Un viaggio a New York è così ricco di stimoli da non poter essere raccontato solo con un elenco di indirizzi da visitare. È per questo motivo che, accanto al resoconto delle mie bevute della scorsa settimana, ho voluto dedicare un post specifico al modo in cui la Grande Mela si sta rapportando alla “moda” della birra artigianale. Gli Stati Uniti sono infatti una realtà brassicola interessantissima, alle prese ormai da alcuni decenni con una straordinaria rivoluzione dei consumi birrari grazie alle produzioni “craft” dei birrifici locali. Scordatevi l’Italia, la Scandinavia e altre nazioni emergenti nel panorama internazionale della birra: gli USA sono un mondo a parte e rappresentano la massima evoluzione del fenomeno che stiamo vivendo quotidianamente. E di cui New York, almeno da certi punti di vista, non può che esserne un esempio emblematico.
In realtà alcune delle considerazioni che il mio viaggio ha suscitato non hanno fatto altro che confermare quanto già mi era capitato di leggere o ascoltare. Ma sperimentare questi aspetti in prima persona ha un sapore del tutto diverso, che consente di valutare delle sfumature che altrimenti non sarebbero percepibili. Quindi, a meno che non ignoriate completamente la scena americana, non aspettatevi rivelazioni sconvolgenti. Però troverete conferme (o smentite) alle vostre idee e forse il pretesto per prenotare fin d’ora un futuro viaggio per New York o per altre mete americane 🙂 .
La birra craft è ovunque
Come ho già avuto modo di scrivere in passato, New York è totalmente invasa dalla birra artigianale, al punto che sul fenomeno si concentrano persino alcune guide turistiche mainstream – per non fare nomi, ad esempio, quella che comincia per Lonely e finisce per Planet 😛 . Vi basterà girare qualche minuto per Manhattan, per scoprire che quasi ogni locale ha una o più birre artigianali alla spina: parliamo non solo di pub specializzati, ma anche di ristoranti, bar, catene di hamburger, american bbq, supermarket e via dicendo. Difficile incrociare una birreria senza birre craft alla spina, così come percorrere più di 500 metri senza incappare in un esercizio che propone le produzioni dei birrifici locali. Se non corressi il rischio di essere tacciato per fazioso e “romanocentrico”, direi che ricorda la situazione che sta vivendo Roma in questo momento, ma chiaramente elevata all’ennesima potenza e con un dettaglio da non sottovalutare, sul quale tornerò più avanti.
Ancor più che nei locali, l’effetto di questa diffusione si avverte probabilmente nella grande distribuzione. Nei supermercati standard si possono trovare decine di marchi differenti, per non parlare dei punti vendita più forniti che riescono a vantare interi reparti occupati da six pack di diversa provenienza. L’impatto per un appassionato è da interruzione delle funzioni respiratorie per alcuni secondi, ma iperboli a parte, questo aspetto fa capire quanto sia radicato il concetto di birra artigianale a New York (e negli USA in generale).
Un diverso approccio alla birra artigianale
Un altro aspetto che dimostra quanto sia radicata la birra craft a New York è il modo in cui sembra essere vissuta dai consumatori. Ciò che ho avvertito è che la sua presenza è percepita come totalmente naturale: ordini un hamburger e decidi se accompagnarlo con una Flying Dog o una Coca Cola, scegliendo tra due bevande esattamente sullo stesso piano. Prediligere la prima non significa bere qualcosa di elitario o snob, significa semplicemente che si ha voglia di birra. È una sensazione difficile da spiegare, ma spero di aver reso il senso del discorso.
Questa presenza naturale della birra craft dipende probabilmente da diversi fattori. Innanzitutto dalle varietà di esercizi in cui essa è presente: se la trovo in ristoranti, bar, bistrot e supermercati oltre che in pub specializzati, è chiaro che mi sembrerà più facilmente una bevanda quotidiana. In secondo luogo è proprio la sua diffusione capillare (quindi quantitativa) a renderla subito “familiare”. Il terzo e ultimo motivo, ma non meno importante, risiede nella storia degli Stati Uniti, paese per il quale la birra è sempre stata bevanda nazionale. Ciò che ne consegue è dunque la sensazione che il fenomeno in atto sia profondamente legato alle abitudini dei consumatori, aspetto ad esempio che in Italia – e anche a Roma, per riallacciarmi a quanto espresso sopra – è culturalmente lontano anni luce.
