Mentre scriviamo sono in corso le audizioni degli operatori del settore birrario in Commissione Agricoltura. Sono presenti i rappresentanti di alcuni birrifici (artigianali e industriali) e praticamente tutte le associazioni collegate in maniera diretta o indiretta alla filiera brassicola: Crea, Coldiretti, Cia, Unionbirrai, Luppolo Made in Italy, Cerb, Italian Hops Company e Cna Agroalimentare. Un simile spiegamento di forze si giustifica con l’obiettivo del confronto: discutere i disegni di legge – in realtà come vedremo il DDL è uno – recanti “Disposizioni per la promozione e la valorizzazione dei prodotti e delle attività dei produttori di birra artigianale”. Alcuni deputati stanno infatti lavorando su una proposta legislativa indirizzata espressamente alla filiera italiana della birra, che se trasformata in legge potrebbe fornire un ulteriore impulso a tutto il settore e alla birra artigianale in generale.
I disegni di legge sono due (A.C. 788 con primo firmatario l’on. Caretta e A.C. 1649 con primo firmatario l’on. Carloni), tuttavia i due testi coincidono totalmente. Entrambi riprendono lo spirito e l’impostazione di un precedente DDL, che fu presentato nel 2021 ma il cui iter parlamentare si arenò quasi subito. Nel frattempo lo sviluppo di iniziative di promozione della filiera brassicola si sono moltiplicate, così come l’apparente volontà del Ministero dell’agricoltura di supportare maggiormente il mondo della birra italiana. È dunque in un contesto moderatamente favorevole che stanno riprendendo i lavori per la creazione di una legge di promozione organica del settore birrario, con particolare attenzione ai piccoli produttori indipendenti e a quelli di stampo agricolo.
Il DDL (il testo completo è disponibile in pdf) si compone di nove articoli, alcuni piuttosto “pesanti” in termini di disposizioni. Se il primo articolo si limita a individuare le finalità e l’oggetto della proposta di legge, il secondo già prevede un’importante novità , perché stabilisce la definizione di “birra artigianale da filiera agricola italiana” in aggiunta a quella di “birra artigianale” già introdotta nel 2016. La discriminante è l’impiego di orzo e luppolo di produzione italiana per la misura almeno del 51% sul totale delle materie prime. Non è una definizione fine a sé stessa, perché presumibilmente potrebbe avere importanti ripercussioni a caduta sull’attività dei birrifici e sull’accesso a eventuali vantaggi economici. Inoltre l’articolo 3, sul quale torneremo tra un attimo, stabilisce l’approvazione di un disciplinare di produzione per la birra artigianale agricola.
Questo passaggio è particolarmente delicato ed è proprio su tale punto che presumibilmente si stanno concentrando le audizioni di queste ore. È delicato perché, a nostro modo di vedere, un disciplinare di produzione può arrecare più danni che vantaggi se non elaborato in maniera corretta. Una considerazione che vale ancora di più per la birra, che per sua natura è un prodotto “liquido”, aperto a continue contaminazioni e che, a parte rare eccezioni, è libero di essere reinterpretato senza particolari paletti – è proprio questo uno dei punti di forza della bevanda. Come se non bastasse, lo stesso articolo prevede l’istituzione di marchi e certificazioni che enfatizzano quanto appena espresso. Nell’introduzione al DDL, si può leggere infatti che:
L’articolo 3 reca disposizioni per l’istituzione di marchi di tutela da parte delle regioni, d’intesa con il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, nonché per l’adozione di disciplinari di produzione e di certificazioni di rispetto di requisiti di prodotto o di processo per determinati tipi di birra artigianale, al fine di promuoverne la diffusione nel territorio nazionale. In secondo luogo, il medesimo articolo 3 prevede l’adozione di un disciplinare specifico per la birra artigianale prodotta da filiera agricola italiana che, quindi, valorizzi in modo chiaro e uniforme le birre artigianali prodotte almeno con il 51 per cento di orzo e di luppolo italiani.
Probabilmente l’articolo più importante di tutto il DDL è il quinto, perché introduce l’innovativo concetto di un Piano nazionale di sviluppo della filiera brassicola italiana. Come spiegano i commi 2, 3 e 4:
Il Piano è lo strumento programmatico strategico del settore brassicolo, destinato a fornire alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano gli indirizzi sulle misure e sugli obiettivi di interesse del settore, a cui le medesime possono fare riferimento nello sviluppo delle politiche regionali di settore e che possono essere recepiti anche nei singoli piani di sviluppo rurale (PSR).
Il Piano ha durata triennale. Esso individua gli elementi di maggior rilievo per promuovere l’economicità e la produttività del settore brassicolo. […] Il Piano individua altresì interventi per favorire la ristrutturazione e l’ammodernamento degli impianti per la produzione e per la conservazione della birra artigianale nonché per la coltivazione e per la produzione dell’orzo e del luppolo.
Il Piano è quindi uno strumento di coordinamento centralizzato, che servirà per indirizzare il lavoro di sviluppo delle singole realtà locali. Le strategie saranno decise da un Tavolo tecnico definito dal precedente articolo 4 e composto da rappresentanti dei vari Ministeri interessati al comparto (Agricoltura, Economia, Imprese, Ambiente), delle agenzie ministeriali e delle realtà associative e produttive del settore. Il Tavolo tecnico si occuperà , mediando tra gli interessi dei vari componenti, di redigere il Piano nazionale. Si tratta di una novità molto interessante, che potrebbe portare un grandissimo impulso a tutta la filiera. Da notare inoltre che la sua durata (3 anni) coincide con quella dei recenti progetti LOB.IT e FILO.
Il Tavolo tecnico inoltre si deve occupare di elaborare un piano comunicativo di promozione della produzione brassicola, secondo quanto previsto dall’articolo 6. Merita una riflessione il fatto che un intero articolo del DDL sia dedicato alla comunicazione della filiera, stabilendo un principio che è piuttosto nuovo per il comparto birrario italiano, almeno a livello di produttori artigianali. Peraltro il comma 2 stabilisce anche la misura economica del finanziamento, pari a un massimo di 100.000 euro annui a decorrere dall’anno 2024.
Gli articoli 7 e 8 si concentrano rispettivamente sulla definizione di criteri di premialità in sede di predisposizione dei piani di sviluppo rurale e sull’istituzione di “concorsi di idee” volti a promuovere progetti particolarmente innovativi legati alla produzione brassicola, di orzo e di luppolo. L’articolo 9, infine, reca le disposizioni di copertura finanziaria.
Il DDL su cui si sta lavorando in questi giorni potrebbe rivelarsi decisamente importante per il futuro della filiera italiana della birra, anche grazie ad alcune disposizioni piuttosto innovative. L’iter legislativo è solo all’inizio e occorrerà capire come potrebbe cambiare il contenuto degli articoli alla fine dei vari passaggi. Sempre che il percorso arrivi a conclusione e non si interrompa come già accaduto in passato. Tuttavia il clima oggi sembra leggermente più favorevole per consentirci di scongiurare gli esiti più negativi. Staremo a vedere.