Le recenti vicissitudini sulla vicenda delle Italian Grape Ale hanno riacceso i riflettori sul BJCP, il Beer Judge Certification Program, che spesso citiamo negli articoli di Cronache di Birra e non solo. Tra battute e polemiche è nuovamente emerso, con estrema chiarezza, come a questa organizzazione, fondata nel 1985 da una costola della American Homebrewers Association, vengano spesso attribuiti poteri e ruoli ben oltre quelli che la stessa organizzazione ha inserito nel proprio statuto. Gli obiettivi pratici dell’associazione sono infatti principalmente due: formare e certificare giudici e fornire un framework di lavoro strutturato per i concorsi birrari. In particolare, ma non unicamente, per i concorsi di birra fatta in casa.
Nel 1995 il BJCP è diventata un’organizzazione indipendente, non più controllata dalla AHA. Ad oggi conta più di 7.500 giudici attivi in 60 nazioni del mondo, certificati attraverso un sistema di esami e un punteggio guadagnato partecipando nelle giurie di concorsi certificati BJCP in tutto il mondo. Le linee guida sugli stili pubblicate dall’organizzazione sono diventate un riferimento ben oltre lo scopo iniziale, il quale, come recita l’introduzione del documento (ultime tre righe di pagina IV), è quello di fornire linee guida ai giudici per la valutazione delle birre (ma anche sidro e idromele) nei concorsi per homebrewer. Oggi vorrei provare e sviscerare le ragioni per cui questa organizzazione è stata, ed è ancora, così importante proprio per il movimento dei birrai casalinghi.
Riferimento tecnico e dettagliato per gli stili
Quando si inizia a fare birra in casa, si naviga nel buio. Non tanto le prime volte, guidate dalle istruzioni dei famosi “kit per fare birra in casa”, ma nel momento in cui si decide di iniziare a creare le proprie ricette. Voglio produrre una Bitter. Mi piacerebbe fare una Saison in casa. Adoro le Tripel. Facile a dirsi, difficile trasformare i pensieri in azione. Come vengono prodotte queste birre? Quali sono gli ingredienti tipici? Quali le caratteristiche organolettiche che il lievito modella durante la fermentazione? Difficile mettere mano al pentolone se qualcuno non ci guida tra le centinaia di scelte possibili in termini di ingredienti, processo di produzione e sottocategorie dei vari stili. Il BJCP, sebbene sia nato, come abbiamo detto, con lo scopo di supportare i giudici durante la valutazione delle birre in un concorso, va ben oltre lo scopo. Per rendersene conto è sufficiente confrontare le linee guida del BJCP con altri documenti, altrettanto autorevoli, che possiamo trovare in rete.
Prendiamo ad esempio la guida degli stili della Brewers Association, l’associazione dei birrifici artigianali americana. Mettiamo di voler produrre una Extra Special Bitter inglese. Oltre alle caratterizzazioni numeriche, sicuramente utili, come densità iniziale, grado alcolico, amaro, non troviamo molto altro in queste autorevoli linee guida. Non riusciamo in alcun modo a farci nemmeno una vaga idea degli ingredienti necessari, né tantomeno dell’aroma da ricercare in una Extra Special Bitter: “Perceived Malt Aroma & Flavor: Medium to medium-high”. Fine, tutto qui. Siamo ben lontani da un utilizzo anche lontanamente pratico di queste linee guida nella produzione casalinga di birra.
Visto che siamo nell’ambito degli stili inglesi, andiamo a spulciare le linee guida rilasciate dal CAMRA, l’associazione inglese dei consumatori e sostenitori delle Reale Ale. Meno dati tecnici rispetto alle linee guida della BA (e, ovviamente, solo stili inglesi), ma una descrizione organolettica più dettagliata e precisa, grazie alla quale riusciamo a farci almeno una vaga idea dall’aroma della birra: aroma di malto di media intensità (non si sa quale, però, di malto non ne esiste uno solo); note luppolate terrose, speziate e fruttate; esteri da lievito possibili, spesso ricordano la pera. Meglio di prima, ma anche con queste ci facciamo poco.
