Se seguite con costanza le notizie provenienti dal mondo della birra, sicuramente in questi giorni avrete letto della nascita del Consorzio Birra Italiana, una nuova realtà che si propone di promuovere la birra artigianale prodotta con materie prime nazionali. L’iniziativa si avvale del fondamentale coinvolgimento di Coldiretti ed è nata dall’idea di Teo Musso (Baladin), Marco Farchioni (Mastri Birrai Umbri), Giorgio Maso (Altavia), Vito Pagnotta (Serro Croce) e Giovanni Toffoli (Agroalimentare Sud). La scorsa settimana la vicenda è stata riportata sia dalle testate specializzate che da quelle mainstream, ma personalmente ho preferito aspettare qualche giorno per avere una visione generale più chiara di un progetto che sulla carta è decisamente importante. Così lunedì ho raggiunto telefonicamente Teo Musso – che nel consorzio ricopre la carica di Presidente – per farmi raccontare in cosa consiste questo nuovo soggetto e quali azioni concrete mettere in atto nei prossimi mesi.
I più attenti tra voi ricorderanno che nel 2008 lo stesso Musso fu il promotore di Consobir, un consorzio la cui nascita fu documentata dal primissimo articolo di Cronache di Birra. Nonostante le ottime premesse, all’epoca l’operazione non ebbe grande fortuna e finì presto nel dimenticatoio: evidentemente i tempi erano ancora acerbi per sviluppare i temi portanti dell’organizzazione, come la coltivazione di luppolo italiano o l’istituzione di un marchio di qualità . Oggi, a distanza di 11 anni, Teo ci riprova e lo fa in un contesto che rispetto ad allora è cambiato profondamente: si è affermato il concetto di birra 100% italiana, sono aumentate le malterie attive sul territorio nazionale, è cresciuta la disponibilità di orzo e luppolo per la birra e, non ultimo, ha trovato in Coldiretti un importante partner politico. E probabilmente anche gli obiettivi sono più chiari, tanto che possiamo distinguerli in alcuni step.
Il primo step: uno sviluppo consapevole del concetto di legame col territorio
Un primo aspetto importante da chiarire è che il Consorzio Birra Italiana non nasce come organo rappresentativo dei birrifici agricoli. Non ha alcun legame diretto con la definizione di birra agricola, piuttosto punta a perseguire una serie di obiettivi per la promozione della filiera italiana. Un primo obiettivo è il consolidamento del ricorso a materie prime nazionali per rafforzare (e rivendicare) il concetto di legame con il territorio. Attualmente il nostro mercato è caratterizzato da centinaia di piccoli produttori che stanno enfatizzando molto l’idea di “locale” e di “chilometro zero”, trasformando queste espressioni nell’architrave della loro immagine e del loro prodotto. Quasi sempre il ricorso a tale stratagemma comunicativo è giustificato dall’impiego nella ricetta di pochissimi ingredienti del territorio a fronte di malto e luppolo acquistati all’estero: è il caso delle tantissime birre realizzate con spezie o frutta locali, ma che per gran parte ricorrono a materie prime provenienti dal resto del mondo.
Il Consorzio Birra Italiana intende dunque restituire dignità e senso a questi concetti, promuovendo davvero il ricorso a ingredienti del territorio. Se una birra deve essere definita “locale”, che allora lo sia in tutto: non solo nelle poche materie prime utilizzate per l’aromatizzazione, ma anche nel malto e nel luppolo, cioè negli elementi fondanti della ricetta. Il consorzio punta perciò a sensibilizzare l’ambiente rispetto a questo discorso e a sviluppare un cambio di visione, spingendo i birrai a ripensare l’idea stessa di birra italiana: non più quella che usa indistintamente materie prime straniere nascondendosi magari dietro il paravento della territorialità , ma quella che ricorre effettivamente a ingredienti di provenienza nazionale.
I criteri di adesione
Il criterio fondamentale di ammissione al Consorzio Birra Italiana deriva quindi dai presupposti appena illustrati. Gli associati devono infatti impegnarsi a utilizzare nelle loro produzioni almeno il 51% di materia prima italiana secca (perciò potete pure escludere l’acqua, casomai avesse sperato in una scappatoia). Questa definizione probabilmente vi sembrerà molto simile a quella del decreto ministeriale del 2010 con il quale la birra divenne un prodotto agricolo. C’è però una differenza sostanziale: il Consorzio Birra Italiana non obbliga il birrificio a impiegare malto proveniente da orzo coltivato dalla stessa azienda, perché l’importante è che sia di coltivazione italiana. In altre parole un birrificio potrebbe acquistare malto, luppolo e altre materie prime da normali fornitori, purché siano attivi sul territorio nazionale.
