospensione è durata solo ventiquattro ore, ma è stata importante soprattutto da un punto di vista simbolico. Ora a tornare sull’argomento è stata Unionbirrai, segno che il problema non è appannaggio solo delle grandi industrie. Le difficoltà nell’approvvigionamento dell’anidride carbonica è dovuta all’aumento dei costi energetici globali e ora rischiano di penalizzare anche i microbirrifici italiani, come spiega Pietro di Pilato, consigliere Unionbirrai, all’Ansa:
Non c’è abbastanza CO2 per soddisfare tutta la domanda e si deve anche fare fronte a costi molto elevati. I produttori di birra potrebbero avere una via di fuga per l’approvvigionamento di anidride carbonica, investendo sui sistemi di recupero della CO2 che viene rilasciata durante i processi di fermentazione, cosa che avrebbe anche un impatto positivo in termini di salvaguardia ambientale. Si parla però di tecnologie costose e quindi non accessibili a tutti, per cui potrebbe rivelarsi utile prevedere dei finanziamenti dedicati.
La mancanza di anidride carbonica è però solo uno degli ostacoli che si trovano ad affrontare gli attori della filiera, quindi non solo birrifici, ma anche coltivatori, fornitori e aziende di trasformazione delle materie prime. Secondo il Consorzio Birra Italiana (sito web), infatti, oltre alla crisi della CO2 occorre tenere in considerazione il crollo del raccolto dell’orzo per il malto (-34%), l’esplosione del costo delle bollette e l’aumento della spesa per imballaggi, bancali, contenitori di plastica, vetro, metallo, etichette e tappi.
In questo scenario nel quale gli effetti dei cambiamenti climatici si uniscono a quelli provocati dalla guerra su energia e materie prime è necessario sostenere i produttori di birra artigianale italiana con la stabilizzazione del taglio delle accise per non mettere a rischio un’intera filiera di alta qualità del Made in Italy con effetti sulla produzione, i posti di lavoro e sui consumi. La filiera della birra artigianale italiana conta infatti 1085 attività produttive in tutto il territorio nazionale che, dal campo alla tavola, danno lavoro a circa 93.000 addetti, per una bevanda i cui consumi sono destinati quest’anno a superare il record storico di oltre 35 litri pro capite per un totale di 2 miliardi di litri generando un volume di fatturato che, considerando tutte le produzioni, vale 9,5 miliardi di euro.
È quindi una situazione nera senza via d’uscita? Non esattamente. Negli scorsi giorni è circolata la case history del birrificio marchigiano IBeer, che su Cronache di Birra abbiamo spesso citato in merito alla vittoria di premi in concorsi nazionali e internazionali. Negli ultimi due anni IBeer ha completato il trasferimento della sede produttiva in un nuovo capannone da 1000 mq, cominciando le operazioni con poco invidiabile tempismo rispetto agli avvenimenti recenti. Attualmente sta riuscendo ad assorbire le difficoltà del periodo con relativa tranquillità grazie ad alcuni accorgimenti. Innanzitutto il progetto di ampliamento è stato pianificato nel dettaglio, prevedendo un cuscino economico per la gestione delle emergenze che, puntualmente, sono arrivate. In secondo luogo coltivando in proprio l’orzo e rimanendo quindi immune agli aumenti che hanno investito questa materia prima. È infine ancora l’attenta pianificazione delle operazioni di cantina e di condizionamento che consente di rimanere tranquilli rispetto alla mancanza di anidride carbonica.
Ci sono però due punti sui quali IBeer appare più preoccupata: la routine di lavoro in birrificio e il prezzo delle birra. Li spiega la titolare Giovanna Merloni:
Quello che sta succedendo a livello di contesto globale, ci dimostra come a volte anche il “progetto perfetto” debba fare i conti con variabili inaspettate. Questo mi mette nella condizione di pensare che ce la possiamo mettere tutta, ma che a volte il gioco si fa davvero difficile, indipendentemente dalle nostre risorse o capacità. Al momento non stiamo ancora risentendo di particolari difficoltà, ma ovviamente potremmo dover rivedere in modo significativo alcune strategie aziendali nell’arco del breve periodo.
Se la situazione perdura, immagino che prima o poi anche il prezzo dei prodotto ne risentirà, ma al momento cerchiamo di mantenerci in una fascia che rende possibile a tutti l’acquisto “felice” (ossia senza ripercussioni per il portafogli).
La soluzione, almeno temporanea, secondo Giovanni Merloni potrebbe arrivare dagli aiuti statali:
Secondo me sarebbe davvero opportuno che lo Stato applicasse politiche di sostegno per la classe dei piccoli imprenditori, ma servono azioni serie e soprattutto celeri. Voglio essere ottimista e sperare che questa crisi congiunturale passi in fretta, ma se così non fosse, è necessario che lo Stato tuteli le sue piccole o meno piccole realtà agricole e artigianali, affinché possano superare il periodo difficile non solo con le loro forze ma anche con supporti concreti e garantiti.
Sul futuro ci sono poche certezze e la forza dei microbirrifici è proprio nella loro natura: piccole aziende capaci di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato. Almeno finché tali cambiamenti saranno possibili.
Dopo anni di sprechi costanti; mai evitati grazie agli alti margini, sarebbe arrivato il momento di risparmiare e per farlo ci si dovrebbe rivolgere ai consulenti; ma i birrai non si rendono conto degli sprechi e sono allergici ai consulenti.
Voglio tranquillizzare la sig.ra Merloni, il prezzo del prodotto al cliente finale ne sta già risentendo, i pub/tap room che ho avuto modo di frequentare, per non sbagliare, si sono già presi per tempo negli ultimi mesi e hanno aumentato i prezzi. Come al solito, paga il consumatore finale, che problema c’é…
Da sempre sostengo che il prezzo della birra artigianale è eccessivo; spero in uno scatto d’orgoglio dei consumatori, che si ribellino a questa situazione riducendo i consumi, ma non ci conto.
Io dal canto mio continuerò a farmi la birra, concedendomi ogni tanto qualche assaggio di prodotti che meritano l’attenzione.
Sarebbe infine interessante che la sig.ra Merloni ci “traduca” la sua idea di aiuti statali.