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Se “Superanale” vi sembra eccessivo, è meglio che non guardiate l’etichetta

Il lombardo Bi-Du è uno dei birrifici italiani più apprezzati, anche per merito di una lunga militanza, iniziata nei primi anni del nuovo millennio. Se passate in rassegna l’ampia gamma di produzioni che può vantare, prima o poi vi scontrerete con un nome che sicuramente vi lascerà tra il divertito e lo sconcertato – la posizione tra questi due estremi dipende dalla vostra sensibilità per certe “tematiche”. La birra si chiama infatti Superanale, non nascondendo un chiaro riferimento a una precisa parte del corpo umano. Pura coincidenza? Se considerate che questa qui accanto è l’etichetta, capirete che il gioco di parole è assolutamente voluto 🙂 .

Partiamo dall’etimologia del nome. Un bel giorno al Bi-Du hanno avuto l’idea di lanciare una versione “extra” dell’ArtigianAle, la birra più conosciuta del produttore nonché quella che lo ha lanciato nel firmamento del movimento artigianale nazionale. Il birraio Beppe Vento ha modificato la ricetta originale con l’aggiunta di un grande quantità di luppoli americani, ottenendo un’interessante American Pale Ale. Ha così pensato di annettere  un “super” al nome, eliminando qualche lettera di troppo. Il risultato? Ovviamente Superanale, un appellativo che ha subito incuriosito gli appassionati.

Non contenti di questo, al Bi-Du hanno rilanciato la provocazione con un’etichetta che definire esplicita è un eufemismo. Direi che non necessita di spiegazioni 🙂 , così come è ovvio che chiunque non si aspetterebbe mai di trovare un’illustrazione del genere su una bottiglia. Ma da Beppe Vento ce lo possiamo aspettare: credo se ne infischi poco dei giudizi della gente, gli piace fare la birra secondo i suoi gusti e basta. E per fortuna, aggiungerei, visto che il risultato sono splendide produzioni.

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L’etichetta della Superanale è un gioco, è evidente, ma chissà che non si riveli un traino per decretare il successo di questa birra. In effetti di etichette provocatorie ne è piena la storia dei microbirrifici di tutto il mondo, con degli eccessi che a volte lasciano interdetti. Come nel caso della Tia Loca del danese Beer Here, che ritraeva nientemeno che un fumettoso Adolf Hitler e di cui parlammo a luglio 2009.

Per la cronaca, etichette simili in alcune nazioni non sarebbero permesse. Negli USA ad esempio c’è un organo che analizza in via precauzionale tutte le nuove etichette e decide di concedere o meno il nulla osta alla commercializzazione. Per questa ragione non sono rari i casi di controversie con i distributori. Uno degli esempi più famosi è quello della Santa’s Butt di Ridgeway, che ritrae in primo piano l’ingombrante fondoschiena di Babbo Natale. Questa illustrazione non piacque alle autorità del Maine, che la bandirono. E curiosamente sono proprio le birre realizzate per le ricorrenze a dare maggiori problemi ai birrifici, poiché spesso propongono temi dissacranti. E’ ancora il caso di Ridgeway con la linea Bad Elf e di Beer Here con la sua birra pasquale Paske.

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A volte la provocazione arriva con nomi ed etichette che puntano su elementi disgustosi. E’ ad esempio il caso dei tanti riferimenti all’urina, che cavalcano la tradizionale associazione (negativa) tra pipì e birra. Quindi in Kentucky troviamo una Horse Piss Beer, mentre il famoso produttore americano Rogue ha in catalogo una Yellow Snow Ipa– se in montagna trovate neve di colore giallo sapete il motivo. Credo che alla Big Sky Brewing ritenessero l’urina troppo disgustosa, visto che hanno preferito puntare sulla bava di alce con la loro Moose Drool (traducibile, appunto, come “bava di alce”).

Insomma le etichette controverse e “al limite” non mancano di certo, sarebbe interessante capire fino a che punto risultano propedeutiche alle vendite. Vi viene in mente qualche altra birra di dubbio gusto?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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25 Commenti

  1. Parlando sempre di grandi birre mi vengono in mente:
    – Dulle Teve di De Dolle (trad. di Mad Bitch). Piuttosto dal nome provocatorio ma non dall’etichetta.
    – Rosè de Gambrinus di Cantillon. Invece dal’etichetta provocatoria ma non dal nome.

    Salute e saluti
    Paolo

  2. @andrea

    due indizi criptici e poi mi sfilo pusillanime

    nel nome della birra e nel suo contenuto troverai le risposte alla tua domanda…

  3. @INDASTRIA
    Sullo stesso tenore devo fare mea culpa per aver dimenticato la Yellow Fever di White Dog. Steve è un maestro con i nomi delle birre 🙂

  4. Sarò controcorrente, ma il nome non mi piace, certo a mio avviso è un peccato veniale e non la fine del mondo, però mi sembra eccessivo

  5. Nome provocatorio ma cercato per far capire che buttando in una cotta (di artigianAle) un sacco di luppolo americano in piu’ un po’ per il culo i clienti li pigli…
    Comunque salute!

  6. @ Beppe
    la vera presa per il culo sarebbe stata metterne un sacco in meno, capisciammè 😉 Infatti bene che le cose vadano come vanno !

  7. Se il nome fosse stato trasgresivo mi avrebbe visto favorevole.
    Infatti mi piaceva
    🙂

    Ma la spiegazione, se ho capito bene, lo rende reazionario e talebano.
    E non mi piace più.
    🙁

    Ma forse ho solo frainteso…

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