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Un filone da (ri)scoprire: i blend tra alte fermentazioni e Lambic tradizionali

Mercoledì scorso si è tenuta la prima lezione del nostro Master online sulle birre acide e selvagge, un’iniziativa giunta alla sua terza edizione e capace ogni volta di suscitare grande interesse. Il primo appuntamento, condotto da Francesco Antonelli, è una sorta di introduzione a queste specialità, con approfondimenti sui microrganismi che le caratterizzano e sulle relative tecniche produttive. Tra le birre in assaggio abbiamo inserito la Saison De La Senne, selezionata perché ci serviva un prodotto in cui fosse nettamente distinguibile la componente brettata. L’obiettivo è restituire il senso di una birra wild in assenza di acidità, motivo per cui solitamente propendiamo per la Orval. La trappista questa volta non era disponibile e allora abbiamo optato per la chicca di De La Senne. La loro Saison non è priva di acidità, ma è ben focalizzata sulla resa dei Brettanomyces. È inoltre una birra molto particolare, perché nasce dal blend tra una Saison e un Lambic tradizionale. Una peculiarità produttiva non convenzionale, ma non un caso unico nel panorama brassicolo. Vediamo alcuni esempi.

Saison De La Senne (Lambic Cantillon)

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La Saison De La Senne (6%) è uno dei tanti gioielli del quotato birrificio belga. È realizzata miscelando la base di una Saison con un Lambic proveniente nientemeno che da Cantillon, quindi riposa circa nove mesi in botti di rovere. Per la ricetta il birraio Yvan De Baets si è lasciato ispirare delle antiche Saison del XIX secolo, ben lontane dalla moderna concezione dello stile incarnata oggi dalla paradigmatica Saison Dupont. Storicamente le Saison erano infatti le birre delle fattorie, prodotte con metodi rudimentali e con gli ingredienti disponibili in loco (spezie e cereali vari) e presumibilmente caratterizzate dalla contaminazione di lieviti selvaggi e batteri. L’idea di miscelare una Saison con un Lambic e di prevedere un passaggio in legno nasce proprio dalla volontà di ricreare quel particolare profilo organolettico. Inoltre, sempre per strizzare l’occhio alla tradizione, la base fermentescibile della Saison De La Senne è costituita da farro e segale maltati in aggiunta al normale malto d’orzo.

La Saison De La Senne è a mio avviso una produzione eccezionale, che gioca sul perfetto equilibrio tra le sue due anime. Curiosamente non è tra le birre più celebrate del birrificio belga – nonostante se lo meriterebbe ampiamente – e ho avuto occasione di assaggiarla la prima volta lo scorso novembre presso la nuova sede produttiva di De La Senne, durante uno dei tour organizzati in occasione del Brussels Beer Challenge. Come accennato è una birra con una sua acidità, ma non molto evidente (Francesco ne ha misurato il pH durante la lezione e è saltato fuori un 3.64), che permette di concentrarsi sull’intrigante bouquet in cui convivono gli elementi aromatici della Saison (esteri e soprattutto fenoli) con quelli dei Brettanomyces del Lambic (sella di cavallo, cantina, persino ananas).

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Tuverbol (Lambic 3 Fonteinen)

Come molte birre belghe, anche la Tuverbol nasconde una storia affascinante, riassunta in maniera perfetta da quel prezioso compendio birrario (ahimè non più attivo) rappresentato da Una birra al giorno. La Tuverbol (10,5%) è un blend tra la Loterbol Blond del birrificio Loterbol e del Lambic giovane di 3 Fonteinen: se il secondo nome non dovrebbe suonarvi nuovo, il primo probabilmente vi risulterà sconosciuto. Loterbol è un produttore di Diest, cittadina a 60 km a est di Bruxelles, attivo all’interno del Cafè Loterbol già all’inizio del XVIII secolo. Dopo aver chiuso i battenti nel 1969, il birrificio fu rilevato da Marc Beirens nel 1992, che ristrutturò una porzione dell’edificio e, tre anni più tardi, tornò a produrre birra. Oltre alla Loterbol Blond, l’azienda oggi realizza anche la Loterbol Bruin (reinterpretazione delle vecchie “scure” per cui era famoso il birrificio nel XIX secolo) e alcune stagionali.

