L’ultima edizione del Great British Beer Festival ha offerto come sempre ottima birra (oltre 900 prodotti se si conta anche il sidro) e interessanti spunti di riflessione sul mercato britannico.
L’evento si è confermato un grande successo di pubblico, giovane e non, chiudendo con un totale di circa 55.000 visitatori. Il filo conduttore quest’anno è stato la “scoperta”: la scoperta delle campagne per cui si batte il CAMRA, della real ale, di nuovi stili o di nuove birre. Senza dubbio l’obiettivo principale è stato quello di attirare il pubblico giovane per svecchiare un po’ l’immagine del CAMRA, e devo dire che di ragazzi ne ho visti parecchi. Come sempre, anche i nomi degli stand erano a tema (Apollo, Magellan, James Cook…).
Sulla scia della “scoperta” come filo conduttore, i tre percorsi guida indicati sulla mappa del festival (rich & exotic, fresh & surprising, dark & misterious) hanno rappresentato un’interessante novità. I percorsi raggruppavano bene o male tutti i tradizionali stili britannici e sono stati pensati per aiutare chi sa poco e nulla di stili birrari nella scelta delle birre da bere. Non mi sono personalmente avventurato nel seguirli, ma devo dire che l’idea mi è sembrata aver funzionato bene coi neofiti.
Ho notato con piacere un certo interesse verso la “scoperta” anche nelle misure delle consumazioni. La gente pare ora prediligere assaggi da mezza o da un terzo di pinta (piuttosto che da pinta intera), con lo scopo di provare più birre senza necessariamente finire la giornata all’ospedale 🙂 . La mia impressione è stata confermata dallo stesso ufficio stampa del CAMRA, il quale ha annunciato che nell’ultimo anno circa il 34% dei partecipanti ai real ale festival ha scelto all’entrata il bicchiere da mezza pinta, mentre il 26% addirittura quello da un terzo.
Ma passiamo agli assaggi. Tra i più interessanti devo citare la Pentonville Oyster Stout di Hammerton. Ha un finale secco che ricorda molto una dry stout, un buon corpo, piacevoli sentori di olive nere; le note derivanti dalle ostriche (utilizzate nel processo produttivo) rimangono sullo sfondo e non sono particolarmente invasive. Rimanendo tra le scure devo citare la Smokeless di Redwillow: un’ottima stout da 5.7% dove l’affumicato è ben bilanciato da sentori di caffè e vaniglia. È sicuramente una birra coraggiosa e fuori dal coro, poiché l’affumicato non è molto comune tra le birre tradizionali britanniche.
La regione attorno a Manchester conferma di essere in gran forma: la Paddok Wood di Hydes è una bitter dal bel colore ramato, interessanti note di caramello e frutta rossa, più una bella dose di sentori sulfurei (accettabili per questo stile). In quanto ad una tradizionale golden ale, la Aureole di Ascot mi è sembrata uno splendido esemplare dello stile, con sentori agrumati di arancia amara e pompelmo, ben luppolata, rotonda, e con caratteristiche note di crosta di pane. Finisco la breve lista con la Skull Splitter di Orkney Brewery, quest’anno la più alcolica tra tutte le real ales (8.5%): un’ottima ambasciatrice delle strong ale britanniche all’estero – si trova facilmente in Italia.
Due parole sulla presenza italiana, di cui gli organizzatori del festival sembrano cominciare a riconoscere l’importanza. Alessandro Meroni, da dietro al bancone delle birre tricolori, mi dice che l’Italia è finalmente menzionata, per la prima volta, sul nome dello stand: “Belgian, Dutch & Italian”. Un bel traguardo direi, a cui va aggiunto l’aumento nel numero dei birrifici nostrani (diciassette) e la presenza delle rispettive birre alla spina. Congratulazioni a tutto il team italiano al GBBF, capace di mostrare una crescita costante.
Chi di voi ha partecipato al GBBF? Quali assaggi si sono rivelati meritevoli di menzione?
I sentori di olive nere erano così piacevoli? Sicuro che non si trattasse di salamoia 🙂 ?
ahaha, immagino non siano tanti gli estimatori del sentore ‘oliva nera’ 😉