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15 anni di Birrificio Italiano: intervista ad Agostino Arioli

Ieri il Birrificio Italiano ha festeggiato la bellezza di quindici anni di attività, un traguardo che per il nostro giovane settore della birra artigianale è a dir poco fenomenale. Oltre ad essere stato uno dei pionieri del movimento, il Birrificio Italiano è unanimemente riconosciuto uno dei birrifici nazionali più importanti in assoluto, grazie a un ottimo parco di birre, che si è perfezionato nel tempo. Per celebrare la ricorrenza ho pensato di pubblicare un’intervista al birraio Agostino Arioli, considerato uno dei migliori professionisti nel settore. Con lui ho ripercorso l’evoluzione del birrificio, chiedendogli anche alcune previsioni sul futuro dell’azienda. Chi abita nei pressi di Lurago Marinone sappia che in questi giorni sarà organizzata una festa presso l’azienda: il modo migliore per brindare a questo splendido traguardo. Vi lascio con l’intervista, buona lettura.

Quindici anni fa nasceva il Birrificio Italiano, oggi unanimemente riconosciuto uno dei punti di riferimento della birra artigianale in Italia. Cosa ti spinse quindici anni fa a prendere la decisione di lanciarti in questa avventura?

Mah sai, la mia decisione non è che sia maturata quindici anni fa. E’ maturata molto prima: io ho cominciato a fare birra in casa nell’85 e poi pian piano ho visto che di questa passione se ne poteva fare un lavoro. Diciamo che la decisione di aprire un brewpub risale all’incirca al 1987 e quella di indirizzare i miei studi universitari verso la birra al 1989. Quindi sono partito come bevitore e appassionato, poi come homebrewer e poi come birraio professionista… un percorso che conosciamo molto bene e che si ripresenta anche oggi molto spesso per chi apre birrifici.

Com’era il settore della birra artigianale in Italia quando partisti con il Birrificio Italiano quindici anni fa?

Beh, semplicemente non esisteva. Il primo gruppo di birrai che si sono incontrati per fondare l’associazione Unionbirrai risale al ’97. L’iniziativa fu promossa da Guido de La Centrale della Birra di Cremona, Enrico di Beba, Teo di Baladin, i ragazzi del Vecchio Birraio di Campo San Martino e il sottoscritto. UB è nata così e pian piano abbiamo cominciato a confrontarci sulle birre e sui problemi e a far conoscere il nostro prodotto, partecipando con i nostri stand al Salone del Gusto, a Pianeta Birra, ecc. In questo modo lentamente si è messo in moto il movimento che oggi conosciamo molto bene.

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Un movimento che attualmente esiste ed è solido. A proposito, com’è cambiato il settore in questi quindici anni, quali elementi ne hanno caratterizzato l’evoluzione?

E’ cambiato profondamente: dalla freddezza e dalla diffidenza iniziale dei consumatori e della stampa si è passati all’attuale momento di estremo entusiasmo, per cui basta toccare l’argomento “birra artigianale” per ottenere grande attenzione. Quindi verrebbe da pensare che ci sia una certa componente modaiola, aspetto in teoria non propriamente positivo, ma che sta permettendo di crescere a coloro che stanno lavorando bene. Le persone ormai sanno bene che esiste la birra artigianale, mentre una volta era difficile persino convincerle che noi producevamo qui le nostre birre. C’era chi non voleva la birra non filtrata, chi la pretendeva gelida e gasata… oggi è tutto molto diverso.

A distanza di tanti anni la Tipopils – che è un po’ il marchio di fabbrica del Birrificio Italiano – rimane una delle birre più apprezzate in assoluto in Italia. E’ riuscita a resistere sia alle rivoluzioni nel settore, sia alle mode che si sono avvicendate nel tempo. Secondo te da cosa deriva il successo di questo prodotto?