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La Tuverbol nacque nel 2005 grazie alla collaborazione col mitico Armand Debelder di 3 Fonteinen. Secondo alcuni la birra fu il suggello dell’amicizia tra i due birrai, secondi altri una soluzione ingegnosa per dare una seconda vita ad alcuni lotti di Loverbol Blond rimasti invenduti. Le prime 2000 bottiglie di Tuverbol ebbero un grande successo, nonostante fossero disponibili solo presso due locali Belgi (Kulminator e De Heeren van Liedekercke) e negli Stati Uniti. Così due anni dopo, quando la birra fu riproposta, il numero di bottiglie aumentò considerevolmente. Non fu però la classica mossa commerciale, tanto che un nuovo lotto di Tuverbol fu disponibile solo nel 2012 e poi di nuovo nel 2017. Da quell’anno invece la produzione è continuata in maniera costante. Anche la Tuverbol gioca sull’equilibrio tra le varie componenti: l’acidità lattica è molto gentile, mentre il profilo aromatico è dominato tanto dalle componenti della birra base (che può essere considerata una sorta di Tripel) e quelle “selvatiche” del Lambic.

Reuss (Lambic Boon e altri)

Sicuramente più famoso di Loterbol è il birrificio Kerkom, celebre soprattutto per la sua Bink Blond – e la Winterkoninkske Grand Cru, ma quella è un’altra storia. Proprio una versione speciale della Bink Blond è alla base della Reuss (6,5%), splendida creazione brassata miscelando l’ammiraglia della casa con un Lambic tradizionale. In passato il birraio Marc Limet si è affidato a Boon per ottenere la fermentazione spontanea del blend, ma a quanto pare cambia fornitore in base alla situazione. In ogni caso la frazione di Lambic è sempre molto contenuta (intorno al 20%) e questo permette alla Reuss di non perdere le caratteristiche della Bink, riuscendo ad arricchirla di tutto il compendio aromatico tipico dei Brettanomyces e aggiungendo un’elegante acidità. La Bink Blond usata per la Reuss è meno amara di quella standard (38 IBU contro 52 IBU) per evitare di creare sgradevoli contrasti con la parte acida. Il nome Reuss si riferisce alla primissima birra realizzata da Kerkom nel 1878, quando le contaminazioni di lieviti selvaggi e batteri erano molto più comuni che ai giorni nostri.

Rullquin (Lambic Tilquin)

Come il nome suggerisce, la Rullquin (7%) è un blend tra la Rulles Brune e del Lambic proveniente dalla Gueuzerie Tilquin, nel rapporto 7:1. In genere Tilquin riceve la Brune di Rulles in estate, effettua la miscelazione e lascia la birra a fermentare in botte per circa 8 mesi, quindi imbottiglia a marzo e poi aspetta altri 6 mesi di maturazione in bottiglia per rilasciare finalmente la Rullquin a settembre. Il primo lotto fu prodotto nella stagione 2012-2013, ma il risultato convinse i due birrifici a utilizzare successivamente una versione riveduta della Brune tale da aumentare leggermente la resa della note tostata. Nella stagione 2015-2016 alcuni fusti di Rullquin vennero affiancati al classico confezionamento in bottiglie da 75 cl. Originariamente la birra fu battezzata Stout Rullquin: il nome fu abbreviato a partire dal 2019 per non alimentare false aspettative rispetto al termine “Stout”.

Della Rullquin esistono due versioni speciali. La (Stout Rullquin)² è stata creata per risolvere i problemi di sovracarbonazione del primissimo lotto, emersi intorno al 2016: 1000 bottiglie furono svuotate e il loro contenuto finì in due botti ex vino, così da subire un ulteriore affinamento e ridurre la frizzantezza. Nella stagione 2018-2019 invece fu lanciata la Mûre Rullquin, realizzata con l’aggiunta di more (260 g/L).

E in Italia?