Combinare artigianale e industriale non è reato
Dei tanti racconti che avevo ascoltato sulla birra negli USA, uno dei più affascinanti – almeno secondo me – riferiva della normalità con la quale tanti locali propongono allo stesso tempo birre craft e industriali. Per come si è evoluta la birra artigianale in Italia, oggi è impensabile che un locale “illuminato” possa destinare anche solo una spina a prodotti commerciali senza subire le critiche degli appassionati. A New York invece vige un approccio molto meno talebano: anche in templi birrari come il Blind Tiger o The Ginger Man è matematico che ci sia almeno una spina con una birra industriale – ad esempio nel secondo era presente la classica Guinness. Chiaramente alla base ci sono scelte commerciali ben ponderate, che forse dovremmo cominciare a guardare con occhi diversi anche da noi. Ma credo che al momento non siamo ancora pronti…
L’offerta alla spina
Ciò che mi ha colpito di New York è la grande attenzione di tanti locali (non solo pub) nei confronti dei produttori della città (o dello stato). L’esempio più evidente è quello del Fette Sau, un american bbq con dieci spine, quasi totalmente devote ai birrifici di New York. In effetti più che di birra craft spesso in America bisognerebbe parlare di birra locale, intesa come quella realizzata dai produttori locali. Spesso si usa più l’espressione “local beer” che “craft beer”, al pari di quanto facciamo in Italia per diversi generi alimentari. E questo dettaglio, in realtà molto importante, si ricollega ai concetti che ho espresso precedentemente.
Per quanto riguarda gli altri marchi è facile incontrare nomi piuttosto conosciuti anche da noi, ma non per questo trascurabili. Invece pensavo di trovare con maggiore diffusione birrifici che, pur rimanendo nei confini terminologici della birra craft, hanno dimensioni elevate, come Sierra Nevada. Invece sono rimasto meravigliato dalla loro assenza, segno forse che la cultura birraria in città è così evoluta che si ignorano le aziende più mainstream. La considerazione vale addirittura per la Brooklyn Brewery, che sarebbe il birrificio newyorkese per antonomasia, ma che, non avendolo mai trovato alla spina, evidentemente rimane relegato solo ai locali dalla forte denotazione commerciale.
Il prezzo della birra a New York
Molti di voi si staranno chiedendo quanto costa una birra alla spina nella Grande Mela. Sappiate allora che nei pub di Manhattan e nei quartieri più turistici di Brooklyn il bicchiere costa in media 7 dollari per una pinta americana, ma il discorso cambia per birre più alcoliche e rare: in tali casi la quantità si riduce e/o il prezzo aumenta (difficilmente oltre gli 8 dollari). Considerando che 7 dollari al cambio attuale corrispondono a circa 6 euro, ci si rende conto che in definitiva non siamo troppo lontani dai prezzi delle grandi città italiane, almeno nei loro quartieri più centrali. Se pensate che lì siamo nella città delle spese pazze e che gli stipendi medi non sono paragonabili ai nostri, è automatico farsi prendere dallo sconforto. A difesa della nostra situazione c’è però da sottolineare che i birrifici craft americani sono straordinariamente più grandi dei nostri artigianali e che il sistema di distribuzione è molto più efficiente.
Chi di voi è stato a New York o in generale negli USA? Avete riscontrato le stesse caratteristiche birrarie?