Ma c’è di più. Il consorzio accoglie anche i birrifici che ancora non rispettano il disciplinare, ma che si impegnano a farlo entro la fine dell’anno solare successivo a quello di adesione. Insomma, in questa fase iniziale le maglie del Consorzio Birra Italiana sono comprensibilmente ancora molto larghe, dettaglio imprescindibile per permettere lo sviluppo dell’intero progetto. Le birre rispondenti alle prerogative del consorzio saranno identificate da un marchio “Birra artigianale da filiera agricola italiana” che è in via di approvazione. Ne consegue che non tutte le birre dei birrifici aderenti devono rispettare il disciplinare. Infine per entrare nel consorzio un produttore deve anche rientrare nella definizione di birrificio artigianale come stabilito dalla legge 154/2016.
Il secondo step: incentivare la filiera italiana della birra artigianale
Rispetto a iniziative simili del passato, è chiaro dunque che gli scopi del Consorzio Birra Italiana sono di più ampio respiro. Come spero abbiate capito, il focus non è incentrato esclusivamente sul produttore, ma tende a valorizzare tutti gli attori che si trovano a operare nell’ambiente. La necessità di utilizzare materie prime italiane è il propellente per spingere lo sviluppo di un network all’interno del settore: non solo birrifici che coltivano il proprio orzo, dunque, ma anche quelli che si occupano esclusivamente di produzione, oltre ad aziende agricole, malterie, hop farm, fornitori vari e persino distributori, poiché chiaramente il discorso di filiera non può finire con il confezionamento, ma coinvolge anche chi si colloca nelle fasi successive. Per perseguire questo obiettivo, il consorzio metterà in atto azioni reali e concrete, come il reperimento di fondi per lo sviluppo del settore e la promozione di progetti di ricerca ad hoc.
Il terzo step: il rafforzamento dell’identità della birra italiana
Il fine ultimo del Consorzio Birra Italiana è lo sviluppo di una forte identità della birra italiana attraverso le materie prime nazionali. In tal senso l’organizzazione vuole proporsi come punto di riferimento e di unione per una serie di iniziative che in questi anni sono state avviate in maniera autonoma: la coltivazione di orzo da genetiche italiane, la creazione di ibridazioni per ottenere una varietà italiana di luppolo, lo sviluppo di un ceppo di lievito capace di raccontare l'”italianità ”, ecc. Tutti tasselli che, se correttamente indirizzati, nella visione del consorzio potranno fornire la base per lo sviluppo di un’identità di birra italiana universalmente riconosciuta. È un concetto le cui conseguenze più importanti potranno concretizzarsi sul mercato estero, dove i birrifici potranno presentarsi con un prodotto facilmente identificabile.
A questo punto mi è sembrato naturale chiedere a Teo Musso perché riconducesse questo elemento, cioè la cosiddetta italianità , alle materie prime e non ad altre variabili come l’eleganza a livello organolettico o la creatività – quella autentica intendo – dei nostri birrai. Mi ha risposto che secondo lui esiste un principio incontrovertibile: la birra è un prodotto agroalimentare e perciò deve essere considerata come tale. Quando parliamo di un prodotto agroalimentare di un paese, è automatico ragionare sulle materie prime locali che lo caratterizzano. Questo semplice postulato è in realtà estremamente importante per raccontare il prodotto, soprattutto all’estero. Perché deve esserci qualcosa da comunicare che vada oltre la bottiglia di design e l’immagine ricercata; qualcosa che faccia breccia nel profondo dell’interlocutore, soprattutto se straniero.
Conclusioni
Nelle prossime settimane sarà presentato il marchio Birra Artigianale da Filiera Agricola Italiana e nel frattempo il consorzio comincerà ad attivarsi concretamente. Come avrete capito il progetto sembra molto valido e si avvale dell’appoggio di una realtà importante come Coldiretti. Ci tengo a precisare che, a differenza di ciò che qualcuno potrebbe erroneamente pensare, il Consorzio Birra Italiana non si pone in contrasto con altri soggetti operanti nel comparto della birra artigianale, in particolare Unionbirrai che anzi ha esplicitamente espresso soddisfazione per l’iniziativa. I prossimi mesi ci diranno quanto sarà decisiva l’attività del consorzio nel nostro ambiente, ma la cosa certa è che oggi si trova a operare in un contesto molto diverso da quello di 11 anni fa. Sicuramente più maturo.