Curiosamente nella breve storia della birra artigianale italiana ci sono stati alcuni esempi di blend con Lambic tradizionali del Belgio, forse proprio per la vicinanza tra il nostro mondo e quello delle fermentazioni spontanee del Pajottenland. L’esempio più recente risale al 2019, quando la cantina brassicola Ca’ del Brado annunciò la sua Oude Luiaard (7,1%), realizzata in collaborazione con Oud Beersel. La ricetta prevedeva la miscelazione della Invernomuto (Farmhouse Ale del marchio emiliano) con un Lambic di 18 mesi del produttore “salvato” da Gert Christiaensen nel 2002. In futuro probabilmente non sarà replicata, ma è ancora regolarmente disponibile. All’epoca ebbi la fortuna di assaggiarla e la descrissi così:

Birra acida in cui la freschezza pungete e selvaggia della Farmohouse Ale di Ca’ del Brado accompagna le note profonde del Lambic di Oud Beersel, generando suggestioni fruttate, di cereali e di cantina. Nonostante sia un prodotto “estremo”, è anche molto elegante e bilanciato, caratteristica che accomuna entrambi i produttori. L’acidità è spiccata ma fine e il profilo rustico fa da trama per sfumature lignee e spunti funky, con il prezioso contributo della nobile luppolatura. Se siete amanti del genere è una birra da non farsi scappare.

Per trovare altri esempi del genere occorre tornare indietro negli anni e affidarsi a due storici birrifici italiani, curiosamente entrambi finiti sotto il controllo delle multinazionali del settore: Birra del Borgo e Birrificio del Ducato. Il produttore reatino nel 2008 lanciò la sua Duchessic, che sugellò una prestigiosa partnership con il birrificio Cantillon. Leonardo Di Vincenzo miscelò l’80% della sua Duchessa (una birra al farro) con un 20% di un Lambic invecchiato un anno di Jean Van Roy, ottenendo un prodotto capace di fondere l’acidità e la ruvidezza della fermentazione spontanea con le note e gentili della Duchessa. La Duchessic rimase nella gamma di Birra del Borgo diversi anni, diventando addirittura una stagionale della linea Bizzarre.

Un anno dopo la Duchessic il Birrificio del Ducato lanciò la sua Beersel Morning (6,2%), un blend tra la New Morning e il Lambic di 3 Fonteinen. Il birraio Giovanni Campari andò direttamente a Beersel per selezionare con Armand Debelder tre botti di Lambic invecchiato 18 mesi, il cui contenuto fu pompato in una piccola cisterna del furgone di Giovanni. Negli anni la Beersel Morning è riuscita a imporsi non solo all’attenzione degli appassionati, ma ha anche ottenuto riconoscimenti in importanti concorsi a tema come Birra dell’anno e European Beer Star. Oggi la birra è ancora regolarmente prodotta, ma al posto di Lambic di 3 Fonteinen utilizza quello di Oud Beersel.

In tempi più recenti invece fece la sua fugace comparsa Le Trait d’Union, blend che fu ideato da Michele Galati con Luigi “Schigi” D’Amelio di Extraomnes e Jean Van Roy di Cantillon. Proposta nel 2013 e mai più riprodotta, fu realizzata miscelando la Tripel del produttore lombardo con la Gueuze del birrificio belga. Nonostante l’importanza dei nomi coinvolti la birra passò quasi inosservata, almeno rispetto alle sue potenzialità. Ne troviamo una breve descrizione in un vecchio articolo che Angelo Ruggiero scrisse sul suo blog Berebirra:

Una birra sorprendente, con un aroma brettato piacevolissimo al naso, neanche pungentissimo. Invece in bocca sputa di più la Tripel, con un corpo pieno fruttato di pesca ad abbracciare questo lato grezzo della Gueuze. Una birra che mi ha sorpreso, sia perchè inizialmente ne temevo la complessità sia perché il concetto mi ha davvero affascinante. In passato i blend erano pratica abbastanza comune, per diverse ragioni e diverse metodologie produttive che ora non hanno più motivo di esistere visti i cambiamenti tecnologici in birrificio. Ad ogni modo, questo può essere lo spunto per spolverare idee dal passato piuttosto che arrovellarsi su inutili baggianate ruffiane guidate dal marketing.

Conclusioni

Le considerazioni di Angelo sono ampiamente condivisibili e confermano lo strano fenomeno per cui questi prodotti spesso non riescono a raggiungere la fama che meriterebbero. Gli elementi per decretarne il successo sarebbero diversi: un livello qualitativo medio molto elevato, la capacità di infilarsi in un filone brassicolo di moda, il coinvolgimento di nomi prestigiosi, la possibilità di lasciare invecchiare le birre con evoluzioni davvero interessanti. Invece spesso questi blend sono ignorati, trascurati, snobbati. Se non li avete mai assaggiati provate a recuperare alcuni degli esempi segnalati qui sopra (quantomeno quelli ancora in commercio): potrebbero rivelarsi una straordinaria sorpresa.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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