Ahimè, a NYC ci sono stato quando non ero ancora così interessato al mondo delle craft beers…
Una buona scusa per tornarci 🙂
Trovo delle attinenze con la mia regione(Sardegna)…”Ciò che ne consegue è dunque la sensazione che il fenomeno in atto sia profondamente legato alle abitudini dei consumatori”…anche da noi il consumo di birra è legato alle abitudini dei sardi(ricordo che la Sardegna è la regione col più alto consumo in Italia)che negli ultimi tempi si sta convertendo in termini qualitativi…un altro punto è…”Ciò che mi ha colpito di New York è la grande attenzione di tanti locali (non solo pub) nei confronti dei produttori della città (o dello stato)”…una cosa che ho notato nei locali della mia città(Nuoro)è che se si decide di portare birra artigianale si sceglie sempre tra le sarde
Paragone che ci può stare (con le dovute proporzioni). In effetti quella della Sardegna è una realtà unica nel panorama nazionale, con peculiarità non riscontrabili altrove
Sicuramente un’esperienza interessante da provare almeno una volta nella vita, bello il paragone di Roma all’ennesima potenza…..averne altre città come Roma in Italia che hanno tanti locali per approcciarsi alla Birra Artigianale anche se negli ultimi mesi ci sono stati tanti miglioramenti!!! Per i prezzi beh direi che siamo in linea con i prezzi europei, anche perchè la produzione ha i suoi costi!!
Se ti fa piacere condividere questo articolo su http://www.beerlist.it sezione il pub o sulla nostra pagine facebook. Grazie. Fabio
Penso che in italia sia difficile accostare birra artigianale ed industriale anche per le troppe esclusive dei distributori (di entrambe le sponde)
Invece è una convivenza che noto in quasi tutti gli altri stati che ho visitato
Beh ma con un impianto di proprietà in teoria puoi fare come ti pare
Ciao,è la prima volta che scrivo perchè ho sempre pensato di saperne troppo poco in confronto di chi scrive e quindi evito figuracce,ma leggo quotidianamente perchè la passione c’è!
Riporto solo le mie esperienze di 4 viaggi alle spalle negli USA,quindi scrivo volentieri.
Hai fatto una giusta considerazione sul non aver trovato la Sierra a NY,per esempio,se vai negli stati dell’ovest faresti fatica a non trovarla,è dappertutto e probabilmente se cerchi la Brooklyn forse in qualche grande supermercato la troveresti.
Così come se vai a Boston trovi la Samuel Adams anche nei bagni pubblici 🙂
Ricordo dei locali memorabili,uno a Monterrey,dove c’erano ben 80 spine,una cosa da non credere.
Un altro a Las Vegas,molto simili in quanto a numeri di birre alla spine,ma se ne trovano veramente ovunque,come hai sottolineato tu,in qualsiasi locale puoi trovare sempre qualcosa d’interessante.
Tanto per descrivere la situazione negli USA,death valley,deserto enorme,pochissimi posti in cui dormire e/o mangiare,uno di questi,il Panamint,ha un ristorante con 10 birre alla spina e ben 3 frigoferi a 2 ante pieni di bottiglie.
La prima volta che ho visto questo posto mi sono commosso,oltre al fatto di essere in uno dei luoghi più affascinanti degli States!
Ciao Pèul, benvenuto come “commentatore” e grazie per seguire il blog con frequenza! Bello il tuo resoconto 🙂
L’impianto di proprietà è la soluzione. Ma è una soluzione davvero costosa. Inarrivabile per piccoli locali di nicchia (magari che si trovano in zone dove la birra artigianale ancora non è conosciuta). Parlo per esperienza personale. È come trovarsi di fronte a un muro. Continuare a farsi sfruttare dai distributori di zona o indebitarsi per seguire le proprie passioni? Se non ci fosse di mezzo il dio denaro la risposta sarebbe ovvia. Ergo, se gli impianti costassero meno, avremmo più birra artigianale in giro, anche nei piccolissimi locali di provincia (specie al Sud).
Seguiamo la scena americana da molti anni, direi che l’assoluta mancanza di snobismo, la grande disponibilità di birra craft e l’attenzione a bere quello che è prodotto vicino piuttosto che dall’altra parte del Paese sono punti che condivido molto, e che ancora una volta fanno risultare l’estrema provincialità del nostro (Bel) Paese in confronto. Arriveremo mai a tanto?
E birre artigianali italiane si trovano a newyork? Qualcuno conosce importatori e distributori delle birre nostrane?