Era l’aprile del 2011 quando su queste pagine ci occupammo della spinosa questione Birra Triscele e della drammatica situazione dei suoi 42 dipendenti. All’epoca l’azienda era infatti in odore di chiusura e i lavoratori stavano vivendo ogni giorno con il rischio di ritrovarsi improvvisamente senza un impiego. Nonostante le dichiarazioni caute dell’amministratore unico, Birra Triscele chiuse di lì a poco, ma per fortuna dalle ceneri dell’azienda partì una bella storia di riscatto sociale e imprenditoriale. Così oggi possiamo assistere al debutto della Birra dello Stretto, nata da una cooperativa formata dagli ex dipendenti di Birra Triscele.
Quella di Birra Triscele è stata una storia travagliata e piena di colpi di scena, strettamente legata a uno dei marchi storici del passato brassicolo d’Italia: Birra Messina. Birra Messina fu fondata nel 1923 dalla famiglia Lo Presti – Faranda e acquistò una certa importanza sul mercato nazionale, finché, negli anni ’70, non cominciò a soffrire la concorrenza di altre birre italiane e straniere. Nel 1988 fu acquistata da Heineken che mantenne il nome Birra Messina, ma spostò gradualmente la produzione altrove (soprattutto in Puglia). Le scelte della multinazionale depauperarono lo stabilimento di Messina, oltre a portarle rogne con l’antitrust (ma questa è un’altra storia).
Nel 2007 ormai lo stabilimento originario di Birra Messina non era più interessante per Heineken, che ne annunciò la chiusura, condannando i dipendenti a un futuro quantomai oscuro. Pochi mesi dopo però tornò in gioco la famiglia Faranda, che riacquistò lo stabilimento e cominciò una nuova avventura battezzata Birra Triscele (il marchio Birra Messina rimase di proprietà di Heineken). Il resto è storia recente: il marchio Birra Triscele non è mai decollato e nel 2011 è arrivata la chiusura dell’azienda.
E qui comincia la storia di Birra dello Stretto. Gli oltre 40 dipendenti di Birra Triscele cercarono una soluzione a un futuro che per loro ormai sembrava segnato. Dopo un anno di vertenza e di presidio fisso accanto all’ex stabilimento, 15 dei quaranta lavoratori decisero di intraprendere una strada diversa: investirono tfr, indennità di mobilità e risparmi di una vita per continuare a produrre birra fondando la cooperativa Birrificio Messina.
L’iniziativa colpì i messinesi e le amministrazioni locali: i primi donarono circa 60.000 euro per finanziare l’idea, mentre la Regione Sicilia fornì due capannoni abbandonati nell’area Asi. Inoltre, in tempi più recenti, la cooperativa ha potuto godere del fondo microcredito istituito dal Movimento 5 Stelle con una parte degli stipendi dei suoi deputati. Grazie a questi aiuti, “i Quindici” hanno potuto trasformare un semplice sogno in realtà .
I lavori presso i capannoni della cooperativa sono durati un paio di anni e vi hanno partecipato tutti i protagonisti di questa vicenda, ognuno con le proprie competenze. Ora la Birra dello Stretto è pronta a invadere il mercato e la speranza è che l’impresa riesca a decollare. E sì, perché quella che stiamo raccontano oggi non è una storia a lieto fine, poiché ancora tutta da scrivere. Ma già che si possa scrivere è un grande successo.
Le birre prodotte saranno inizialmente quattro. La Birra dello Stretto sarà presumibilmente una Lager base, mentre più particolari saranno la Doc 15 (definita “luppolata”) e la Cruda Doc 15 (evidentemente non pastorizzata). La quarta invece sarà decisa dai messinesi attraverso il concorso di idee La Birra della tua Terra, lanciato dall’associazione Terra Nostra. In tutti i casi dovrebbero essere basse fermentazioni.
La speranza è che i prodotti di Birra dello Stretto siano in grado di garantire un sufficiente livello qualitativo, altrimenti per “i Quindici” sarà difficile emergere in un mercato ben diverso da quello in cui è abituata a operare una multinazionale. Nel frattempo c’è una bella storia da raccontare: il docufilm (pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno) sarà proiettato nei prossimi giorni durante l’Expo di Milano. Eccolo qui: