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Nuovi birrifici italiani: Birra Bellazzi, Julia 63, Benaco 70 e Maledetto Toscano

bellazzi-logoAnche se siamo in piena estate le notizie sulle nuove aperture in Italia non mancano di certo, anzi restare al passo con le novità è tutt’altro che semplice. Dopo l’aggiornamento di metà luglio torniamo a occuparci dell’argomento e partiamo dall’Emilia-Romagna, dove – come riportato dal sito Birramoriamoci – è da poco partita l’avventura di Birra Bellazzi. Si tratta di una beer firm – il nome riprende il saluto “bella zì” nello slang dei più o meno “giovini” – fondata da due amici con un passato di homebrewing alle spalle. La zona di riferimento è la provincia bolognese, in particolare il comune di Riva di Reno. L’impostazione è molto moderna, tanto nella grafica, quanto nell’uso dei social network, quanto ancora nella scelta delle tipologie da brassare.

Le birre prodotte al momento (presso l’impianto di Retorto) sono due: la Jake è una Pacific Pale Ale che si propone come session beer, quindi facile da bere e luppolata con varietà Pacific Jade e Kohatu; la Alley Hop (8,5% alc.) è invece un’Imperial IPA sfacciatamente luppolata e con un amaro che non passa certo inosservato (87 IBU). Se ne volete sapere di più vi rimando al sito web di Birra Bellazzi.

j63Spostiamoci in Toscana e più precisamente nel comune di Cenaia (PI). Come si può leggere sulla pagina Facebook di In Fermento, qui da un paio di settimane ha inaugurato il birrificio Julia 63, che rientra nella tipologia dei produttori agricoli (con tanto di logo ufficiale). In effetti il birrificio sorge all’interno della tenuta Torre a Cenaia, potendosi dunque avvalere anche di un locale di mescita e di un ristorante. In pratica è un brewpub a tutti gli effetti.

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Le birre prodotte al momento sono cinque: J Pils (con, cito, luppoli “Premiant, Zladec e Saaz” – chiaramente gli ultimi due sono la stessa cosa, nonostante l’errore nel primo nome), J Blanche (con classica speziatura da Blanche), J Blonde (Blond Ale con luppoli americani), J Rubba (Doppelbock con luppoli americani e inglesi), J Black (Dubbel con luppoli americani e francesi). Per ulteriori informazioni potete consultare il sito del birrificio.

Benaco_logo_scrittaCi spostiamo invece ad Affi, in provincia di Verona, per segnalare l’apertura del birrificio Benaco 70. L’idea nasce da una coppia di coniugi, che dopo alcuni anni come homebrewer hanno deciso di compiere il grande salto. Attualmente la gamma si compone di tre produzioni, tutte ad alta fermentazione e con nomi che indicano semplicemente lo stile di appartenenza: Kölsch (5% alc.), Strong Bitter (6% alc.) e Blanche (4,5% alc.). Contenuto alcolico discreto, tre stili per altrettante culture brassicole europee, nessuna IPA: tutte scelte interessanti. I formati disponibili sono da 33 e 75 cl, bottiglia Unionbirrai, mentre le grafiche sono minimaliste ma ben curate. Altri dettagli sul sito del birrificio.

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maledetto_toscanoE concludiamo questa panoramica come l’avevamo cominciata, cioè con una beer firm. Come riportato dal sito de La Pinta Medicea – in Toscana è da poco partita anche l’avventura del Maledetto Toscano. Come accennato, non si tratta di un produttore a tutti gli effetti, ma di una beer firm nata dalla collaborazione tra alcuni locali della zona: i Punto Birra di Pistoia e Viareggio e il Beer House Club di Firenze. Una sorta di partnership quindi, che permetterà a queste realtà del settore di lanciarsi anche nel segmento produttivo.

Il Maledetto Toscano al momento produce quattro birre, definite “maledette”: Mina (Double IPA), Come I Babbo (Imperial Stout), Birbona (Saison con miele e anice stellato) e Ribei (Pale Ale). La presentazione ufficiale si è tenuta a fine giugno al Punto Birra di Pistoia.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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42 Commenti

  1. E’ bello che ci sia sempre più proposta!! Io conosco Birra Bellazzi, l’ho bevuta da Ranzani13 a Bologna (in realtà la sede è in centro e non in provincia, riva di reno è la via) e mi è piaciuta molto!