Recentemente anche l’Unione Europea dei Consumatori di Birra (EBCU) ha rilasciato le proprie linee guida, con uno sforzo di sistematizzazione non indifferente. Cercando tra le birre inglesi, troviamo qualche sorpresa positiva. Ci racconta un po’ di storia, interessante ma poco utile per produrre birra in casa, ma accenna anche agli ingredienti tipici: malti Pale e Crystal inglesi, cita anche i nomi dei luppoli inglesi tipicamente usati (Fuggles e Goldings), accenna a un lievito inglese. Pochi i dati tecnici, ma un piccolo passo avanti lo abbiamo fatto.
Proviamo ora a spulciare la descrizione dello stile Strong Bitter (11C) nelle linee guida BJCP del 2021. Tutto un altro film. Troviamo riferimenti numerici ben precisi, ma non solo. Il profilo organolettico della birra è diviso tra Aroma, Aspetto, Flavour e Mouthfeel. Ogni paragrafo è ricchissimo di informazioni, specifiche e dettagliate. Ci racconta un po’ di storia, sempre poco utile dal punto di vista pratico, ma interessante. E non finisce qui. Troviamo uno specifico paragrafo sugli ingredienti tipicamente utilizzati, che scende nel dettaglio trattando le tipologie di malti, il lievito, i luppoli e persino l’acqua:
Pale ale, amber, or crystal malts, may use a touch of black malt for color adjustment. May use sugar adjuncts, corn or wheat. English finishing hops are most traditional, but any hops are fair game; if American hops are used, a light touch is required. Characterful British yeast. Burton versions use medium to high sulfate water, which can increase the perception of dryness and add a minerally or sulfury aroma and flavor.
Un patrimonio di informazioni inestimabili per l’homebrewer, che da queste descrizioni riesce a farsi un’idea piuttosto strutturata della ricetta. Il paragrafo “Style Comparison” ci aiuta a capire in che modo una Strong Bitter si differenzi dalla versione “Ordinary” o “Special” della stessa birra, o come le differenze da una American Pale Ale giochino un ruolo fondamentale. Infine, ma non meno importante: vogliamo assaggiare un esempio tipico dello stile per farci un’idea più precisa? Andiamo al paragrafo “Classic Examples”.
Dal mio modesto punto di vista, il BJCP è un patrimonio informativo che va ben oltre il semplice utilizzo delle linee guida nella fase di valutazione della birra. Anche considerando alcune “forzature” e qualche errore a volte anche “grossolano” nella categorizzazione degli stili (possiamo perdonarli, visto l’immenso lavoro che c’è dietro), un documento del genere è davvero un punto di riferimento solido per l’homebrewer.
Sistema strutturato di valutazione e feedback
Il lavoro del BJCP non si esaurisce però nella redazione delle linee guida sugli stili. L’obiettivo, come già detto più volte, è quello di supportare i giudici nel fornire una valutazione il più possibile dettagliata, oggettiva e strutturata delle birre iscritte a un concorso. E qui secondo me si evidenzia la netta differenza con altri sistemi o schemi di valutazione, quasi sempre rivolti ai concorsi cosiddetti “pro” a cui partecipano le birre prodotte da birrifici e birrai professionisti. In un ambito del genere, il birraio non cerca consigli su come migliorare la propria birra, non gli interessa nemmeno avere una descrizione organolettica accurata: l’obiettivo è piazzarsi, ottenere un riconoscimento ufficiale, un bollino da mettere in etichetta per far conoscere al mondo le proprie birre. Non sto dicendo che questo atteggiamento sia in qualche modo sbagliato, strumentale o superficiale: sono gare tra aziende che vendono prodotti, è giusto che sia così. Nei concorsi casalinghi, però, la questione è ben diversa.
