Come ormai saprete, da mercoledì scorso la birra artigianale è effettivamente riconosciuta dalla legge italiana. La definizione che è stata formulata dal legislatore è carente sotto diversi punti di vista e necessiterà di chiarimenti affinché i limiti della sua applicazione siano comprensibili a tutti – ad esempio cosa si intende per “pastorizzazione” e “microfiltrazione”? Oppure le beer firm sono realmente escluse dalla definizione? Prima di entrare in questi dettagli, pur importanti, c’è da capire se in senso generale questa novità può portare vantaggi al movimento o sarà utilizzata strumentalmente, con il rischio di confondere ancora di più il consumatore finale. In questo senso è importante analizzare le prime dichiarazioni di enti e aziende che sono state ascoltate dalla Commissione Agricoltura prima della stesura della legge.
Una delle posizioni che personalmente trovo più condivisibili è quella di MoBI, l’associazione che tutela (o dovrebbe tutelare) gli interessi dei consumatori. In un comunicato stampa diramato all’indomani dell’approvazione da parte del Senato, il presidente Gianriccardo Corbo ha specificato quanto segue:
Cogliamo l’occasione per ribadire per l’ennesima volta cosa NON è Birra Artigianale. È errore comune, l’abbiamo visto negli scorsi mesi, pensare che la birra Artigianale sia sempre e comunque migliore dal punto di visto qualitativo e organolettico rispetto ad una birra industriale. Ciò non corrisponde a realtà e affermare il contrario significherebbe prendere in giro il consumatore. Artigianale, nell’ambito della birra, da ieri, è ciò che è strettamente definito dalla legge e null’altro.
La posizione di MoBI è dunque di dissociare ogni concetto di qualità alla definizione di birra artigianale, che invece dovrebbe essere considerata in maniera esclusivamente tecnica e “asettica”. Un passaggio importante, perché se da un lato è giusto tutelare il consumatore finale da prodotti industriali che cavalcano la moda fingendo di essere artigianali (e infatti sono esclusi dalla nuova definizione), dall’altro è corretto che i bevitori capiscano che se una birra è prodotta artigianalmente non per forza sarà buona. Non basta evitare di microfiltrare e pastorizzare il prodotto per produrre una birra degna di nota, perché innanzitutto è fondamentale saper essere birrai. E in Italia, a fronte di circa 1.000 marchi artigianali, spesso la qualità finale non è soddisfacente.
La possibilità che la nuova definizione legislativa sia interpretata come disciplinare di un bollino di qualità è dunque secondo MoBI uno dei rischi principali per i consumatori. In una posizione diametralmente opposta sembra porsi invece la considerazione del Birrificio Collesi, uno dei produttori più attivi nelle audizioni davanti alla Commissione Agricoltura. In riferimento al processo produttivo considerato dalla definizione, il presidente Giuseppe Collesi si è espresso in questi termini:
In questo senso (di processo produttivo ndR) la qualifica “birra artigianale” si prepara a diventare un brand sinonimo di qualità, in virtù non solo delle materie prime ma anche, e soprattutto, del metodo di lavorazione.
Se effettivamente escludere pastorizzazione e microfiltrazione significa, in termini generali, eliminare soluzioni che alterano la birra impoverendola delle sue proprietà organolettiche e nutrizionali, dall’altra non basta la loro assenza per dichiarare un prodotto come di qualità superiore. In assoluto può esserlo a livello “etico”, ma non necessariamente gustativo. E questo è un passaggio che non si può ignorare.
Più condivisibile invece la considerazione di Collesi sul mancato riferimento alla provenienza delle materie prime. Forse ricorderete che quando tutto l’iter procedurale sulla definizione di birra artigianale ancora doveva partire, qui e lì dal mondo della politica arrivavano diverse proposte legislative. Spesso era citato l’obbligo di provenienza nazionale delle materie prime, un vincolo che avrebbe penalizzato gravemente tutto il settore. Per fortuna questa folle idea non è arrivata in Commissione Agricoltura e perciò, così come Collesi, possiamo tirare un bel sospiro di sollievo.
Tra le tante dichiarazioni pubblicate all’indomani dell’approvazione della legge, non poteva mancare quella congiunta Unionbirrai e CNA, che si è invece concentrata sul futuro di tutta la vicenda: l’approvazione di una disciplina alternativa delle accise per i piccoli produttori. Che poi, come spiegato abbondantemente in passato, è il motivo principale per cui si è arrivati all’ormai famosa definizione. Questi alcuni passaggi del comunicato:
L’approvazione del collegato agricoltura […] deve portare adesso a tenere accesi i fari sui micro birrifici e a far sì che ora l’attenzione si concentri su quanto suggerito da Unionbirrai e CNA nel corso delle audizioni in commissione agricoltura, e cioè l’adeguamento del sistema delle accise con agevolazioni per i piccoli produttori, insieme alla semplificazione burocratica non solo degli strumenti per l’accertamento delle accise, ma anche delle procedure per l’avvio ed il lavoro di tutti i giorni.
Stessa attenzione viene chiesta da Unionbirrai e CNA per quanto riguarda gli aiuti e le agevolazioni per la filiera produttiva, in particolare per il luppolo. In quest’ottica infatti ben vengano i provvedimenti di cui all’articolo 36 del collegato in questione, che prevedono interventi in materia di “progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e per i processi di prima trasformazione del luppolo, per la ricostituzione del patrimonio genetico del luppolo e per l’individuazione di corretti processi di meccanizzazione”.
E per concludere non potevano mancare le dichiarazioni di Chiara Gagnarli del Movimento 5 Stelle, una delle maggiori promotrici della definizione. Come riportato da Il Sole 24 Ore:
Crediamo che questo sia un inizio per porre maggiore attenzione a un settore che è cresciuto finora da solo e che questa definizione rappresenti un passo in avanti anche per nuove future disposizioni, come la semplificazione degli adempimenti e la riduzione delle accise a carico dei micro birrifici
Proporremo nuovi provvedimenti nella prossima legge di stabilità. Del resto si tratta di passaggi che, come la definizione di birrifici indipendenti, sono già stati previsti dalla direttiva europea CE 92/83/CEE.
Queste dunque le reazioni “a caldo” di molti attori coinvolti nella vicenda. I prossimi mesi saranno importanti per capire le modalità di attuazione della definizione, ma per il momento è opportuno monitorare gli sviluppi per assicurarsi che i presunti vantaggi portati da questa novità non si trasformino in un pesante boomerang per tutto il movimento.
Ciao, ritornando sulla legge sulla birra artigianale, ma i birrifici artigianali di proprietà dei distributori (quindi commercianti all’ingrosso) posso ancora definirsi tali?
E se si, il distributore può “possedere” quote parziali o totali di più birrifici che a quel punto figurerebbero consociati?
Chiedo scusa ma cercando non ho trovato risposta alla mia domanda …
Grazie, Sergio.
Ciao Sergio, fino a oggi il concetto di indipendenza è stato interpretato solo nei confronti di altri marchi produttori di birra (non artigianale)