A distanza di 24 ore riprendiamo il giochino delle birre che hanno segnato il nostro percorso di appassionati. Ieri ci eravamo lasciati con la prima parte dell’elenco, cinque birre che, per un motivo o per l’altro, mi hanno svezzato nei primi anni della mia personale formazione birraria. Se la Tennent’s Super è stato il simbolo dell’ingenuità e la Guinness la birra che ho cominciato a cercare nei pub, la Andechs Doppelbock è stata la creazione che mi ha accompagnato per sempre nel mondo della birra artigianale. La Turbacci Noel è stato il primo prodotto di un birrificio italiano finito sulle mie labbra, mentre alla Moinette Blonde è legato un aneddoto fondamentale e un evento che segnò per sempre la mia crescita come consumatore. Ora è il momento di raccontare le altre cinque birre che hanno cambiato i miei gusti nel tempo.
Super Baladin
Nell’articolo di ieri ho definito il Macche la mia seconda casa. Se il locale trasteverino è stato per me una dimora alternativa, ce ne fu un altro, sempre guidato da Manuele Colonna (con altri soci), che invece rappresentò una sorta di scuola birraria: il Bierkeller di Testaccio. Se non lo conoscete o volete ricordarlo vi rimando all’articolo che gli dedicai nel 2011, in questa sede vi basti sapere che fu un vero e proprio circolo di cultura birraria, che formò molti degli appassionati romani dell’epoca. Le degustazioni con i birrai erano alcuni degli appuntamenti fissi del Bierkeller e fu durante una di quelle serate che assaggiai per la prima volta i prodotti di Baladin, tra cui l’ammiraglia Super. Da quel momento la prima birra in bottiglia di Teo Musso divenne per me un paradigma per molti anni e condizionò non poco la mia percezione della birra artigianale italiana.
Reale
Sebbene oggi sia un brand della multinazionale AB Inbev e abbia perso molte delle sue figure più importanti (compreso il suo fondatore), Birra del Borgo è il birrificio italiano a cui sono affettivamente più legato. Conobbi Leonardo Di Vincenzo quando stava ancora progettando di partire con il suo marchio brassicolo ed entrammo subito in confidenza, tanto che dopo poco tempo fondammo i Domozimurghi Romani insieme ad altri amici di bevute (Giaguarino, Matteo, ecc.). Ebbi quindi il privilegio di veder nascere da zero Birra del Borgo e praticamente tutte le sue birre d’esordio, compresa la flagship beer Reale. La Reale fu una birra molto rivoluzionaria per l’epoca: nacque dalla ricetta della Pioneer di Mike Murphy – a quei tempi l’attuale birraio di Lervig lavorava per lo Starbess di Roma – e fu una delle primissime creazioni a far conoscere le proprietà aromatiche dei luppoli americani (nello specifico il mitico Cascade) agli appassionati italiani. Per molti anni la Reale fu una birra semplicemente straordinaria e credo di averne bevuti ettolitri in diverse occasioni.
Cantillon Gueuze
Il Lambic è un prodotto così spiazzante e fuori dagli schemi che è facile che appaia in un elenco del genere. Il mio primo assaggio di una fermentazione spontanea coincise anche con il mio primo viaggio puramente birrario, dunque occupa un posto speciale nei miei ricordi. Avvenne il secondo giorno del soggiorno a Bruxelles con Pisky, quando ci spingemmo fino al sobborgo di Anderlecht per visitare Cantillon. Sui miei appunti il birrificio della famiglia Van Roy era segnato tra le mete imperdibili del viaggio, ma ancora non avevamo ben chiaro cosa ci avrebbe atteso. Entrammo, pagammo il biglietto per il tour e iniziammo a girare tra le sale di Cantillon, rimanendo affascinati ed entusiasti da tutto ciò che ci circondava. Come di consueto, alla fine della visita ci sedemmo nella saletta di degustazione e ci vennero serviti due bicchieri ciascuno, uno pieno di Gueuze, l’altro di Kriek. Chiaramente avevamo letto che la birra era a fermentazione spontanea e diversa da tutte le altre presenti in commercio, ma mai ci saremmo immaginati di assaggiare un prodotto del genere. Rimanemmo a dir poco spiazzati, ma quell’incontro così inaspettato e violento con il Lambic ampliò in maniera decisiva i miei orizzonti birrari.