Chiaro che anche agli homebrewer piace vincere una gara e farsi conoscere, è normale e anche sano, ma non si mandano le birre ai concorsi amatoriali solo per questo. O meglio, non è così nel caso della maggior parte dei produttori casalinghi che partecipano a queste competizioni. Spesso si ricerca invece proprio il parere di una persona più esperta sulla propria birra, un consiglio che può riguardare il bilanciamento della ricetta, l’aderenza allo stile, il processo produttivo. A molti fa piacere anche ricevere una descrizione organolettica della propria birra, per capire se hanno centrato l’obiettivo di stile o semplicemente per confermare le proprie impressioni. L’individuazione dei difetti è anche molto importante, per dare un nome specifico a quella puzzetta che sentivi o addirittura cogliere una deriva aromatica che ti era completamente sfuggita. Il voto numerico è importante, ma nei concorsi per produttori casalinghi è solo una parte della valutazione globale. Gli homebrewer cercano giudici attenti, competenti, che sappiano costruire un feedback articolato e strutturato. Cercano persone che perdano del tempo ad assaggiare la loro birra e a compilare le schede, fornendo un parere che li aiuti a migliorare.
Per queste ragioni la scheda di valutazione ideata dal BJCP, il famoso Beer Scoresheet, è così dettagliata. Alcuni giudici, abituati ai concorsi pro, che come detto hanno ben altri – legittimi – obiettivi, storcono il naso nel dover compilare tutti quei campi. Ma nei concorsi casalinghi è importante dare un feedback strutturato: descrivere aroma, aspetto, flavour, mouthfeel; evidenziare i difetti; dare un parere complessivo sulla birra e suggerimenti per migliorarla; esprimere un voto numerico che rispetti range ben specifici di valutazione; dare un parere anche “intangibile” sulla birra bevuta. Complicato? Sì. Impegnativo per il giudice? Sì. Tempo perso? No!
Garantisce un minimo di competenza da parte dei giudici
Lo scopo principale del BJCP è la formazione continua dei giudici. In particolare, dei giudici per i concorsi di birra fatta in casa. Entrambi questi aspetti sono di fondamentale importanza sia per chi organizza concorsi, che spesso fatica a trovare persone competenti in grado di fornire un feedback strutturato sulle birre in gara, sia per gli homebrewer, che troppo spesso si ritrovano schede delle birre inviate ai concorsi compilate male, svogliatamente, con indicazioni sommarie e non di rado completamente errate. Questo non significa necessariamente che tutti i giudici BJCP siano automaticamente bravi e competenti, e nemmeno che chi non è BJCP non lo sia. Assolutamente. Però, l’aver passato almeno i primi due esami che il BJCP richiede per diventare un giudice con il primo dei rank (Recognized), garantisce che la persona in questione abbia per lo meno provato a mettere un po’ di impegno nello studio e nell’assaggio della birra. Il resto ovviamente lo fanno l’esperienza e la voglia che ciascuno ha di imparare, ma una prima scrematura viene fatta dal BJCP stesso.
Anche perché, per fornire un buon feedback all’homebrewer di turno attraverso l’assaggio e la compilazione accurata di una scheda, non è sufficiente conoscere la birra, o farla. Ho visto tantissime schede compilate da birrai super competenti e bravi, che però erano povere di informazioni e poco utili per l’homebrewer. Altre volte ho visto persone chiamate “a caso” a formare la giuria, sulla fiducia, magari con un po’ di esperienza qui e là o con altisonanti titoli inventati di sana pianta, ma completamente inadatte allo scopo. Chiamare giudici certificati BJCP può aiutare a mettere insieme una giuria con un certo livello base garantito. Anche se, come già detto, il solo superamento dell’esame BJCP non è che rappresenti in sé una garanzia assoluta. Poi c’è anche chi si spaccia per giudice BJCP e non lo è, ma qui entrano in gioco altre dinamiche che non voglio nemmeno prendere in considerazione.
