Se siete lettori assidui di Cronache di Birra ricorderete che a novembre dello scorso anno, non senza un certo ritardo, Assobirra pubblicò il suo consueto Annual Report, relativo all’anno 2016. I dati dipinsero una situazione ampiamente confortante e con molti numeri in crescita, sebbene specificai che sarebbe stato interessante valutare le cifre del 2017 per avere una visione completa dell’andamento del mercato. Una previsione azzeccata, perché negli scorsi giorni l’associazione ha presentato la nuova edizione del suo importante documento (qui scaricabile in pdf), che delinea un’evoluzione praticamente senza precedenti. Il 2017 è stato infatti un anno record per la birra italiana, durante il quale il settore è stato in grado di segnare record assoluti in diverse voci statistiche, tutte estremamente importanti. La valutazione nel complesso è straordinaria: la nostra bevanda non solo ha retto alla crisi, ma ora che la fase più difficile è alle spalle si dimostra tra i comparti in più rapida ripresa.
E allora partiamo dai primati. Il più importante riguarda probabilmente il consumo pro capite, che nel 2017 ha raggiunto i 31,8 litri. È una crescita che conferma la tendenza degli scorsi anni e in particolare del 2016, quando il dato aveva eguagliato il record storico del 2007. L’incremento rispetto allo scorso anno è oltremodo interessante, perché parliamo di quasi un litro in più a testa (31,1 litri nel 2016). Sono cifre entusiasmanti, che non ci permettono di lasciare l’ultimo posto in classifica in Europa – la Francia dovrebbe essere leggermente avanti – ma che indica un profondo cambiamento nelle abitudini degli italiani: la birra è una bevanda sempre più consumata dalla popolazione, soprattutto per certe fasce di prezzo.
Ma i record non si fermano qui, perché ci sono altri due massimi storici da segnalare. Il primo riguarda la produzione generale di birra, che ha raggiunto i 15,6 milioni di ettolitri nel corso dello scorso anno: la crescita rispetto a quello precedente è stata addirittura del 7,4% (14,52 milioni di hl nel 2016). Il secondo primato è relativo all’export: nel 2017 sono stati esportati 2,7 milioni di ettolitri, a fronte di una riduzione dell’import (6,4 milioni di hl). La bilancia commerciale rimane ampiamente in negativo, ma ora la differenza è di “soli” 3,7 milioni di hl rispetto ai 4,9 del 2016. Un altro dato che indica quindi un consolidamento del settore nel nostro paese, che storicamente non è certo considerato una potenza brassicola.
A giocare un ruolo da protagonista in questa ascesa del mercato sono sicuramente le birre “speciali”, che nella grossolana ripartizione dell’Annual Report rappresentano tutte quelle birre che non rientrano nella categoria Lager (cioè i marchi base più diffusi) e nelle analcoliche. Se queste due tipologie nel corso del 2017 hanno mostrato una contrazione, le speciali invece hanno consolidato la loro crescita, mostrando rispetto all’anno precedente un incremento del 19% e fermandosi proprio a ridosso del 10% di fetta di mercato. In appena sei anni queste birre – nelle quali rientrano le artigianali, le crafty dell’industria e altre produzioni “particolari”, hanno più che raddoppiato la loro presenza nel settore, considerando che nel 2012 si accontentavano di rappresentare il 4,87% delle vendite.
Non tutti i dati però sono confortanti e in particolare ce n’è uno piuttosto inquietante che riguarda le abitudini dei bevitori. Dovreste infatti sapere che da anni in Italia è un atto un spostamento delle modalità di consumo, che vede crescere costantemente quello in casa rispetto a quello fuori casa. Nel 2017 il trend si è ulteriormente accentuato: l’on trade è sceso al 37,6% e di conseguenza l’off trade è salito al 62,4%. Dieci anni fa i due canali competevano quasi allo stesso livello: nel 2007 l’on trade raggiungeva il 45,5%, mentre l’off trade si fermava al 54,5%. Perché questo dato è preoccupante? Perché significa che gli italiani consumano sempre meno birra fuori casa, preferendo berla a casa. Nella visione generale del mercato significa privilegiare la grande distribuzione ai locali (pub, pizzerie, ecc.), cioè escludere sempre di più l’unica realtà in cui è possibile promuovere una vera cultura birraria.
Un’altra notizia non certo entusiasmante che emerge dall’Annual Report è quella relativa alla diminuzione delle accise, prevista per il 2019. Non è una contraddizione: come accaduto negli ultimi anni, si parla ancora una volta di una riduzione tout court e di appena 2 centesimi di euro, che avrà effetti realmente apprezzabili soltanto per le grandi industrie. A meno di clamorose sorprese, dimentichiamoci quindi che in Italia si approverà in tempi brevi la disciplina a scaglioni delle accise, l’unico strumento in grado di rendere giustizia alle immense differenze che esistono tra le multinazionali del settore e i microbirrifici. Un intervento che il comparto chiede da tempo – tra l’altro imposto dalla stessa Unione Europea – ma che probabilmente potremo dimenticarci anche per i prossimi anni, considerando che Assobirra non lo cita minimamente tra i suoi obiettivi per il settore.
Un terzo dato preoccupante riguarda il numero dei microbirrifici operanti sul territorio italiano, che per la prima volta in Italia sarebbero calati rispetto all’anno precedente, passando dai 943 del 2016 agli 855 del 2017. Tuttavia, come sottolineato a suo tempo, andrei cauto nel considerare probanti i numeri che possiede Assobirra in riferimento a questa voce statistica, poiché in passato sono emerse alcune incongruenze. Da questo punto di vista conviene attendere i dati di Unionbirrai, ben più convincenti soprattutto da quando è stato istituito il nuovo meccanismo di rilevazione in concerto con l’Agenzia delle Entrate.
Al di là di queste stonature finali, possiamo essere decisamente soddisfatti per i risultati del 2017, che mostrano un settore in salute come non mai. L’importante è che questo traguardo sia considerato un punto di partenza e non di arrivo, perché c’è ancora molto lavoro da portare avanti. Anzi, i numeri positivi possono trasformarsi in pericolose insidie se non si rimane con gli occhi aperti: la possibilità concreta è che gli spazi creatisi con il lavoro pionieristico dei birrifici artigianali vengano rapidamente conquistati dai prodotti crafty delle multinazionali. Un discorso che magari approfondiremo nei prossimi giorni.