Il report Italian Craft Beer Trends, la cui prima edizione è stata pubblicata a inizio 2025, ha permesso di indagare le tendenze della birra artigianale italiana con dati certi e dettagliati. Tra qualche giorno lanceremo un mini report dedicato al primo semestre dell’anno: una versione compatta, ma con indicazioni preziose sui trend che si stanno consolidando in questi mesi. Tra questi – inutile nasconderlo – c’è quello delle birre NoLo, cioè a basso contenuto alcolico o prive di alcol: una nicchia che sta cercando di trovare spazio tra i consumatori, dovendo però lottare contro alcune resistenze culturali. In tal senso è interessante analizzare come i birrifici italiani stanno battezzando questi prodotti, perché spesso la scelta del nome è già un chiaro segnale delle sfide che dovrà affrontare una birra per affermarsi sul mercato.
Probabilmente nessun’altra categoria birraria impone una così attenta analisi nella fase di scelta del nome. Con una o due parole, infatti, bisogna spiegare al consumatore la caratteristica principale della birra, cioè il suo contenuto alcolico ridotto o nullo. Ma allo stesso tempo occorre anche tranquillizzarlo, perché l’idea di una birra con poco alcol è ancora difficile da accettare: molti bevitori, compresi diversi operatori del settore, vedono con diffidenza le NoLo, considerandole non degne di essere bevute. In realtà esse aprono prospettive inedite, perché permettono il consumo in momenti o situazioni in cui di solito si preferisce non assumere bevande alcoliche. Riassumere tutto ciò in un nome è impresa ardua e per riuscirci i birrifici adottano diverse strategie: chi ricorre all’ironia e ai giochi di parole, chi prova a “normalizzare” il prodotto, chi preferisce riferimenti diretti al volume alcolometrico.
Ironia e dissacrazione
L’ironia è sempre un ottimo strumento di marketing, a patto di saperla maneggiare opportunamente. A gennaio, mentre teneva banco la (finta) riforma del codice della strada, il Birrificio 17 (provincia di Treviso) se ne uscì con la S-Birra, una low alcohol (2,2%) “salva patente”, che nel nome omaggiava, con benevole ironia, gli addetti ai controlli sulle strade. Il salto dall’ironia alla satira è breve, come dimostra l’analcolica del birrificio La Buttiga, lanciata a ottobre del 2024: si chiama Ah no?, un chiaro riferimento a una delle scene televisive più ridicole e patetiche offerte dal ministro Salvini, responsabile del nuovo codice della strada e della dannosa campagna mediatica che l’ha accompagnata.
A volte una parola vale più di mille discorsi, come dimostrano la Mannaggia di Birra XO e la Magari di Mudita, brassata in collaborazione con Chianti Brew Fighters. Sono entrambe Micro IPA e i loro nomi ironici ci fanno capire che spesso sono gli stessi birrifici a dover vincere delle resistenze psicologiche prima di lanciarsi nel segmento NoLo. A proposito di ironia, come non citare la Faccio Finta di War, che ribalta il senso della sua ormai celebre Tutto Fatto, mentre troviamo un pizzico di marketing nostalgico nella Kaori Poco Poco di Lucky Brews, con un chiaro richiamo a un spot televisivo di inizio anni ’90.
Giochi di parole
I giochi di parole rappresentano un ottimo strumento per comunicare il proprio prodotto, perché impongono un momento di riflessione che può estendersi oltre la mera comprensione del significato di un nome. È una soluzione meno immediata, ma altrettanto efficace. La Game (Hang) Over del birrificio Vertiga annuncia la “fine dei giochi”, ma anche dell’hangover, cioè dei postumi della sbornia. La Crime of the Century di Liquida richiama l’omonimo album dei Supertramp, ma anche l’immagine “delittuosa” che hanno i puristi delle birre low alcohol. La Real Deal di Eastside è una birra vera, fatta come si deve e degna di essere presa con serietà, nonostante il suo contenuto alcolico pari allo 0,8%. La Friend or Faux di Edit sottolinea la sua natura duplice di birra amica-nemica, riassumendo molti dei messaggi che i birrifici italiani sono chiamati a veicolare con questi prodotti:
Friend or Faux è una birra amica-nemica: una preziosa alleata per chi, dovendo rinunciare alla gradazione alcolica, non vuole perdersi il gusto di una buona birra. Una birra nemica per tutti quelli che sono spaventati dall’idea di una birra alcohol free (ma che presto cambieranno idea!).