I rank del giudice BJCP sono fondamentalmente quattro: Recognized, che si ottiene passando l’esame online (Beer Entrance Exam: un test a risposta multipla con 180 domande da compilare in 60 minuti) e il Tasting Exam, ovvero l’esame di assaggio (sei birre, con compilazione delle schede in un’ora e mezza). Per passare il Tasting Exam è sufficiente un voto pari a 60/100, quindi lo si può passare piuttosto facilmente se si accetta un voto relativamente basso. 70 inizia a diventare impegnativo; 80 abbastanza difficile, sopra 80 decisamente impegnativo e oltre 90 quasi impossibile. Il secondo livello del ranking è Certified, ci si arriva avendo preso almeno 70 al Tasting Exam e dopo aver acquisito almeno 5 punti esperienza. I punti esperienza si guadagnano principalmente facendo il giudice ai concorsi, 1 o al massimo 2 punti per concorso. Il rank del giudice è un’informazione a disposizione di chi organizza i concorsi, che può farsi un’idea di massima sull’esperienza del giudice che sta convocando. Il livello successivo è il National, che richiede di passare un altro esame, stavolta scritto e nozionistico (il Written Exam), abbastanza complesso e probabilmente anche troppo complicato. Per diventare National bisogna aver superato il Tasting Exam e il Written Exam con un voto medio di almeno 80 punti, e aver guadagnato almeno 20 punti esperienza. Se di suo il Written Exam è nozionistico e non aggiunge forse molto alle abilità descrittive e percettive del giudice sulle birre che assaggia, sicuramente richiede al giudice di studiare molto di più, lo spinge a fare più esperienza nei concorsi e sancisce che è andato mediamente molto bene anche al Tasting Exam, che richiede invece buone abilità percettive. Oltre il National ci sono i rank Master e Grand Master, che richiedono molta più esperienza e anche la partecipazione ad altre attività dell’organizzazione.
Detta così sembra un gioco di ruolo, ma a mio avviso questo sistema ha due grandi vantaggi: in primis, le regole tipo “gioco” stimolano i giudici a continuare a studiare e fare esperienza nelle giurie, che gli vengono riconosciute in termini di punteggio e avanzamento nel ranking; in secondo luogo, chi convoca i giudici ai concorsi può farsi un’idea di massima sul giudice anche senza conoscerlo. Non è un sistema preciso al 100%, ma è già qualcosa. Sempre nell’obiettivo di fornire all’homebrewer un “servizio” di giuria il più competente e strutturato possibile.
Non è la bibbia ed è tutt’altro che perfetto
Ovviamente il BJCP ha anche dei difetti, e non pochi. È un’organizzazione che funziona ed evolve con una lentezza disarmante. Per ricevere i risultati degli esami ci vogliono mesi, a volte anche più di sei. Organizzare gli esami spesso è un’odissea, proprio a causa delle ferree regole che l’organizzatore deve seguire. Le linee guida vengono aggiornate con frequenza lentissima (diversi anni, anche oltre 5) e contengono diverse incongruenze che faticano ad essere sanate nelle successive edizioni. Il Written Exam è eccessivamente mnemonico e non aggiunge in realtà molto alle abilità percettive del giudice. La struttura a “ranking” e a punteggi fa storcere il naso a molti, che lo vedono più come un gioco. Il Tasting Exam non è particolarmente difficile da passare con un voto di 60 (parafrasando i Prophilax “A 37 anni ho fatto la maturità. Ho preso un bel 60 ma che cazzo devo fa’”), il che mette a volte in giro dei giudici BJCP con livello Recognized praticamente senza esperienza e con discutibili competenze, ma per mia esperienza personale questa è l’eccezione e non la norma.
Insomma, c’è sicuramente molto da migliorare nell’ambito dell’organizzazione, questo è indubbio. Tuttavia fino ad oggi, a mio parere, il BJCP ha contribuito moltissimo alla crescita del movimento degli homebrewer nel mondo, ma non solo: come le recenti discussioni sul fenomeno IGA hanno ben evidenziato, l’influenza del BJCP è andata ben oltre il mondo della birra fatta in casa.
C’è anche la serietà di chi giudica…a tutti piace mettersi in cattedra e parlare, non tutti possono permetterselo, chi lo fa senza obbiettività fa danno al comparto
Che ben vengano giudici qualificati… c’è bisogno di strutture BJCP, c’è bisogno di Serietà