Risale a maggio 2015 il rilascio dell’ultima versione delle Style Guidelines del BJCP, il documento universalmente considerato riferimento per gli stili birrari mondiali. Nonostante siano passati solo 3 anni, i suoi contenuti oggi potrebbero già sembrare in ritardo sui tempi, a causa principalmente della velocità con la quale si susseguono le novità nel nostro ambiente. E poiché la pubblicazione di ogni nuova release richiede un lavoro mastodontico – motivo per cui è prevista in media ogni 5 anni – il BJCP ha ben pensato di identificare degli “stili provvisori”, cioè delle bozze di nuove categorie che possono essere utilizzate ufficialmente nei concorsi internazionali. Un modo insomma per mantenere la documentazione aggiornata, senza dover rilasciare un’intera nuova versione delle Style Guidelines. La premessa è necessaria, perché proprio ieri l’organismo ha annunciato la definizione dei primi 4 stili provvisori, che vale la pena andare a scoprire nel dettaglio.
Poiché il documento del BJCP copre la stragrande maggioranza delle tipologie brassicole, è naturale aspettarsi che le new entry riguardino stili di nicchia. In realtà in un caso siamo al cospetto di un gruppo di birre apparso sul mercato solo in tempi recenti, ma capace di diffondersi in tutto il mondo con una velocità sorprendente. Avrete capito che stiamo parlando delle New England IPA, vero e proprio fenomeno culturale di cui ci siamo occupati più volte in passato. Le altre fattispecie invece rispettano in pieno l’ipotesi di partenza.
Specialty IPA: New England IPA
Ovviamente questo stile non ha bisogno di presentazioni. Il BJCP le definisce delle American IPA con intensi aromi di frutta, corpo morbido, mouthfeel vellutata e spesso un aspetto opalescente e decisamente torbido. Meno amare delle IPA tradizionali ma generosamente luppolate, ricorrendo soprattutto a late e dry hopping. Le note tropicali dei luppoli concorrono a creare quel carattere “juicy” per il quale queste birre sono conosciute.
Nella parte storica si conferma la provenienza dal New England e si individua nella Heady Topper di Alchemist il probabile capostipite della categoria, nonché la fonte d’ispirazione principale per tante successive incarnazioni. Tra gli ingredienti vengono naturalmente citati i luppoli con profili di frutta esotica, frutta a nocciolo e agrumi, mentre curiosamente i riferimenti al lievito sono piuttosto vaghi (ceppi più o meno neutri) nonostante la sua importanza per lo stile. Nel grist si sottolinea la frequente presenza di avena e frumento e il ridotto ricorso a malti speciali o caramello, mentre ci si sofferma anche sulla composizione dell’acqua.
Riporto fedelmente la parte dedicata al commento generale sullo stile:
Lo stile è ancora in evoluzione, ma essenzialmente è una versione più torbida, vellutata e “succosa” di un’American IPA. In questo senso, “juicy” si riferisce a suggestioni che si accompagnano con la bevuta di un succo di frutta o col consumo di frutta fresca. Esempi più pesanti che ricordano i milkshake, i dolci ripieni o i frullati sono da considerare oltre i confini della categoria, poiché una IPA dovrebbe sempre essere molto bevibile. L’opalescenza proviene dalle tecniche di dry hopping e non dal lievito in sospensione, dall’aggiunta di pectine o da grani particolari. Una brillante torbidità è desiderabile, non un aspetto nebuloso e fangoso.
British Strong Ale: Burton Ale
Nella famiglia degli stili forti di stampo anglosassone entrano le Burton Ale, molto diffuse nella città di Burton-on-Trent prima che le IPA fossero inventate. La tipologia era popolare in età vittoriana, tanto da essere esportata nei paesi baltici. Dopo il 1822 fu riformulata, diventando meno dolce e più alcolica, e le versioni più forti evolsero nei Barley Wine. Il loro declino cominciò dopo la Seconda Guerra Mondiale e scomparvero completamente intorno agli anni ’70.