Forse sono io che non capisco, ma poco tempo fa lessi su queste pagine della differenza qualitativa delle materie prime italiane rispetto a quelle estere.
Sì lo ribadisco. Quindi?
Quindi cosa si vuol tutelare, materie prime meno qualitative?
Io non lo vedo come un marchio di tutela, ma di promozione. Se serve a promuovere lo sviluppo delle materie prime italiane, e quindi anche la loro qualità , è un’ottima iniziativa (purché si riveli efficace). Se invece intende rivendicare la qualità intrinseche della materie italiane, lo ritengo un errore allo stato attuale delle cose. Ma non ho letto niente del genere.
Ok allora se l’iniziativa avrà successo dobbiamo aspettarci birre meno qualitative?
Ho scritto esattamente il contrario, quindi non capisco la tua domanda.
Allora siamo in due che non capiamo. Il vecchio articolo diceva, e lo ribadisci, che la qualità delle materie prime italiane è inferiore a quella delle materie prime estere. Poi scrivi che vogliono promuovere l’impiego di materie prime italiane e non che vogliono migliorarle e dici che il progetto sembra molto valido. Quindi mi chiedo cosa si vuol promuovere birre meno qualitative di quelle attuali? Non voglio fare polemica, sto cercando di capire.
Veramente in un precedente commento ho scritto “Se serve a promuovere lo sviluppo delle materie prime italiane, e quindi anche la loro qualità , è un’ottima iniziativa”
Va bene anche se non ne vuoi parlare, ma almeno non prendermi in giro.
Mah in realtà sono due giorni che rispondo ai tuoi commenti mio caro Cerevisia. Cosa non hai capito di quello che ho scritto? O magari c’è qualcosa che ti turba e non hai il coraggio di esporlo?
il fatto e’ che il COBI esiste da piu’ di un decennio e non ho mai visto molta attenzione da parte di tanti house-organ per l’agricoltura nazionale…ora perche’ lo fa il “convertitoagricolo” Teo Musso sostenuto dalla Codiretti tutto diventa molto piu’ importante. All’ Ordine dei Commercialisti le ovvie considerazioni….
Puoi spiegare meglio questa simpatica illazione? Perché se ti riferisci a Cronache di Birra in passato scrissi ampiamente del Cobi e del marchio birra agricola, pubblicando addirittura un’intervista a Bernardini. Se ti riferisci ad altri siti e testate, forse dovresti rivolgerti a loro perché questa non mi sembra la sede più intelligente per simili rimostranze. Puoi fare chiarezza? Attendiamo tutti con ansia di saperne di più. Baci.
Paolino dove sei? Qui siamo ancora tutti in attesa dei tuoi chiarimenti. Ti sei andato a nascondere? Baci.
bubusettetete…eccomi qua!!
allora…a parer mio introdurrei un articolo di Legge dove si definisce che un birrificio e’ AGRICOLO, solo e solamente, quando dalla sala cotte vede o intravvede (dietro la collina) il suo campo di orzo…magari aggiungendo un comma….”quando lo ara, fresa, semina e miete piu’ o meno direttamente”.
….il resto e’ tutta materia per bravi e ben remunerati studi commercialisti andando poi di conseguenza a creare una sleale forma di concorrenza per chi da artigianale/metropolitano non si e’ trasformato in agricolo/metropolitano
ti avevo gia’ scritto anche per la qualita’ dell’orzo maltata da piu’ blasonati maltifici esteri nord europei…preciso che l’orzo importato da canada e ucraina e’ trattato con diserbanti, non solo per eliminare le infestanti ma anche per farlo seccare (maturare) piu’ rapidamente per una coltura intensiva a rotazione….e lungi da me di fare del terrorismo birraio…solo per fare presente a tanti incalliti bevitori di firmare, al primo banchetto che trovano da sobri, le petizioni per vietare i neonicotinoidi in tutti i paesi del mondo
bacioni e abbraccioni
tuo