    • …anche l’acidità sta bene nella birra, quindi perché trattenersi…
      A me “sregolatezza senza genio” intriga anche se non conosco BirraBellazzi, fare birra o berla non è cosa da geni (certo un po’ di intelligenza non farebbe male… in generale!) e per sperimentare e uscire dal banale un po di sregolatezza è invece fondamentale per non fare sempre le solita birra.
      Sul loro sito si capisce l’intento… speriamo che le birre siano all’altezza dei propositi però!

      • Fare una Pacific Pale Ale non è che sia tutta questa novità rispetto alla solita birra.
        Poi il sito non l’ho ancora visto e le birre non le ho bevute, mi limito a dire che a pelle lo slogan non mi fa impazzire.

      • Anche me lo slogan piace molto! Non è la parte fondamentale di un prodotto, ma non facciamo finta che la sostanza sia l’unica cosa in questo mondo… (ahi me quasi sempre il “contenitore” predomina e schiaccia completamente il “contenuto”).
        Un po’ di marketing se accompagnato dalla qualità non può far certo male, no?!

    • beh magari è solo per fare un po di marketing aggressivo….io tranne quando vedo quelle cose ” chiara doppio malto” “rossa doppio malto” “birra speciale” che denotano una evidente ignoranza di base che quasi mai porta a buoni prodotti tendo ad evitare di accannare prima di assaggiare 😀

      • Concordo con te alexander_douglas e con BereBene!
        Credo l’importante sia fare birra buona che non sia un clone di qualcos’altro che già esiste e uscire dalle regole (essere “sregolati”) è uno dei modi per farlo, se sei il migliore o meno non lo so… ma è un inizio!

      • tendenzialmente d’accordo se non fosse che “birra speciale”, “doppio malto” etc sono le classificazioni di legge italiane… che poi 3/4 delle etichette non le riporti è un discorso diverso…

        • Credo che Alexander faccia riferimento a quelle situazioni in cui tali classificazioni diventano anche i nomi delle birre

          • esattamente….è come quando sulle schede tecniche trovi scritto birra in stile ” rossa doppio malto”…ma siamo fuori? non riesco mai a capire quanto sia dovuto per far capire anche alle anime più semplici cosa si stanno bevendo ( anche se è fuorviante perchè rossa doppio malto potresti andare da una dubbel a una strong bitter a una scotch ale) o quanto perchè ci sia ignoranza di fondo sugli stili, e ammetto che questo mi condiziona un bel po nel giudizio a punto che quasi mai le provo a priori.

  2. Mi permetto di fare una considerazione, nulla di nuovo per carità, pero’… non me ne voglia il titolare del marchio, il mio è un discorso generale, ma non confondiamo chi fa birra e chi la fa’ fare. Fare birra per se stessi o per altri significa essere artigiani, un beerfirm studia -più o meno- una ricetta, che in molti casi viene corretta dall’artigiano secondo le esigenze, la invia o, in pochi casi, segue le fasi di produzione e va a ritirare un prodotto che poi ri-marchia con la propria ‘insegna’.
    Un birrificio prevede un discorso aziendale, un investimento importante, un lavoro quotidiano e grandi sacrifici.
    Un pò di rispetto in più per i birrai, un filo di attenzione in meno -ma senza che me ne vogliano- per i ‘ricettai’

    • In un paese in cui si ragiona per fazioni, mi mancava quella birrai vs ricettai. Che bello.

      (è una considerazione che comunque non si riferisce solo al tuo commento)

      • Non è questione di fazioni, e non era nemmeno una polemica nei confronti di chi si fa fare birra da contoterzisti come ho specificato; solo penso che un maggior ‘distinguo’ tra birrifici e beefirm – e so bene essere una considerazione ne’ particolarmente nuova ne’ originale- vada fatta, se non altro per il concetto stesso di ‘fare la birra’.
        L’uno è un produttore, l’altro commercializza un prodotto. Tant’è che sull’etichetta delle bottiglie di un beerfirm si legge ‘prodotto da x per y’.
        Se poi ho dato l’idea di voler polemizzare mi scuso, mi sembra solo importante mantenere un’idea chiara e distinta delle due realtà, che sempre più vengono -a mio modo di vedere- erroneamente equiparate.

