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“Me dai ‘na chiara?”: il mio resoconto

Come largamente anticipato negli scorsi giorni, ieri ho condotto al Blind Pig di Roma la terza e ultima (a meno che nel frattempo non inventino le birre verdi) puntata della serie I colori della birra. Dopo aver affrontato le ambrate e le scure, con l’arrivo del caldo era ormai matura la serata “Me dai ‘na chiara”, il cui titolo coincide con una delle richieste più frequenti che i publican “illuminati” sono costretti a ricevere da clienti alle prime armi. Un malcostume diffuso quello di chiedere una birra per colore, che il format in questione ha cercato di sfatare proponendo in degustazione birre accomunabili dalla stessa sfumatura cromatica, ma in realtà estremamente diverse tra loro. Tema che evidentemente è considerato piuttosto interessante, visto che ieri il locale era pieno in ogni ordine di posto.

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Abbiamo assaggiato nell’ordine Tipopils del Birrificio Italiano, Gose di Bayerischer Bahnhof, XX Bitter di De Ranke e Reinaert Tripel di De Proef. Quattro produzioni provenienti da nazioni diverse, ben assortite tra grandi classici, chicche locali e moderne interpretazioni di canoni tradizionali. Ad accompagnare gli assaggi un ricchissimo buffet, che sebbene non fosse composto di abbinamenti espressamente pensati per le birre, è stato proposto cercando di stabilire un certo grado di armonia con quest’ultime.

Impossibile non partire con la Tipopils del Birrificio Italiano, perché oltre a rappresentare un classico (forse l’unico vero classico) della scena birraria italiana, è una birra ottima da proporre ai curiosi in alternativa alle lager industriali. Come affermato dal birraio Agostino Arioli in una recente intervista che ha concesso al blog, è un prodotto “archetipale”, nel senso che coincide con l’idea di birra presente nell’immaginario collettivo. Mi sembra inutile spendere altre parole per una birra che tutti gli appassionati hanno provato almeno una volta nella vita: da molti è considerata la migliore Pils in Italia se non al mondo… c’è altro da aggiungere? Sicuramente non poteva esserci modo migliore di cominciare una serata su un simile tema.

Successivamente siamo passati a una straordinaria specialità locale: la Gose di Lipsia. E’ una birra di frumento estremamente particolare, legata tradizionalmente alla città tedesca in questione, brassata con un mix di ingredienti inusuali: coriandolo, sale e lattobacilli. Ha un profilo aromatico unico, sicuramente di non facile approccio: componente salina in primissimo piano, acidità piuttosto pronunciata, speziatura evidente. Molti dei presenti hanno storto la bocca ai primi assaggi, salvo poi attaccare il bicchiere con maggiore decisione dopo averci fatto la bocca. In effetti la Gose è una birra che va giù con grande facilità e che, con il suo potere dissetante, si rivela un vero toccasana nelle giornate più calde. Dopo anni in cui ha rischiato l’oblio, oggi sembra che le sue condizioni siano stabili, sebbene al mondo siano rimasti solo tre produttori di questa specialità. Per la cronaca la Gose da noi assaggiata è stata quella del Bayerischer Bahnhof di Lipsia.

Con la terza birra ci siamo spostati in Belgio, più precisamente presso il birrificio De Ranke di Dottignies. In programma c’era la produzione di punta dell’azienda: la XX Bitter, prima rappresentante dell’ondata di birre amare che ha investito la nazione negli ultimi anni. Rispetto però a tanti birrifici concorrenti, che hanno seguito la moda snaturandosi e spesso con risultati anonimi, De Ranke ha sempre mantenuto le sue caratteristiche: sperimentazione vera, legame con le tradizioni, tocco personale ben evidente. La XX Bitter è la summa di questi principi, con il suo carattere estremamente luppolato, ma anche con una personalità irripetibile. E’ una birra in cui il luppolo è protagonista assoluto (sebbene non sia effettuato dry hopping), ma non attore unico: il corpo leggermente caramellato, il malto ben presente, le note speziate e fruttate contribuiscono a creare una solida impalcatura, grazie alla quale la luppolatura può esibirsi in tutto il suo splendore.

Da un’esponente della moderna scena brassicola belga siamo infine passati a uno stile estremamente classico: quello delle Tripel. La tipologia, inventata dal birrificio trappista di Westmalle, è uno dei perni della storia birraria del Belgio. I tentativi di imitazione sono tantissimi, pochi però in grado di avvicinarsi al modello originale. La Reinaert Tripel di De Proef che abbiamo assaggiato è invece un ottimo esempio: complessa e appagante, con note decise di mandorla e pan di spagna, un trionfo di frutta sotto spirito e alcool ben in evidenza. Il finale secco conclude l’opera e pulisce la bocca, sebbene la luppolatura non sia particolarmente spinta.

