Negli ultimi mesi sembra emergere, tra le nuove uscite dei birrifici italiani, una comune inclinazione a riscoprire ingredienti e tecniche dal forte valore identitario o culturale, spesso reinterpretati in chiave personale. Che si tratti di sperimentazioni di antichi stili mitteleuropei, di incursioni nella cucina locale o di originali rivisitazioni di ricette storiche britanniche, il denominatore comune è la volontà di legare la birra a un contesto più ampio di racconto e appartenenza. Una tendenza che, come dimostra la panoramica di oggi sulle nuove birre italiane, conferma quanto il panorama brassicolo nazionale sia sempre più capace di coniugare ricerca, radici e creatività.
Busa dei Briganti + Kinnegar
Le collaborazioni internazionali possono rappresentare un’ottima occasione per investigare stili inconsueti, magari legati a specifiche culture brassicole. È probabilmente con questo spirito che Busa dei Briganti (sito web) si è avvicinato alla realizzazione della nuova birra prodotta insieme al celebre birrificio irlandese Kinnegar (sito web). La I’ve Had Worse (from a bottle) (5%) è infatti una Oyster Stout, variante sul tema delle scure britanniche in cui le ostriche svolgono il ruolo dell’ingrediente aggiuntivo che non ti aspetti. In questo caso la ricetta è reinterpretata in chiave italica: le ostriche provengono direttamente dal delta del Po (località Scardovari) e sono state integrate da altri molluschi (fasolari, vongole e lupini), per una sottile vena iodata che ben si raccorda ai richiami di caramello e pane d’orzo della base maltata. Il corpo è morbido setoso, anche grazie al contributo dei gusci dei molluschi aggiunti in bollitura.
Siemàn
A febbraio raccontammo della scelta di Siemàn (sito web), produttore da sempre legato al mondo sour, di lanciare una nuova linea di birre “pulite”. Alle tre produzioni di debutto recentemente se ne sono aggiunte altre tre: Eddie Valiant, Kneipe e Sir Pilade. Eddie Valiant (6,2%) è un’American IPA prodotta con lievito inglese e luppolata generosamente con un doppio dry hopping. Al naso prevalgono intense note agrumate e di frutta gialla, mentre in bocca la leggera base maltata e l’amaro finale equilibrano il sorso. La Kneipe (5%) è invece una Keller Pils rustica, prodotta con lievito di origine bavarese e luppolata delicatamente con varietà nobili tedesche. La base maltata, con morbide note di cereale, sostiene l’amaro finale e l’aroma di fieno, assieme ai leggeri esteri del lievito. La Sir Pilade (4%), infine, è una Pale Ale di stampo britannico, prodotta con lievito inglese, malto Maris Otter e luppolata con varietà europee e americane (anche in leggero dry hopping). Le leggere note biscottate dei malti supportano la secchezza e l’agilità di bevuta, per una vera session beer che chiude con un piacevole amaro. Il tutto accompagnato da eleganti note erbacee e leggermente fruttate dei luppoli.
Birrone
Un paio di anni fa sembrava che la decozione stesse per assumere la dimensione di una vera e propria moda tra i birrifici italiani. Poi l’interesse si è sgonfiato presto, verosimilmente anche a causa degli svantaggi che porta questo tipo di ammostamento. C’è però chi sta continuando a mostrare fedeltà alla decozione, come conferma l’ultima novità del birrificio Birrone (sito web). La nuovissima Baviera Ceca (7%) è infatti una Weizenbock – quindi una versione più alcolica delle classiche birre di frumento tedesche – chiara e dalla buona struttura, con un aroma pieno e rotondo. Il nome sugella l’incontro tra Baviera e Repubblica Ceca non solo nel ricorso alla decozione, ma anche all’amaro inaspettato con cui chiude la birra, che, ricordando la luppolatura delle Pils, rende la bevuta agevole ed equilibrata.
Legnone + Menaresta
I pizzoccheri della Valtellina sono una pasta di grano saraceno, alla base della tradizione gastronomica povera e contadina della zona. Cosa c’entrano con la birra? Ebbene sono proprio loro l’ingrediente speciale della Pizzoccherauch (5,5%), birra affumicata nata di recente dalla partnership tra i birrifici lombardi Legnone (sito web) e Menaresta (sito web). La ricetta prevede l’impiego di una percentuale di malto Rauch e di grano saraceno, oltre a una manciata di pizzoccheri della Valtellina. Di colore dorato carico e schiuma bianca compatta, al naso è dominata dal sentore affumicato, che tuttavia lascia spazio a note di miele, ciliegia e un sottile erbaceo. La bevuta è ricca ma non stanca, l’entrata dolce e mielosa scivola su una nota sapida che lascia la bocca pulita e pronta ad un altro sorso. La birra è stata presentata la scorsa settimana presso la tap room di Menaresta.
Birrificio dei Castelli
Una decina di giorni fa il marchigiano Birrificio dei Castelli (sito web) ha annunciato una linea inedita di birre “didattiche”, battezzata Schola Project. L’obiettivo è sperimentare il ricorso a nuovi luppoli e a diverse tecniche di luppolatura, mantenendo però una coerenza generale di prodotto finito. La primogenita della gamma è la Schola Project – Modern IPA (5,8%), una luppolata in chiave contemporanea con protagonista il luppolo BRU-1, che conferisce intensi aromi di ananas e frutta tropicale. La corsa è scorrevole e il corpo leggermente felpato, grazie anche all’impiego di fiocchi d’avena.
Malacoda
Chiudiamo con una novità annunciata di recente dal birrificio Malacoda (pagina Instagram), che ci proietta direttamente alle calde giornate estive (o tardo primaverili). La Colada (4,5%) è infatti un’American Pale Ale in stile hazy, aromatizzata con una generosa quantità di purea di cocco e ananas, aggiunta durante la fermentazione. Il risultato è una luppolata dal corpo morbido ma scorrevole, con un ottimo bilanciamento tra la dolcezza tropicale della frutta e l’amaro fresco del luppolo. La carbonazione è fine, ma sufficientemente incisiva per alleggerire il sorso e rendere la Colada estremamente bevibile.