Una volta un rater di Ratebeer scrisse che è un birra “archetipica” e io sono d’accordo: coincide esattamente con l’idea comune che abbiamo di birra. E’ un classico… come nella pittura ci sono i classici che non tramontano mai, nella letteratura uguale… la Tipopils è un classico, perché come tutti i classici ha un suo equilibrio. Un equilibrio che nella fattispecie si realizza tra il malto e il luppolo – entrambi evidenti ma armonizzati, aspetto che la rende una birra non banale – e le sensazioni boccali… è molto piacevole al tatto, in bocca, è una carezza morbida ma anche vivace: è questa la chiave del successo della Tipopils.

E’ una birra che inoltre lascia pochi effetti secondari anche se eccedi e bevi qualche bicchiere di troppo 🙂 . Ho preferito non spingere troppo sul luppolo, motivo per cui esiste la sorella Extra Hop… volevo che la Tipopils rimanesse un esempio di equilibrio, cosa che è accaduta poiché personalmente la considero progenitrice di tutte le Pils all’italiana che sono nate in questi anni, attingendo più o meno direttamente dalla Tipopils – in molti casi si tratta di birrai che hanno lavorato qui. E’ per questo che organizzo il Pils Pride: credo che sia un bellissimo stile birrario e quindi voglio farlo conoscere, non solo con le mie birre, ma anche con quelle degli altri. Cerco di proporre il meglio delle Pils, quest’anno ne avremo 16, forse addirittura di più.

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Un evento, quello del Pils Pride, unico in Italia e davvero molto bello. Tornando alla tua azienda, cosa ti è rimasto di questi primi 15 anni di vita del Birrificio Italiano?

Principalmente il fatto che il Birrificio Italiano sia evoluto con me e con chi ci lavora. Quindi mi è rimasta la sensazione di una grande crescita, non tanto in termini numerici, ma di qualità della vita mia e di chi ci lavora e della birra. Riassumendo crescita personale e crescita dei prodotti. E poi il piacere di fare questo lavoro, che negli anni iniziali, in cui dovevo correre costantemente su e giù, mi ero un po’ perso. Io amo l’atmosfera che si respira qui: cinque anni fa sono tornato personalmente a fare le cotte, perché avevo capito che fare il manager e l’uomo immagine non mi interessava… per me è importante fare birra.

In conclusione, come immagini il Birrificio Italiano da qui ai prossimi quindici anni?

Mi immagino che il Birrificio Italiano continuerà a restare fuori dalla moda, cioè non tendo ad assecondare troppo la necessità di birre particolari o birre estreme. Vorrei continuare a fare birre bilanciate e godibili, e al contempo produrre qualche specialità, come ho sempre fatto. Vorrei rivolgermi sempre di più al mercato della birra ed evitare di entrare in quello del vino, che è invece una tendenza che oggi sta emergendo in maniera abbastanza evidente. Io vorrei che il Birrificio Italiano continuasse a soddisfare i bevitori di birra, con birre semplici, beverine, ma di carattere. E infine vorrei che ci fosse sempre più piacere, sempre più divertimento: quindi anche fare birre nuove, fare ricerca, migliorare sempre più il controllo qualità – cosa che stiamo già facendo quest’anno, dopo aver acquistato un sacco di apparecchiature. In generale vorrei che il birrificio come “creatura” sia sempre più piacevole. Per mia fortuna non sono troppo attratto dai numeri, dal successo e dalla mia immagine pubblica… per un certo periodo ci ho anche provato, ma non mi interessa, mi interessa fare il birraio.

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Quindi vedi il Birrificio Italiano continuare per la strada che ha sempre percorso fino ad oggi…

Sostanzialmente sì. Serve anche a ricordare alla gente che la birra non deve essere necessariamente qualcosa di strano o di estremo.

Non mi resta che ringraziare Agostino per la disponibilità e augurare al Birrificio Italiano un futuro costellato di ulteriori grandi successi.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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16 Commenti

  1. AUGURI BIRRIFICIO ITALIANO! e non dimentichero’ mai..quella sera del estate 98 quando assagiai per la prima volta la tipo pils…grazie agostino!

