Se avete una buona memoria (e siete lettori assidui di Cronache di Birra) ricorderete che la scorsa estate vi illustrai tutti i settori soggetti all’invasione delle multinazionali della birra. In questi anni l’industria non sta semplicemente acquistando birrifici artigianali in tutto il mondo, ma anche penetrando dei segmenti collaterali al fine di ottenere un controllo pressoché totale del mercato. Così ad esempio abbiamo appurato come stiano attaccando anche la distribuzione, l’approvvigionamento delle materie prime, l’homebrewing e il fenomeno dei concorsi birrari. Tra le operazioni più clamorose accadute di recente è da annoverare l’acquisizione da parte di AB Inbev di alcune quote di Ratebeer, il famoso sito di rating che molti di voi sicuramente conosceranno. Questa vicenda alimentò uno strascico polemico non indifferente, che evidentemente sta producendo effetti negativi anche a distanza di mesi. Non è un caso che qualche settimana fa i vertici dell’azienda abbiano deciso di annullare il loro consueto festival annuale.
Facciamo un passo indietro. All’inizio di giugno 2017 – e con immenso ritardo rispetto alla ratifica degli atti – fu annunciata la cessione di parte di Ratebeer alla più grande multinazionale birraria del mondo, cioè AB Inbev. La folta comunità orbitante intorno al sito fu colta di sorpresa e rimase profondamente colpita, criticando aspramente nella maggior parte dei casi la scelta compiuta. Il polverone però era solo la punta dell’iceberg, perché di lì a poco un gran numero di birrifici craft cominciarono a scagliarsi contro Ratebeer, chiedendo di essere rimossi dal portale (insieme a tutti i voti ricevuti) a causa del subentrato conflitto d’interessi. Tra i maggiori detrattori dell’operazione ci fu un certo Sam Calagione, fondatore di Dogfish Head e probabilmente una delle figure più influenti in assoluto nel panorama brassicolo americano.
La polemica proseguì per diverso tempo, con i birrifici che trovarono modi curiosi di boicottare la piattaforma. Il trambusto calò con il passare delle settimane, ma evidentemente Ratebeer aveva ormai perso la sua innocenza agli occhi della comunità brassicola nazionale (e internazionale). La conferma, come accennato, è arrivata proprio negli scorsi giorni con la decisione di cancellare l’edizione 2018 del Ratebeer Best, festival organizzato nella città californiana di Santa Rosa e legato ai premi e alle classifiche stilate annualmente dal sito di rating. La scelta appare eclatante se consideriamo l’impatto delle precedenti edizioni: parliamo di un indotto di 2 milioni di dollari nel 2017 (molti dei quali devoluti in beneficenza), di un hype impressionante (utenti in fila per ore in attesa di entrare) e di un’importante ricaduta economica per tutta una serie di attività commerciali della zona, come quelle ricettive e gastronomiche.
Insomma, pur di evitare ulteriori polemiche e defezioni fragorose tra i birrifici, i vertici di Ratebeer hanno preferito cancellare un’iniziativa di successo e attendere tempi migliori. Le tradizionali classifiche sono state pubblicate comunque – accompagnate, da quello che ho percepito personalmente, da un’attesa decisamente inferiore rispetto al passato – ma in rifermento al festival si è preferito passare la mano. Joe Tucker, direttore esecutivo di Ratebeer, non ha nascosto che la scelta è stata compiuta proprio per evitare ulteriori discussioni e che sta seriamente pensando di spostare la manifestazione in Europa.
Come riporta SF Gate, la cancellazione del Ratebeer Best preoccupa soprattutto i commercianti di Santa Rosa e in particolare quelli legati alla ristorazione e all’ospitalità, a cui il festival negli anni passati aveva garantito un buon giro d’affari in un periodo (gennaio) piuttosto piatto. Per sopperire a questa mancanza, l’ente del turismo locale sta addirittura pensando di organizzare un evento birrario in autonomia, ma difficilmente sarà realizzabile o comunque capace di replicare i successi dell’iniziativa di Ratebeer.
Molti appassionati di birra artigianale leggeranno nell’intera vicenda una dolce morale: se decidi di vendere all’industria, sappi che non sempre otterrai vantaggi per la tua azienda. Il caso di Ratebeer è emblematico perché avvenuto molto rapidamente: la cessione delle quote ad Ab Inbev ha alimentato l’ostilità della comunità birraria, costringendo l’azienda a cancellare addirittura il suo importante festival. L’opposizione della comunità della birra craft ha permesso che un evento di grandissimo successo, capace di richiamare appassionati da tutto il mondo, fosse eliminato dal calendario del 2018 per timore di ulteriori ritorsioni. Un episodio di causa-effetto che apparentemente restituisce agli appassionati un potere enorme sulle possibilità di difesa del loro ambiente.
Se però pensate che una simile vicenda possa applicarsi anche al mondo della produzione della birra, beh sappiate che non è così facile. Probabilmente tra qualche anno scopriremo che i birrifici craft che hanno venduto all’industria si sono bruciati una fetta consistente di clientela, e per di più decisiva per i propri destini. Al momento però non possiamo che sottolineare la differenza tra il pubblico di Ratebeer e quello dei produttori di birra artigianale: nel primo caso, nonostante gli utenti siano milioni, lo zoccolo duro è costituito da molti beer geek decisamente sensibili alle questioni di indipendenza; nel secondo, invece, il grosso della clientela è composto da bevitori profani, assolutamente all’oscuro delle dinamiche del mercato. A giocare un ruolo importante è semmai la comunità dei birrai, che negli USA solitamente non si fa problemi a prendere delle posizioni chiare, compatte e, soprattutto, uniformi.
Per concludere vale la pena porsi un’ultima domanda: la scelta di annullare il Ratebeer Best è stata compiuta autonomamente da Tucker o imposta da AB Inbev? Lascio a voi il compito di trovare la risposta.