XX Bitter
C’è un periodo della mia vita birraria di cui ricordo vagamente i dettagli precisi, ma in maniera vivida il fermento e l’entusiasmo che si respiravano in ogni occasione. Quella percezione era forse il frutto della mia giovane età o magari l’effetto dei fumi dell’alcol (bevevo parecchio all’epoca), oppure effettivamente il riflesso di una scena birraria che in quegli anni a Roma mostrava sincera euforia e trasporto. Fatto sta che c’era un grande predisposizione a ricevere tutti gli input provenienti dall’esterno, senza particolari pregiudizi ma solo con la voglia di imparare, pur non rinunciando a una valutazione critica di ogni assaggio. Da quel flusso indefinito di bevute e serate, di cui fatico a mettere a fuoco i particolari, si staglia nitida la XX Bitter di De Ranke, un gioiello ancora inarrivabile a distanza di anni. Se non sbaglio arrivò a Roma nel momento in cui i birrifici del Belgio stavano lanciando le loro Belgian IPA, esperimenti che ebbero vita breve e che raramente appassionarono i bevitori (però ricordo l’attesa per la Chouffe Houblon). La XX Bitter rimane ancora oggi una delle mie birre preferite in assoluto e il birrificio De Ranke un produttore che stimo tantissimo.
Summer Lightning
In questa rassegna non potevo non inserire anche un omaggio alla cultura brassicola britannica. Ci sono assaggi che ti rimangono in mente per sempre e quello della Summer Lightning al Pink Panter (uno storico pub dietro Piazza Mancini) rimarrà indelebile nella mia memoria. Era il periodo della Real Ale Society, una pionieristica azienda di importazione e distribuzione specializzata in birre tradizionali anglosassoni: oltre ai prodotti del birrificio Hop Back, c’erano quelli di The Orkney, Black Sheep, Robinson’s, George Gale e altri. Nella mia testa il modello perfetto di Golden Ale è quella Summer Lighting lì – quella dei miei ricordi – facilissima da bere ma anche splendidamente appagante. Sensazioni che ho riprovato bevendo, anche nella loro terra natia, altre birre inglesi come la Hophead di Dark Star. Oggi forse la Summer Lightning non mi regalerebbe le stesse emozioni, ma quella bevuta all’epoca, in un piccolo pub a ridosso dello Stadio Olimpico, segnò un altro piccolo passo verso il bevitore che sono ancora oggi.
Anche il sottoscritto proseguirà con le birre che hanno segnato gli albori e i primi passi nel mondo della produzione artigianale.
Cercherò di farlo rispettando il più possibile il criterio dell’ordine cronologico.
Premetto che non ho avuto il privilegio di partecipare a serate ed eventi formativi come quelli riportati da Andrea, ma ascoltando consigli, provando, maturando una bevuta man mano più avveduta e volta a distinguere determinati parametri ei cercando informazioni su tutti i quesiti che mi sorgono, ho maturato “un’esperienza” (se così la vogliamo chiamare) decisamente più autodidatta.
Quindi…
6) Zona Cesarini
Inutile girarci intorno…moltissimi di noi (quasi tutti), da neofiti della birra artigianale, hanno approcciato a questo “Nuovo Mondo” delle India Pale Ale con bottiglie su bottiglie e talvolta spine di PunK Ipa. Prodotto che segnava la novità. Sentori mai sentiti. Tutto quanto si può facilmente immaginare per chi, essendo cresciuto in Italia, ancora era tutto una novità.
Tuttavia, nonostante quanto sopra, la Zona Cesarini è la birra che ha segnato in maniera più marcata il mio primo contatto con questa “famiglia”di birre.
