Una delle notizie più interessanti della scorsa settimana (ringrazio Luca per la segnalazione del post su Beernews) riguarda i risultati di crescita di uno dei birrifici europei più in voga al momento. Neanche a dirlo, sto parlando della scozzese Brewdog, che nel primo quadrimestre del 2010 ha registrato un incredibile +250% nel volume delle vendite. Dato impressionante, tanto più se consideriamo che nello stesso lasso di tempo il settore birrario ha mostrato una contrazione nelle vendite pari al 5,1%. Attualmente Brewdog produce oltre 400.000 bottiglie al mese ed esporta in 17 differenti nazioni.
I precedenti risultati appaiono molto interessanti, perché dimostrano una crescita continua del birrificio scozzese a dispetto delle recenti critiche. Ultimamente l’originalità dei due fondatori, James Watt e Martin Dickie, sembrava essersi raffreddata e anche la comunicazione dell’azienda – da sempre uno dei suoi punti di forza – pareva concentrarsi su temi ripetitivi e poco stimolanti. Un esempio su tutti: la sfida alla birra più alcolica del mondo ingaggiata con i tedeschi della Schorschbräu. Anche la descrizione delle nuove produzioni in cantiere, rientranti nella linea Abstrakt, sono apparse poco intriganti agli appassionati più smaliziati.
Sembrava che per la Brewdog si fosse dunque aperto un periodo di stanca, invece ecco arrivare all’attenzione della comunità birraria dei dati produttivi assolutamente eccellenti. Chi aveva pensato a un momento di difficoltà per il birrificio scozzese (e non posso negare che tra loro c’era anche il sottoscritto), dovrà necessariamente ricredersi.
James Watt ha così commentato i dati precedentemente riportati:
Brewdog sta rivitalizzando il settore birrario del Regno Unito e segnando una nuova strada, capace di dimostrare il suo successo nonostante la crisi economica e un mercato in contrazione. Abbiamo lanciato il marchio Brewdog come una reazione contro quelle birre blande, anonime e banali che si sono diffuse in anni recenti; la nostra continua crescita conferma che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.
Ora è interessante capire da cosa deriva questo ennesimo successo. Potrebbe essere la dimostrazione che le ultime trovate del produttore scozzese hanno avuto un grande ritorno pubblicitario: anche se non sono piaciute a un’ampia fetta di appassionati, dal punto di vista di puro marketing sarebbero assolutamente ineccepibili. Oppure si potrebbe trattare della conseguenza di una crescente popolarità, derivante non tanto dalle notizie più fragorose, quanto dalla costanza produttiva e da una gamma di birre di buon livello qualitativo.
La cosa sicura è che Brewdog continua a sfornare dati di crescita incredibili, che testimoniano come un piccolo produttore sia diventato il più grande birrificio indipendente di Scozia in soli tre anni. Che piaccia o meno, è un caso unico nel mondo brassicolo europeo, che ad ogni occasione obbliga a un ripensamento sulle potenzialità commerciali della birra artigianale.
Forse in quanto “birrificio artigianale” in tanti lo avevano messo nel calderone dei produttori “piccoli, particolari e cari”. Quelli che speravano che la passione e la poesia fossero sufficienti a garantire una crescita costante, o quanto meno il galleggiamento ( per loro così come per tutti gli altri birrifici artigianali ).
Forse la differenza è stata proprio nella impostazione di fondo. Un piano economico che ha funzionato bene ( per capacità o per fortuna, non lo so ), birre a quanto pare discutibili, ma nel complesso ben realizzate e decenti ( almeno quelle principali e più famose ) e poi, senza dubbio, quello per cui si sono fatti più notare : una gran comunicazione.
Chiamiamolo marketing, chiamiamolo fare i pagliacci, è uguale.
Resta il fatto che chi vuol bere non è mai obbligato a comprare questo o quello, eppure la loro birra artigianale è buona ( termine generico ), vendono 400’000 bottiglie al mese e arrivano nei supermercati (anglosassoni) a poco più di UNA sterlina a bottiglia.
