Mercoledì scorso sono stato invitato a una degustazione qui a Roma, ospitata dal Cheese & Cheers di Monteverde (mai sperimentato prima, bistrot molto carino) e incentrata sulle birre di Casa Veccia. Era presente il birraio di Ivan Borsato, che ho avuto il piacere di conoscere e che mi ha colpito per quell’invidiabile spirito d’iniziativa imprenditoriale tipico di una certa parte del nord-est italiano. Diversamente dalle degustazioni a cui mi capita di partecipare, in quell’occasione il pubblico era composto esclusivamente da curiosi e gente alle prime armi con la birra artigianale. Tuttavia a un certo punto mi ha colpito il commento di uno dei presenti, che ha elogiato le birre di Ivan più o meno in questo modo:
Solitamente quando bevo birre artigianali mi piacciono, ma a mio gusto hanno troppi aromi. Le tue invece sono pur sempre complesse, ma ogni “cosa” è al posto giusto.
Quel commento mi ha illuminato, perché – sicuramente senza neanche saperlo – la persona in questione stava esprimendo il concetto di pulizia e armonia in una birra, ricorrendo ovviamente a termini da completo neofita. Le produzioni di Casa Veccia sono in effetti ben fatte e pulite, ma il punto non è questo: ciò che mi ha colpito è che, tra i tanti elementi che potevano incuriosire quell’individuo, è emersa l’armonia della birra.
A mio modo di vedere l’acquisizione del concetto di pulizia di una birra avviene solo in una fase relativamente matura della propria evoluzione di bevitore. Nelle fasi iniziali in cui si impara a conoscere la birra artigianale, dominano altre sensazioni, più immediate: la percezione dell’amaro come carattere positivo, la capacità di distinguere una birra piacevole da una sgradevole (cosa meno scontata di quanto si pensi), la complessità del ventaglio aromatico.
Proprio l’ultimo elemento può essere motivo di fraintendimento nei consumatori alle prime armi. Spesso accade che la complessità di una birra sia considerata un valore positivo a prescindere, indipendentemente da come essa si realizzi e in quali situazioni emerga. È una fase in cui credo siamo passati tutti, durante la quale la soddisfazione di una bevuta è direttamente proporzionale alla complessità della birra. In quel periodo ci si scorda completamente di stili come Pils, Bitter o Keller, perché troppo semplici. E non è raro che la prima mappazza semi-industriale sia valutata come una perla brassicola per il solo motivo di avere un ventaglio aromatico profondo (ma tutt’altro che gradevole).
Solo in un secondo momento si acquista pratica col concetto di pulizia e ci si rende conto di quanto fossero dozzinali le nostre precedenti considerazioni birrarie. Si impara a capire che la complessità non è un valore a priori, soprattutto quando non si accompagna a percezioni quali armonia ed eleganza. Personalmente credo di aver bevuto un bel numero di birre prima di comprendere fino in fondo questa verità 🙂 .
Per questa ragione il commento citato in apertura mi ha colpito, perché presumibilmente proveniente da una persona che ha conosciuto la birra solo da poco tempo. E allora mi sono chiesto: possibile che il successo dei prodotti dei microbirrifici negli anni abbia modificato le predisposizioni gustative della “gente comune”, fornendo un background per entrare nella degustazione con un livello di maturità superiore?
Forse può sembrare un’idea stramba, ma dubito che lo sia fino in fondo. In questi anni la birra artigianale è diventata sempre più protagonista sui mass media e in eventi enogastronomici, facendo scoprire alle persone che esiste qualcosa di diverso dagli anonimi prodotti dell’industria. In passato questo non accadeva: quando ebbi il mio primo approccio con una birra artigianale non sapevo neanche che esistesse; oggi dubito che possa accadere lo stesso con identica facilità.
E mentre la gente impara che esistono dei microbirrifici che producono birre “diverse”, scopre anche un diverso modo di approcciarsi loro. La divulgazione mainstream della cultura birraria – pur con concetti a volte confusionari e fuorvianti – probabilmente sta portando i suoi frutti, non solo facendosi conoscere ai semplici curiosi, ma alimentando in loro aspettative e predisposizioni evolute rispetto alla birra di qualità. È come se al primo sorso di una produzione artigianale, partissero già con un piccolo patrimonio di esperienza acquisita.
Che ne pensate?