        • Io non farei di tutta un’erba un fascio, ne in un caso ne nell’altro. Ci sono birrifici che si affidano completamente al birraio (che magari non è un socio o comunque che ci mette la faccia) e birrifici in cui azienda e birraio sono la stessa cosa, dall’altra parte ci sono beer firm che commissionano e basta e beer firm dove i soci sono la mente (e in parte il braccio) della produzione (anche se avviene da altri).
          Dire che le beer firm sono commercianti mi sembra parziale, come dire che chi ha un birrificio è un mastro birraio.
          Inoltre considerare un beer firm un semplice commerciale comporta che anche se la birra fa schifo (e non solo se è buona) poi te la devi prendere con il birrificio appaltatore… quindi spesso con gente tipo brewfist, birrone, amarcord, retorto, amiata, ecc. Invece è l’azienda che ci mette la faccia che si prende tutti le critiche, quindi dovrebbe prendersi anche gli elogi.

        • Se uno fa la birra buona, che ce frega ‘ndo la fa?! Poi che principio è che se non rischi, non soffri, non ce metti i soldi, ecc non sei da stimare??
          Inoltre io faccio la birra a casa pe me e pe gli altri, so artigiano?? o so uno che se diverte?! Forse essere artigiano è altro, altro anche rispetto a mette su na azienda con quattro silos de acciaio…anche se costano…

        • Io non vedo necessità di fare questa differenza, oltre il fatto di riportare se un birrificio è tale o è una beer firm.
          C’è gente dietro una beer firm che si sporca le mani sugli impianti, che la birra la fa realmente e non si limita a mandare una ricetta al birrificio o a commissionare una cotta. Io non vedo dove sia la differenza tra questo “produttore” e un birraio, a parte la disponibilità dell’impianto. Magari ci sono birrai bravi, che meriterebbero visibilità, ma che non possono permettersi un impianto. Secondo il tuo ragionamento invece di essere incensati andrebbero etichettati come “ricettai”.

          Oppure bisognerebbe fare distinguo più precisi? Allora distinguiamo i birrifici con impianto dalle beer firm. Poi tra le beer firm distinguiamo quelle che fanno effettivamente la birra da quelle che non entrano in birrificio. Poi tra queste ultime distinguiamo quelle che commissionano semplicemente la cotta da quelle che progettano la ricetta. E tra i birrifici? Beh distinguiamo quelli in cui il fondatore fa ancora la birra da quelli in cui si è trasformato in front man. Oppure ancora tra quelli in cui il front man è anche birraio e segue qualche cotta al mese.

          Io di queste polemiche (e la tua aveva tutta l’aria di esserlo) mi sono stufato. Secondo me bisognerebbe solo pensare a valorizzare la birra buona e stop. Invece si cerca sempre di dividere tutto in pezzetti sempre più piccoli. I birrifici oltre i 10.000 hl annui mica sono come quelli che ne producono 5.000, ma vuoi mettere con quelli che ne producono 1.000? Vuoi mettere i problemi di un birrificio rispetto a una beer firm? Vuoi mettere i birrifici col birraio in sala cotte rispetto a quelli col birraio in giro per il mondo. Ma basta, ma pensate che tutto ciò faccia bene al movimento?

          Non capisco questa necessità emergente di “dare il giusto valore” al birrificio che produce per una beer firm, come se quest’ultima gli stia rubando qualcosa. Ma non ho capito, la beer firm arriva puntando la pistola alla tempia del birrificio? Oppure c’è un accordo a monte? Veramente ho difficoltà a capire…

          • la rosicata sta tutta in quei birrifici che non fanno conto terzi, di sicuro non da chi lo fa

            poi nel tuo elenco ti sei dimenticato dei birrifici che quando hanno la cantina piena si fanno fare la cotta da chi fa conto terzi…

            quello che uno deve chiedere e solo la massima trasparenza: esplicitare che sei una beer firm, non abusare del termine birrificio se non lo sei (questa cosa dovrebbe essere fissata per legge) ed esplicitare presso chi produci, come in ogni prodotto alimentare (nomi, non codici accisa incomprensibili)

            fatto questo, fai buona birra e amen

            poi, chiunque ha messo le mani anche solo su una pentola sa che il controllo che uno ha sul proprio impianto e sul proprio processo non può essere quello di chi fa in impianti terzi, ognuno decide per sé, è ovvio che per una beer firm la lavoro sul lato commerciale e di marketing sarà ancora più intenso

          • Di base sono fortemente contrario e contrariato a chi cavalcando l’onda si fa realizzare una birra interessato solo a distribuirla e lucrarci sopra senza aver minima cognizione di cosa sta commercializzando.
            Ma concordo con Andrea perchè tutti i vari ragionamenti e distinguo cadono di fronte ad un “valorizzare la birra buona e stop” , si può parlare quanto si vuole ma una volta che è buona (veramente buona e di qualità) se poi l’hanno pensata, je venuta bene o quale altro caso destino ha voluto che fosse cosi buona lasciano il tempo che trovano!
            Cin cin.

