Come tutti i settori in Italia, anche quello birrario è fortemente gravato dalla famigerata burocrazia nazionale. A livello legislativo, ad esempio, la birra è ancora in gran parte disciplinata da una norma risalente agli anni ’60, dunque inevitabilmente anacronistica rispetto alle trasformazioni che hanno investito il mercato negli ultimi decenni. Ma c’è una situazione ancora più assurda: un DPR (Decreto del Presidente della Repubblica) del 1970 che stabilisce limiti rigidissimi a tanti parametri produttivi come acidità, carbonazione e limpidezza. Sono vincoli insensati per i piccoli produttori, nonché incompatibili con la grande variabilità di stili e tipologie brassicole della scena odierna. Ora però l’ambiente sta per salutare il superamento di questa normativa incredibilmente penalizzante.
Il peso del DPR 1498/1970 e i limiti che oggi non reggono più
Il DPR 1498/1970 stabilisce le “determinazioni delle caratteristiche e dei requisiti dei diversi tipi di birra”. Queste regole comprendono limiti precisi su parametri come acidità totale, acidità volatile, grado alcolico minimo, ceneri residui e limpidezza, in funzione di categorie come “birra normale”, “birra speciale” e “doppio malto” – già previste dalla legge del 1962. Ad esempio, per quanto riguarda l’acidità (calcolata con titolazione con NaOH N/10), il DPR fissa soglie rigide: per la birra normale non deve superare 35 ml NaOH N/10 per 100 ml, per la birra speciale 40 ml, e per la birra doppio malto 45 ml.
Questi limiti sono oggi percepiti come vincoli che strozzano la libertà d’interpretazione stilistica, penalizzando i produttori “non standard”, in particolare i piccoli artigiani. In pratica, infatti, molte produzioni latamente sperimentali o stili “non conformi” oggi rischiano di restare fuori norma pur rispettando principi igienico-sanitari rigorosi. Questi vincoli sono stati indicati come incompatibili con le pratiche moderne e con le norme europee, in particolare il Regolamento CE 852/2004 che fonda l’igiene e la sicurezza alimentare sul principio dell’autocontrollo (HACCP).
Cosa prevede l’emendamento
Con l’approvazione in Senato dell’emendamento al Ddl Imprese a firma del senatore Luca De Carlo, presidente della Commissione Industria e Agricoltura, i Ministeri competenti si impegnano a definire un nuovo decreto che stabilisca le caratteristiche analitiche e i requisiti qualitativi per le tipologie di birra. Una volta entrato in vigore quel decreto, il DPR 1498/1970 verrà formalmente abrogato. Questo mette fine a una normativa “in progress” che, pur in vigore, ha da tempo sollevato critiche nei confronti della sua rigidità e anacronismo.
Entro 180 giorni dall’approvazione i Ministeri di Agricoltura, Imprese, Salute ed Economia dovranno emanare un decreto interministeriale che ridefinisca le caratteristiche analitiche e i requisiti qualitativi delle diverse tipologie di birra. Si tratta di una proposta che abbandona l’approccio dei limiti “di massima rigidità” in favore di una regolazione che includa margini di tolleranza più realistici per le produzioni moderne.
Le reazioni: Unionbirrai e le aspettative del settore
Unionbirrai, da tempo promotrice della revisione normativa, ha accolto l’emendamento con viva soddisfazione. Queste le dichiarazioni di Vittorio Ferraris, Direttore Generale dell’associazione:
Esprimiamo soddisfazione per questa apertura tanto attesa da parte del Ministero dell’Agricoltura. Dopo anni di lavoro e confronto, è finalmente chiaro che le Istituzioni hanno recepito la necessità di aggiornare una norma vetusta e fortemente penalizzante per i produttori italiani, soprattutto per i piccoli birrifici indipendenti.
Ringraziamo il presidente Sen. Luca De Carlo per l’impegno e la determinazione con cui ha portato avanti questa battaglia, intercettando le richieste di Unionbirrai e dell’intero comparto brassicolo. Ora è importante che il confronto con la filiera, previsto per la redazione del nuovo decreto, sia rapido, aperto e fondato su evidenze tecniche.
Siamo sul giusto percorso e ci faremo trovare pronti non appena il ministro Francesco Lollobrigida avvierà il tavolo tecnico con la filiera. Le nostre proposte sono chiare, fondate e condivise da anni. Questo è il momento di tradurle in fatti, per dare finalmente alla birra italiana la libertà normativa che merita.
Quali scenari si aprono per la birra artigianale italiana
Se il processo legislativo dovesse procedere in modo rapido e coerente, il comparto birraio italiano potrebbe beneficiare di effetti concreti in tempi concreti. Ecco alcuni punti chiave da tenere d’occhio:
- Libertà di sperimentazione stilistica: superare i vincoli del DPR 1498 potrebbe permettere la commercializzazione legale di stili oggi penalizzati (sour, Hazy IPA, birre con acidità spinta, fermentazioni miste).
- Adattamento al contesto europeo: una normativa italiana più moderna potrebbe evitare conflitti con le norme UE, spostando il focus su regolazioni basate sul rischio e sull’autocontrollo piuttosto che su limiti rigidi di carattere generico.
- Competitività e crescita delle piccole realtà: eliminare paletti burocratici e normative obsolete potrebbe tradursi in risparmi, semplificazioni e incentivi all’innovazione, favorendo le realtà artigianali che sono motore creativo del settore.
- Sfida dell’implementazione tecnica: servono criteri analitici aggiornati (acidi volatili, indicatori cromatici, CO₂, ossigeno residuo, ceneri) calibrati su pratiche effettive di produzione, con soglie contestualizzate e capaci di coprire la pluralità stilistica attuale.
In ogni caso, oltre cinquant’anni dopo l’istituzione del DPR 1498/1970, l’industria birraria italiana sembra finalmente accedere a un tavolo di revisione normativa serio. Se l’iter si concluderà con un testo condiviso, moderno e attento alle esigenze delle birre artigianali, sarà una vittoria non solo tecnica, ma anche culturale: una liberazione per un settore che da troppo tempo ha dovuto convivere con vincoli incompatibili con la creatività produttiva.