Sono birre scure, tendenzialmente dolci e amare allo stesso tempo, con un profilo aromatico piuttosto ricco. Il corpo è pieno e quasi masticabile, bilanciato da un finale generosamente luppolato. Le note fruttate amplificano la complessità dei malti, mentre i luppoli aiutano a bilanciare la chiusura dolce. Ricordano le Wee Heavy (cioè le versioni più alcoliche delle Scotch Ale), ma sono decisamente più luppolate. La loro definizione da parte del BJCP va probabilmente considerata come un omaggio alla storia della birra inglese e un’esortazione a farla rivivere in incarnazioni moderne. Vale la pena notare che di questa tipologia brassicola hanno scritto tanti analisti e alcuni birrifici hanno provato a riproporla, tra i quali uno italiano: si tratta della Furiosa di Birra dell’Eremo, lanciata un paio di anni fa.
Catharina Sour
Il BJCP suggerisce di inserire questo sconosciuto (o quasi) stile tra quelli regionali, candidati a diventare ufficiali in futuro – per capirci, lo stesso status di cui godono le Italian Grape Ale. Qui la cultura birraria di riferimento è quella brasiliana: si tratterebbe infatti della prima tipologia propria del paese sudamericano. Il nome trae origine dallo stato di Santa Catarina, dove nel 2015, grazie alla collaborazione tra birrai locali e la comunità degli homebrewer, cominciarono a diffondersi birre pensate per i climi caldi e realizzate con ingredienti locali. Detto in parole povere, le Catharina Sour sono delle Berliner Weisse alla frutta, incarnazione molto in voga al momento in tutto il mondo, Italia compresa.
L’idea di isolare questa interpretazione di Berliner Weisse è secondo me intelligente, perché queste birre difficilmente sono assimilabili alle loro “muse” berlinesi. La base fermentescibile è solitamente divisa equamente tra malto d’orzo e frumento (maltato o meno), mentre l’acidità è data da sour mash con aggiunta di lattobacilli. Il lievito è neutro e non è raro che l’aggiunta della frutta avvenga dopo la fermentazione, utilizzata fresca o comunque non trattata. A proposito di quest’ultimo ingrediente, in generale vengono utilizzati uno o due frutti, spesso di varietà tropicale (ma non è obbligatorio).
New Zealand Pilsner
E concludiamo con le New Zealand Pilsner, anch’esse proposte come categoria regionale “ufficiosa”. Praticamente non sono altro che Pilsner fortemente caratterizzate dalle peculiarità dei luppoli neozelandesi, la cui prima incarnazione sarebbe stata brassata dal birrificio Emerson’s a metà degli anni ’90. Chiaramente tra gli ingredienti compaiono le varietà di luppoli locali (Motueka, Riwake, Nelson Sauvin e spesso Pacific Jade per l’amaro), benché non siano escluse anche quelle provenienti da USA o Australia. Nel grist dominano i malti chiari, talvolta con una piccola percentuale di frumento maltato. Nonostante il nome, questo stile può prevedere sia lievito a bassa fermentazione, sia lievito neutro ad alta. Esiste solo un altro stile con la stessa peculiarità, sapete quale?
Secondo me la definizione delle New Zealand Pilsner ha senso soprattutto nell’ottica dei concorsi birrari. Infatti in simili contesti le Pilsner “moderne”, che utilizzano luppoli di nuova generazione, tendono quasi sempre a essere penalizzate poiché i giudici tendono a favorire interpretazioni classiche. Prevedendo una categoria a sé stante, il BJCP probabilmente riuscirà a evitare queste comprensibili preclusioni.
Insomma, cosa ne pensate di queste nuove categorie? Da parte mia non posso non esprimere delusione per l’assenza delle Glitter IPA, che avevo personalmente codificato solo qualche settimana fa.
Non sono molto convinto delle New Zealand Pilsner.
Per utilizzare il termine pilsner quanto meno si dovrebbe parlare solo di bassa fermentazione, poi la luppolatura potrebbe prevedere benissimo luppoli americani con risultati simili a quelli nei zelandesi. Avrei preferito una “nomenclatura” più generica visto l’ampio spettro di varianti concesse per questo stile provvisorio.
P.S. le glitter IPA sono uno “scherzo” del mondo della birra
Che bello, significa che da HB produco da qualche anno delle Catharina Sour senza saperlo……
Per quanto riguarda “questo stile può prevedere sia lievito a bassa fermentazione, sia lievito neutro ad alta. Esiste solo un altro stile con la stessa peculiarità, sapete quale?” presumo si stia parlando delle Baltic Porter
Esatto, Baltic Porter 🙂