          • Io sono d’accordissimo con andrea….basta con questa faida, se la birra è buona è buona ed è l’unica cosa che conta. certo pure a me lasciano perplesse un po quelle beerfirm che praticamente si fanno materialmente addirittura fare la birra per conto terzi, ma ci sono anche beerfirm serie che si appoggiano solo sull’impiantistica ma la birra la fanno loro al 100 % ( al massimo si fanno aiutare) e che con molta trasparenza scrivono proprio sull’etichetta dove l’hanno fatta ( tipo stavio).

          • d’accordo con Andrea e quoto molto Yor.
            nascono come funghi anche e purtroppo “progetti” di firm vuoti, senza alcuna cognizione produttiva dietro e alcuna passione ma che cavalcano il momento…probabilmente sbaglio ma mi piace pensare che a stretto giro sarà la selezione naturale ad occuparsi di questi “rami insani” del movimento…

          • comunque in un pub romano ieri sera ho appreso che secondo loro la affligem è una birra trappista….beata ignoranza!!!! e si che avevano anche la trappiste in bottiglia 🙂

          • Mi sono trovato oggi una bottiglia di Jake nei frighi del Macche (grazie a chi l’ha portata), buona, ma il tocco di Marcello di Retorto lo senti…così come nelle birre Padus che provai al Birroforum…Questo per me, soggettivamente, conta molto.
            Personalmente sono legato alla “personalità” del birraio che brassa, come scritto altre volte, al riconoscere chi sta dietro un lavoro. Non è solo una questione di beerfirm, perchè ad esempio nelle birre di Stavio c’è dietro un’idea e una mano assolutamente riconducibili ai protagonisti…

            Non so, non ho un gran feeling con le beerfirm, ma come scritto da Andrea, sono molteplici le sfaccettature per rimanere su una posizione ferma. A me piace l’idea e la personalità, cosa che manca nell’80% delle birre italiane al momento (sono stato buono?)…In questo quoto in pieno enferdore, aggiungendo anche lì che non è un problema di beerfirm “vuoti” dediti alla moda del momento, sono tanti i birrifici nuovi che fanno seriamente schifoarcà…Ma tanto, tanto, tanto…Che sono peggio di una beerfirm o di tanti progetti ad minchiam.

            Comunque grazie per la spiegazione di “Bella Zi”, non essendo più giovine non l’avevo capita…Ho passato un’oretta bona a cercare di capire chi fosse sto signor Bellazzi. Come detto, birra buona.

          • Io invece è mezz’ora che cerco inutlimente su Google ‘sto Birrificio Schifoarcà 🙂

          • Colonna io non so riconoscere la mano di Marcello così bene come tu dici, ma sicuramente a da imputare ai miei sensi più che ai tuoi. La birra di retorto mi piace molto (anche se recentemente alcuni cavalli di battaglia li ho trovati un po’ “stanchini”) e mi piacerebbe fare il parallelo con Bellazzi, mi daresti qualche indicazione?
            Ad ogni modo la ricetta della Jake (ne parlavo ieri in un beer shop) mi sembra non centrare molto con le altre birre di Retorto. Malto base diverso (Marcello usa il pilsner come suo “padre” Bruno Carili…), altri malti diversi e luppoli diversi quindi quantomeno e spinto fuori dai sui normali percorsi da gente che li conosceva (magari di più).

          • Ciao io ho assaggiato entrambe le birre di Bellazzi ad un evento a Verona (luppoli&dintorni), a me sembra molto diversa dalla birre di Retorto tanto che credo che andassero da Brewfist a farsela fare. Invece in altre riconosco più facilmente l’opera del birrificio produttore (tipo per quelli che fanno la birra da Il birrone). Quindi ho è bravo il birraio di retorto a non farsi “riconoscere” o quelli di Bellazzi ci hanno messo del loro. La Alley Hop secondo me è stata la birra più interessante dell’evento di Verona.

            Anche io concordo che recentemente ci siano molti birrifici che anche se si comprano l’impianto… non lo sanno usare, per così dire.