Come avrete capito abbiamo avuto modo di assaggiare quattro birre estremamente diverse tra loro, anche se molto simili dal punto di vista visivo (non solo per colore, ma anche per la ricca schiuma che possono vantare). Mi sembra che anche stavolta la serata sia pienamente riuscita. Ringrazio tutti i presenti, Riccardo e tutto lo staff del Blind Pig. E la prossima volta che chiederete una birra, ricordatevi che il colore non serve a niente!

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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28 Commenti

  1. Al mondo ci sono più di 3 produttori. I tre produttori son quelli tedeschi; uno solo di lipsia città.
    I restanti sono americani per la maggioranza ma, per evitare la solita storia, in italia non facciamo splendide pils?

        • Oh sì, se è per questo anche Amiata produce una birra al sale e le ho entrambe citate ieri sera

          Però ho un po’ di difficoltà a considerare Gose una birra prodotta fuori dalla Germania, anche se ne imita la ricetta.

          Così come ho difficoltà a considerare Kolsch a tutti gli effetti una Rodesrch o una Pecan

          • Posso capire il ragionamento, io stesso lo applico alle weizen che invece ce ne sono fin troppe.

            Anche se un po’ di elasticità (anche nello stile) non guasta se il prodotto è valido.

      • mi sento di dare ragione al Turco

        non più di una settimana fa Beppe mi ribadiva che la sua non è una Gose ma la “sua” birra al sale. quest’anno è prodotta col Trappist, sfido ad inserirla nello stile

        su quelle ammerigane sono rimasto ad un campione assaggiato nel 2008 e stenderei un velo pietoso…

    • Ma la Gose è talmente rara e così bella da bere sul posto che fuoriesce dalle considerazioni fatte su Koelsch, Alt e ancor di più su stili di cui esistono innumerevoli esempi come pils o weizen…Non ne ricordo la fonte (Tyrser?), ma ultimamente ho ascoltato una bella storia su un produttore americano che emulava la Gose…Senza averla MAI bevuta prima. Un aneddoto che secondo me dice molto.

      • Assolutamente d’accordo. Adoro lipsia e la BB 😀

        Però anche loro son dovuti passare per ricette e ricordi prima della rinascita.

        • A tal proposito ricordo un aneddoto (ricordo vago, qualche storico potrebbe confermarlo) secondo cui il tipo che resuscitò la Ohne Bedenken, riunì alcuni vecchi tracannatori di Gose nella metà degli anni 80 per far giudicare a loro la sua prima cotta della nuova Gose…Se vero ha qualcosa di romantico, al tempo stesso ilare (saranno stati “esperti”, ma nulla mi toglie il sorriso ad immaginarmi quella degustazione con delle sorta di “uomo del monte” presumibilmente ex-abusatori di Gose dare il giudizio finale) e offre spunto di riflessione.

    • Oddio difficilmente qualcuno chiede una “birra bianca”… più facilmente una Weisse. Comunque vedremo, grazie per il suggerimento

      • Seee…Beato a te…”ce l’hai una bianca?” frase che noto sempre accompagnata da un linguaggio del corpo sicuro di se, dell’avventore con a fianco bella (anche no) gnocca, subito disintegrato da un timido: “Beh, te posso da’ na Weisse”. Dirottano sempre su “Va bene una chiara”.

        Io ti proporrei anche una serata sulla “moltiplicazione dei malti”. Prendo ispirazione dall’altra sera, quando nel sempre ben frequentato Bir&Fud è apparsa la romanicità (e non romanità, che è ben diverso) tipica di una ventenne in carne (portava una sesta fasciata da felpetta un pò sudaticcia, vista la temperatura alta de sti giorni), la quale ha fulminato il Cammello con “Aò, me dai ‘na quadrupla?”.
        Potrebbe essere seriamente interessante come serata

        • cazzo ragazzi ma il “me dai na quadrupla” è roba da albo d’oro, ci sono vari livelli di comicità

          • grande manuele… comunque la birra artigianale sta forse prendendo una brutta direzione, mi pare che sia diventata fashion e che anche i non intenditori (o meglio quelli che proprio non sanno manco cosa bevono) si siano avvicinati pericolosamente non con l’intento di bere birra sana e di qualità ma soltanto con l’intento di sentirsi cool! va bene inglobare la massa ma attenzione all’educazione birraria che deve sempre guidare il consumatore ad un attenta scelta… oggi mi sento filosofo

  2. Grazie a te Andrea, e visto che mi trovo ringrazio anche Marco “ciccio” Chiossi condottiero del beershop Ebrius che mi ha portato la Gose! Io non l’ho mai bevuta in loco, solo da Nino allo Sherwood e dal Colonna al Makke ma la bevo sempre con grandissimo piacere, per me è una birra straordinaria: per chi volesse approfittarne ne abbiamo ancora. Anche a me è capitato “me dai ‘na bianca!” anche me dai na triplo malto (oltre ovviamente all’immancabile doppio malto) damme na quadrupla me manca, ma siamo ancora giovani.

  3. Purtroppo o per fortuna non succede solo con la birra. Famosa una richiesta, tanto da essere riportata sulla rivista “il mondo della birra”, MI FAI UN BACARDI E COLA, FATTO CON L’AVANA?

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