Stile di vita e normalità quotidiana
A volte il modo migliore per far accettare una novità è dipingerla come normale, o comunque inserirla in contesti quotidiani, non eccezionali. Diverse birre NoLo italiane giocano proprio su questa leva, invitando il consumatore a guardare la situazione da un punto di vista diverso dal solito. La The Summer is Magic di LA Brewery associa una birra a basso contenuto alcolico all’estate, suggerendo consumo più ampio nell’arco della giornata. La The Bartender’s Choice del birrificio Edit invita a mettersi nei panni del publican, che in genere sceglie di bere una birra leggera quando si trova al lavoro dietro al bancone.
La Just Drink It di Busa dei Briganti, oltre a omaggiare uno dei claim più famosi di sempre, esorta a bere senza troppi pensieri (è analcolica). Nel 2022 sempre Busa dei Briganti lanciò la Drink Me in collaborazione con War: una Session IPA che chiedeva solo di essere bevuta, sulla falsariga dei biscottini di Alice nel Paese delle Meraviglie. La Bar Sport di Alder è una Table Beer da 3% alc. immaginata per un consumo quotidiano: quale migliore riferimento se non quello del bar per eccellenza, vero luogo italiano di socializzazione “alcolica”?
La negazione esplicita dell’alcol
Andare dritti al punto può essere la tattica migliore, senza troppi giri di parole. È la strada che hanno intrapreso alcuni birrifici italiani per le loro NoLo, come Birra Amiata, che con la sua Alcohol is Dead ha scherzosamente celebrato i funerali dell’etanolo. Piuttosto dirette risultano anche la Sobria del Birrificio dei Castelli e la Quasi Analcolica (raggiunge il 2% alc.) del Birrificio Inesistente, mentre la Drynuary IPA di Crak, una luppolata che non supera il 3% alc., nasce espressamente per celebrare – e nello stesso tempo violare – il Dry January, ossia la pratica che consiste nell’astenersi dal consumo di alcol per tutto il mese di gennaio, provando a fare pace con sé stessi dopo gli eccessi delle festività natalizie.
Infine la Dreamy not Drunk di LZO sembra voler esaltare la realizzazione di un sogno: poter bere una birra alcohol-free finalmente buona.
We can be dreamy even without being drunk. Chi ha detto che la buona birra deve essere per forza alcolica? La prima fruit-alcool free con frutti tropicali e ciliegia, è accessibile a tutti, a tutte le ore!
Riferimenti diretti alla categoria NoLo
Ancora più asciutta e immediata è la scelta di quei birrifici che si limitano a riportare nel nome delle loro birre riferimenti diretti alla categoria di appartenenza. È una strategia che usa spesso l’industria e che dunque è ampiamente testata. La Mundaka Zero di Crak è forse l’esempio più celebre: una versione analcolica della Mundaka, la Session IPA della casa. Ma lo stesso discorso si estende anche alla Jester.0 del birrificio Jester o alla recente Parsifal 0 Alcol del birrificio Parsifal. In questi casi il consumatore ha poco da interpretare: si trova di fronte a un prodotto nuovo, ma “mediato” dalla conoscenza del marchio.
La stessa strategia si applica anche a birre non necessariamente analcoliche. La novità di Birra dell’Eremo per l’estate 2025 è la Low, una Session IPA che per stile grafico e comunicazione richiama l’estate, ma nel nome sottolinea la sua bassa gradazione alcolica. Scelta identica per Via Priula, che nel 2023 lanciò la Low%Blonde, una delle prime analcoliche artigianali italiane.
Conclusioni
Quello dei nomi è un aspetto tutt’altro che secondario per le birre NoLo, perché spesso è il primo contatto con un pubblico ancora diffidente. I birrifici italiani stanno affrontando la sfida con creatività, alternando ironia, riferimenti espliciti e tentativi di normalizzazione. È un campo ancora in evoluzione, che merita di essere osservato con attenzione: perché anche una semplice parola può fare la differenza nel modo in cui una birra viene accolta dal mercato.