Tropicale, fruttatissima al naso ed al palato finale secco, amaro “come me piace a me” e…fieramente italiana.
7) Rogue American Amber Ale
Anche in questo caso, scatta la nostalgia.Primo salto negli USA per il sottoscritto. Mi sono avventato su questo birrificio quando già un minimo provavo, quantomeno, ad intuire a cosa sarei andato incontro, ma sempre con la curiosità di scoprire tutto quello che, per me era ancora, un’ assoluta novità.
Mi aspettavo una birra di carattere americano, per lo più “arrogante”, ricca e densa di carattere. Gran birra,
secondo me, che non bevo da un sacco di tempo, ma di cui sono stato discreto consumatore. Per me, all’inizio, Rogue era “il birrificio americano” dato che i pochi altri di cui si trovava qualche prodotto erano tutti concettualmente ed economicamente troppo lontani dai miei standard. Pertanto, potrei parlare anche della Brown Ale alle nocciole, della Dead Guy Ale (si trova alla Pam!),della splendida Chocolate Double Stout… Ma sicuramente l’American amber Ale è quella di cui ho abusato decisamente di più.
8) Gose di Bayerischer Bahnhof *(ovviamente sono andato a vedere come si scriveva)
Primo approccio con un primo leggero sentore di “acido”/sour. Ben spiegata da chi me la presentò. Sapevo che stavo andando, ancora una volta, incontro all’ignoto. Birra salata ? Ma cos’è ? Uno scherzo ?. Semplicemente ero rimasto indietro (sempre perché cresciuto in Italia) di circa tre secoli. Anche in questo caso, non diventò subito la mia “birra del cuore” (al contrario di quanto detto sopra per la Zona), ma tutt’ora mi sembra di apprezzarla ogni volta di più. Con quel finale di coriandolo che le rende una grazia di qualità superiore.
Spina o bottiglia che sia, l’ho bevuta, la bevo, la berrò.
9) Oude Geuze di Boon
Prima “acida” che ho incontarto sul mio cammino.
Alla spina, assaggiata con la spiegazione lucida e completa di quello che era il mio publican di riferimento quando già avevo ampliato i miei orizzonti tanto da “azzardare” con l’ “acido”. La partenza non fu trionfale, come per molti che ora sono, come il sottoscritto, pignoli degustatori di tale cultura birraia.
Lo studio e la ricerca di informazioni sulla storia e l’evoluzione di quei prodotti andava di pari passo con l’ostinazione di prendersi sempre un bicchiere piccolo di Geuze per assaporare, capire ed all’inizio quasi costringermi ad apprezzarlo. Sono riuscito gradualmente a gradirlo sempre di più. Poco alla volta. Tanto che fosse finito non c’era problema. Lo bevevamo io ed il titolare del pub. evidentemente ancora non faceva figo bere acido.
10) Viven Porter / Samuel Smith Imperial Stout
lo so che non si fa. Ma l’ho fatto.
Queste due birre rappresentano in modo paritario il mio capolino nel “Mondo oscuro”. Ci sono arrivato tardi. Ma ci sono arrivato. I primi passi nel mondo delle stout (Guinness esclusa) è avvenuto all’ inglesissimo e mai dimenticato Tree Folk’s, ma anche altri pubs. Ma non mi ero ancora avventurato su prodotti di stampo “imperial”. Lo feci con più costanza di bevuta soprattutto con quest due birre. Apprezzate sempre di più col passare del tempo. Entrambe belle piene, avvolgenti, ma in nessun modo stucchevoli neanche dopo rilevanti quantità. E perché no? Anche economicamente alla portata. E’ lungo il mio cammino, ma qualcosa in più di allora forse l’ho fatta mia. Ma faccio mio il pensiero per cui per sapere dove devi andare, devi ricordarti da dove sei partito e, personalamente, queste due birre le reputo particolarmente significative.
Amarcord è sempre emozione.
Un saluto a tutti.
Grazie anche per la seconda parte