Penso che a Roma è probabilmente così, la cultura della birra dilagante lambisce più o meno direttamente anche chi non ne fa di per sé parte. Ma fai un salto in Sicilia, o dovunque la consapevolezza del panorama birrario sia ancora in germe… Abbiamo strada da fare.
Questo post mi ricorda uno di qualche tempo fa dove parlavi delle birre artigianale da proporre ai neofiti…
E anche lì era emerso in effetti che l’artigianalità andasse in un certo senso di pari passo con la diversità.
E spesso mi è capitato di sentir dire “ma cosa ci sta qua dentro ?” come se non fosse possibile che quella che stavano bevendo fosse semplicemente una birra.
Quindi in sostanza ritengo che tu abbia ragione.
la qualità del commento dell’appassionato secondo me risulta “incidentale” in questo caso.
Il ragionamento di fondo dell’articolo è verissimo: i “vecchi” (ma anche recenti) appassionati spesso si sono fatti inebriare dalla ricchezza e complessità del prodotto; dimenticandosi cosa è la birra sostanzialmente.
Chi, come il protagonista del commento, è ancora poco influenzato (e forse mai lo sarà) dai prodotti più complessi, trova carattere dove altri trovano debolezza.
Che poi IMO questo attaccamento alla base è quello che ha decretato il successo della craft beer in USA.
In realtà il mio pensiero è opposto. Secondo me nell’infinità di input che si ricevono in una primissima fase di approccio alla birra artigianale, si tende a “rimanere vittime” della complessità, elevandola a valore positivo sempre e comunque. Quando si calmano le acque, allora si riesce a sviluppare un approccio più maturo. Chiaro che poi molto dipende dal gusto personale, ci mancherebbe
Sul successo di certe birre in USA secondo me c’entra molto una certa cultura del gusto “forte” di quel popolo.
Sicuramente.
Però Vedo molto anche il caso opposto, dove il prodotto è ritenuto troppo distante da quello che si conosce: “questa birra è troppo saporita” è una frase abbastanza tipica.
Concordo, ma chi ha questa idea diventerà mai un bevitore di artigianali?
Per questo bisogna conquistarli con birre più “normali” ma fatte bene.
fino a quelche tempo fa sarei stato dello stesso avviso.
recentemente pero’ mi è capitata una degustazione con una popolazione molto “ignorante” e adulta.
per problemi logistici fu servita al posto della predestinata golden ale una imperial stout che con mia sorpresa conquisto’ quasi completamente gli astanti. la magica frase ricorrente era “è cosi’ diversa che non pensavo esistesse una birra così” con molti bis tris e poker di assaggi. sono dell’idea che lo schiaffo sia stato molto piu efficace nell’aprire una finestra in loro piuttosto che una carezza di un prodotto piu canonico ai palati industrializzati.
Sulle stout si potrebbe fare un discorso diverso: fino a poco tempo fa non c’era che la guinness ed in generale viene vista come qualcosa di molto diverso dalla “bionda birra”
Un parente avvezzo un minimo alla birra belga mainstream (chouffe, chimay) mi ha chiesto se la punk ipa – lattina – fosse “aromatizzata” (effettivamente è aromatizzata col luppolo…).
Mentre un amico completamente ignorante in materia ha definito l’odore di una dead pony club “piscia di gatto” (dovuto al simcoe?).
C’è un sacco di letteratura al riguardo 🙂 https://www.google.it/search?q=cat+piss+smell+beer&oq=cat+piss+smell+beer&sugexp=chrome,mod=0&sourceid=chrome&ie=UTF-8#hl=it&safe=off&sclient=psy-ab&q=cat+piss+smell+beer+hops&oq=cat+piss+smell+beer+hops&gs_l=serp.3…21294.21787.0.21905.5.5.0.0.0.0.172.643.0j4.4.0…0.0…1c.1.H0YghAFSkGM&pbx=1&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.r_cp.r_qf.&fp=1ac8faeba1909ebb&bpcl=36601534&biw=1280&bih=963
Non sono molto d’accordo. Conosco molti amici che al primo approccio con le artigianali rimangono perplessi perchè troppo “aromatiche”. E non mi riferisco solo a Ipa o tripel, ma anche alle più semplici pils. Io penso che i bevitori di moretti sono talmente abituati al sapore delle lager industriali che alla fine lo ritengono anche piacevole, motivo per cui questi sentori nuovi li spiazzano e gli risultano strani e sgradevoli.