  2. “perché avevo capito che fare il manager e l’uomo immagine non mi interessava… per me è importante fare birra”

    questa la uso come definizione di “birraio artigianale”

    vero che posso rubartela Ago?

    a presto
    Lelio

  3. Agostino dice: “….. Serve anche a ricordare alla gente che la birra non deve essere necessariamente qualcosa di strano o di estremo”
    HA ASSOLUTAMENTE RAGIONE!!!!

    MEDITATE GENTE MEDITATE……..

    • Beh Tommaso, da un’indagine sui consumatori di birra artigianale apparsa qualche tempo fa su queste pagine, la ricerca in una birra dell’estremo e dello stupefacente sembra tendenza consolidata solo presso bevitori entusiasti di esperienza medio-breve… Più si va alla lunga corsa, più si ritorna a dare valore all’essenza dell’esperienza birraria; all’equilibrio, alla semplicità.

  4. Ha capito prima di tutti che il successo si costruisce sulla birra buona e non necessariamente strana o con l’ingrediente esotico. E’ la dimostrazione vivente che un birraio ha tutta la possibilità di esprimersi, restando in stile (e che stile) e che per fare una buona birra non è necessario reinventarsela, ma basta reinterpretarla, grande. I migliori auguri.

  5. Prendo spunto dalla bella intervista di A.Arioli (che secondo me incarna il grande artigiano della birra), per avanzare una considerazione personale su uno degli aspetti che più mi preoccupa del mondo della birra artigianale. L’argomento è l’abbassamento della qualità a fronte della richiesta di mercato e dell’allargamento del parco bevitori. Anche se molti avranno capito mi spiego con un esempio. Prendo la ReAle per spiegarmi, una regina a mio avviso. L’ho bevuta di recente, dopo un po’ che non la bevevo, l’ho trovata diversa (leggermente, intendiamoci) e mi è scattato un campanello di allarme. Era solo un caso? Magari gli mancava solo qualche giorno di maturazione o invece si comincia a modificare leggermente la ricetta per rispondere alla grande richiesta o (peggio) per farla piacere a più persone? Magari levando un po’ di amaro? Questo varrebbe per Birra del Borgo che oramai è un “piccolo colosso” ma ovviamente potrebbe valere per altri quotati birrifici artigianali. Se mi dite che sono fuori strada e che non ho capito niente non me la prenderò, anzi ne sarei sollevato.

    • Un prodotto alimentare in genere scade volutamente di qualità, non in base ai litri, kg o pezzi venduti, ma in base al raggio di distribuzione. Più è ampio il raggio, più solitamente s’abbassa la qualità, a causa dei trattamente subiti dal prodotto atti ad aumentarne la coservabilità. Nella birra specificatamente subentrano filtrazioni, sterilizzazioni (microfiltrazione), pastorizzazione ed impiego dei conservanti. Una birra rifermentata in bottiglia non dovrebbe avere di questi problemi, mentre li hanno le birre maturate in bottiglia (90% dei casi Italiani) e le basse fermentazioni fuori dalla catena del freddo.

  6. @Cerevisia
    mi spieghi allora come sia possibile che nel mondo, ad esempio in Belgio, esistano prodotti di altissima qualità, fatti in volumi enormi se comparati ai birrifici italiani, esportati in tutto il mondo mantenendo la loro alta qualità?
    a mio modo di vedere l’alchimia della qualità non sta in questo o quel trattamento, ma nel saper giungere ad un risultato sapendo gestire tutti i fattori legati alla produzione. Se qualcuno in Italia scende di qualità è solo perchè sta imparando a gestire nuove tecniche o tecnologie. questa è un opinone ovviamente supportata solo da sesazioni e informazioni raccolete qua e la..
    a me personalmente se una birra di qualità ha un’oscillazione mi sta bene ugualmente purchè il prodotto rimanga riconoscibile. tutte le birre italiane hanno oscillazioni nessuna esclusa. per cui chissenefrega se fanno su e giù lo fanno anche le trappiste!! provato con mano anzi con gola…

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