Non sto a sezionare la loro realtà commerciale come un chirurgo per capire a cosa è dovuto il loro successo in percentuali ( non ne sono in grado ), comunque secondo me ci hanno visto giusto 😉
@Luca
Sì ci hanno visto giusto, poco da dire.
Per spezzare una lancia in loro favore, spesso si dice che fanno “i pagliacci”. E’ vero, ci sono lì caterve di post e video a dimostrarlo. Eppure la loro comunicazione non è solo quella. Sono stato l’unico birrificio europeo a puntare forte sulla dicotomia artigianale vs industriale e a farne addirittura il loro cavallo di battaglia. Hanno avuto il coraggio di porsi contro corrente, si sono rivolti a un segmento di consumatori giovanissimo, che il movimento anglosassone stava perdendo (e forse non ha mai cercato realmente). E poi hanno il fiuto per il marketing. Tanto di cappello, anche se a me le ultime trovate hanno lasciato piuttosto indifferente.
Quoto. Marketing, tanto marketing. Le multinazionali lo sanno da anni.
Si, concordo sul fatto che abbiamo messo tantissimo impegno nello “scendere in campo”. Infatti pur avendo assaggiato solo poche delle loro birre personalmente mi stanno simpatici ( anche se da noi il prezzo al dettaglio lievita parecchio ).
Mi riferivo alle loro scenette varie ed eventuali come “pagliacciate” solo perchè sono state spesso definite tali, secondo me non stanno poi “perculando” più di tanto il consumatore.
In quanto alle ultime birre, non le ho assaggiate, ma secondo me certe linee di prodotto potrebbero essere parificate a certi modelli delle case automobilistiche: ogni tanto sviluppano il super modello avanzatissimo e costosissimo ( e ne vendono poche decine), ma poi a far quadrare i conti sono i modelli “base” che fanno i grandi numeri, a volte tirati proprio dalla pubblicità creata dai super modelli.
Però quelle vette di eccentricità ci vogliono per far comunque percepire che l’azienda è viva, se non addirittura come puro esercizio stilistico.
Tutto imho e ad intuito, eh.
hanno vinto perchè sono entrati nello spirito dinamico che la contraddistingue nei giorni nostri,anche tante realtà italiane puntano sul marketing,ma non hanno i loro stessi risultati,il loro punk approach,estremo e frizzante,li fa sempre stare nelle bocca di tutti,in italia c’è stata una situazione un attimino più “elitaria”con target molto differenti,non una mossa straordinariamente vincente oserei dire,però adesso nelle situazioni birraie c’è molta più fica questo si :-p,secondo me l’appassionato birraiolo non deve disprezzare queste strategie,ne magari elogiarle,penso che la cosa più opportuna sia rimanerne indifferenti,parleremo una volta assaggiata,ho assaggiato più di una produzione della minimalissima De Molen che non mi ha fatto gridare al miracolo ad esempio,come viceversa.
il marketing è sempre il marketing. però ne preferisco uno più ruffiano e cazzone ma “identitario” come quello di BrewDog che quello da artista melodrammatico come Baladin o Ducato.
> Infatti pur avendo assaggiato solo poche delle loro birre personalmente mi stanno >simpatici ( anche se da noi il prezzo al dettaglio lievita parecchio ).
nell’ultimo anno l’importatore italiano ha calato un pochino i prezzi , le loro birre base si riescono a vendere tranquillamente tra i 3,50/3,70 €
Secondo me è un successo meritato, il marketing lo sanno fare e danno l’impressione di divertirsi pure. Preferisco di gran lunga il loro stile a quello di tanta gente nel panorama italiano che si danno un sacco di arie e fanno della polemica la loro principale attività.
Fra l’altro ieri sulla televisione tedesca hanno pure fatto un reportage sulla “guerra” fra Brewdog er Schorschbräu, anche se con un bel pò di ritardo. Nel blind tasting non è però stato apprezzato il sapore di nessuna delle due 😉