          • Quello del Birrone è un bell’esempio Annarella, visto che fa birre di bassa e se non sbaglio i ragazzi di Lucky Brews fanno birre da lui…Ad alta…Là riconoscere la mano del produttore è un pò ardua secondo questo criterio, poi magari stai parlando di altro…

          • …se si parla di lucky brew… io da un po’ non trovo una loro birra a posto (soprattutto la jappa) , sempre con problemi diversi (acido, isovalerianico, T2N, luce…). Quindi non capisco quale sia la mano che trovi del Birrone visto che loro fanno birre ben fatte.
            Comunque mi riferivo per lo più alle birre fatte per The Drunken Duck, io la vedo la mano del birrificio lì…

          • @annarella: ho capito male io, pensavo ti riferissi alle birre di Lucky Brew quendo scrivevi di riconoscere la mano del birraio del Birrone, ti sei risposta/o da sola e condividiamo lo stesso pensiero…Per le birre fatte per il Drunken non so, purtroppo non sono mai andato là (mea culpa che DEVO rimediare), ma lì penso che ci sia veramente e solo la mano del birraio e che siano birre dedicate…Sbaglio?

  3. Non capisco come l’impegno economico si possa legare alla bontà o qualità di una birra? Ho sempre creduto che il prodotto sia il centro della questione.
    Non tutte le beer firm commissionano la birra e basta alcune (e tra queste anche dei nomi internazionali) ci mettono molto più del semplice marchio. In alcuni birrifici artigianali poi il birraio non è quello che ci mette i capitali, ma un dipendente… come ci si comporta in questo caso… mi verrebbe da stimare più lui che l’imprenditore o mi sbaglio?
    Collaborazioni internazionali poi sono basate su l’idea della birra poco importa poi chi la fa, ma conta l’idea e il risultato.
    Io sono per la birra non per giudizi generalisti basati su principi fondati su una “morale” discutibile.

    • Ti rispondo qua anche in merito a sopra, riguardo Bellazzi.
      Quello che dici non è sbagliato, infatti è difficile avere un’opinione ferma sulle beerfirm a causa delle troppe variabili…E non sbagli a stimare più il birraio che l’imprenditore, visto che ci sono esempi di “cambi di manico” che hanno portato o tolto benefici gustativi alle aziende in questione. La mano conta.

      De la Senne ad esempio, quando faceva birra da De Ranke, seguiva personalmente la cotta, cosa che non si è ripetuta nel periodo De Proef…Il cambio si è sentito, e personalmente le birre loro, in quel periodo, persero di “personalità”, erano buone…perfettine, nulla più, avevano perso quella marcia in più. Personalmente preferivo le Mikkeller fatte da Gourmetbryggeriet da Murphy, piuttosto che quella fatte sempre da De Proef…E come ultimo esempio ti porto quello di Contreras, la cui Valerie Extra brassata da De Proef (che tanto per chi non lo sapesse chiude le porte a qualsiasi intervento esterno del commissionante) era eccellente…Fatta sul loro impianto, con le loro manine, era una cagata pazzesca. E ora come la mettiamo???

      Marcello ha fatto la Bellazzi, e si sente, come le Padus…La ricetta può essere di Pippo e Mario Santonastaso o di Vinnie Cilurzo, è un altro conto. La birra è molto buona, anche meglio delle ultime birre di Retorto, ma non so chi c’è dietro.
      Padre Marcio ha fatto le Stavio, su altri impianti, e si sente…La ricetta è sua, la mano è sua e di collaboratori da lui scelti. Lui ha esperienza, lui lo conosco, lui sa fare (bene o male, soggettivamente) la birra e ha un’idea che mi trasmette in pieno.
      E da addetto ai lavori non posso trascurare queste cose, per quello nel mio locale sto molto attento alle beerfirm da fare entrare, buone o meno per me è un aspetto secondario. Da appassionato preferisco provare i lavori degli homebrewers a tante beerfirm, li trovo a volte molto, ma molto più onesti.

      • Colonna wrote:
        “…..preferisco provare i lavori degli homebrewers a tante beerfirm, li trovo a volte molto, ma molto più onesti.”

        😉

    • magari si sta aprendo una controtendenza….io onestamente adoro gli stili ultraluppolati ma mi sto rendendo conto che vai a un festival e trovare una belgian che non sia una saison sta diventano quasi un’impresa….un plauso a chi va controcorrente 🙂

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