Sì ho ben chiaro il tuo esempio. La birra artigianale non sempre piace, purtroppo c’è chi rimane affezionato al “gusto” delle industriali e c’è poco da fare. Ma queste anime dannate non rientrano nella fenomenologia in questione 😛
Dopo anni a proclamare iddio la DAB e dopo altrettanto tempo di assaggi coatti di artigianali propinategli, sono riuscito a convincere mo padre che alcune artigianali sono più buone delle industriali. ..Dopo anni!
Oggi posso quindi parafrasare Rocky: “sei lui è cambiato, allora tutto il mondo può cambiare”
la cattiva conservazione e gli off-flavours diventano spesso parte integrante della memoria olfattivo-gustativa del neofita che quindi, non sapendolo, ricerca quegli off-flavours pure nella birra artigianale.
il problema, oltre che di consocenza, è anche di condizionamento.
alla cieca, probabilmente, su uno stile non particolarmente strutturato e già provato (pils, lager) preferirebbero l’artigianale.
se uno entra in un pub e chiede una “chiara”, se non gli dici che è artigianale se la beve a canna.
se percepisce diciamo, un approccio più professionale del publican, allora alcuni cominciano a stare sulla difensiva.
non tutti son così, ma c’è una certa chiusura mentale e rigidità dell’abitudine,
anche in chi si proclama amante della birra.
non credo che cmq a questo vi sia una soluzione…
Articolo interessante, ma secondo me attinente soprattutto a piazze quali Roma e altre “isole felici”.
Mi sono trovato un paio di volte nella medesima condizione, una in particolare durante una laboratorio al Terra Madre Day nel mese di gennaio c.a., durante il quale diverse persone, assaggiando 3-4 birre artigianali, hanno manifestato il loro gradimento per la pulizia e armonia delle birre. Tra quelle persone solo una aveva avuto modo di approcciarsi alla birra artigianale, le altre ne ero praticamente allo scuro. Vuoi per il tagli di quella particolare manifestazione, vuoi per il fatto che sempre più spesso si trovano anche i birrai a spiegare i propri prodotti, queste persone hanno sdoganato la birra da semplice bevanda da pizza/bar/partita di briscola.
Sicuramente sono di più le persone che hanno modo di bere una “artigianale” rispetto anche a soli 2-3 anni fa, tuttavia credo che l’interesse e la profondità di giudizio siano indice del posto in cui ti trovi e dell’evento che vi si svolge.
Parere personalissimo, ovviamente Andrea.
Direi che l’imprinting con una birra artigianale aiuta di certo, impari da subito la differenza tra quest’ultima e un prodotto industriale. Ma mi ha colpito molto il commento all’inizio del post.
Negli ultimi mesi ho assaggiato troppe birre che, alla primo sorso, mi “asfaltavano” la bocca con un amaro aggressivo e prepotente, che non dava spazio a niente altro data la sua aggressività. L’ultima è stata al salone del gusto sabato, la ReAle Extra, ma è solo l’ultima della lista.
Non so, non mi piacciono e non le capisco, le trovo aggressive e monotematiche, proprio in confronto a birre equilibrate e complesse che ho bevuto. E forse sta anche qui la lettura di quel neofita.
Ah sicuro, non lo metto in dubbio. È possibile che sia stata solo una coincidenza e che la mia sia una semplice congettura, ma volevo capire se questa idea è condivisibile o meno
Se non ricordo male in un post, tempo fa, Andrea sottolineava l’importanza dell’insegnare a capire (e gustare) una birra artigianale. Ora, io di strada ne ho da fare, ma ieri ho assaggiato la MagistrAle del birrificio artigianale parmense Beerbante e, alla fine, quando ho assaggiato a seguire una semplicissima Spaten mi ha fatto l’effetto della proverbiale sorsata d’acqua per l’assetato che esce dal deserto. Non ho ancora le carte per cogliere un livello superiore o sono incappato in una “sola”? Saluti
Beh difficile da dire 🙂 Sòle a parte, a volte tutto si riduce semplicemente al gusto personale. Ed è anche giusto che sia così
Ma chi mi garantisce che sia veramente un micro birrificio e non un industria che stia facendo ” birra artigianale” come mi sembra di aver già trovato in grande distribuzione a 5/6 euro?
Giri la bottiglia e leggi chi la produce.