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Prosciutto e birra: varietà e proposte di abbinamento

L’antica perna dei Romani è una delle parti più importanti del maiale, “l’animale enciclopedico”. Nome scientifico: sus domesticus; caratteristiche: simpatico, quieto, dalla mastodontica resa energetica; segni particolari: simbolo indiscutibile della ghiottoneria. Il grasso è certamente il suo tratto distintivo, ma l’utilizzabilità di ogni pezzo e lo scarso impegno per il suo nutrimento hanno parimenti rappresentato una straordinaria forma di “risparmio alimentare”: in un anno, lasciandolo pascere nelle aie o nei boschi e rifornendolo con gli scarti di lavorazioni agricole e preparazioni culinarie, sviluppava un quintale e mezzo di peso. Non è un caso se i salvadanai hanno la forma del maiale.

La sua carne fresca veniva consumata anche prima di essere domesticato (8.000 anni fa), momento nel quale è nata la norcineria. Praticata già ai tempi degli Egizi e dei Greci, conobbe miglioramenti significativi dopo l’anno Mille: con le invasioni barbariche, la crescita di conoscenza specifica e l’incremento della popolazione, il maiale divenne una delle principali fonti nutrizionali. È tra gli animali che hanno pagato le maggiori conseguenze della cosiddetta “rivoluzione verde”, ma attualmente si registra un aumento dei fattori che allevano razze locali con accortezza e rispetto: d’altronde solo i maiali felici possono dare carni buone e rendono sostenibile questa attività.

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Il prosciutto è un pezzo intero che si ottiene dalle zampe posteriori, va sezionato e lavorato attentamente, sottoposto a salagione e stagionatura in ambienti idonei: quest’ultima permette l’armonizzazione complessiva degli aromi e una lenta degradazione delle molecole complesse (che consentono al prosciutto di mettere in mostra le sue note aromatiche uniche). Già gli Etruschi ne conoscevano la tecnica, poi ripresa dai Romani e diffusa particolarmente in area iberica e italica. Vista la perfetta adattabilità alla stagione calda e le sue numerose possibilità gastronomiche (solo o come ingrediente), abbiamo pensato a qualche suggestione sul tema, con immancabili abbinamenti brassicoli.

Norcia IGP 24 mesi

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Cominciamo con un Norcia IGP con 24 mesi di stagionatura, tipico della tradizione umbra. Si esprime con toni lievemente speziati e riconoscimenti proteolitici (frutto della degradazione proteica), che danno riconoscibilità. Ottimo l’equilibrio magro/grasso e texture tenace. In bocca, lunga sapidità e tocco rustico che conferisce personalità.

Gli abbiniamo una Helles, in versione Zwickel, leggermente più alcolica e “ruvida”: sfruttiamo l’attacco maltato e abboccato, per andare incontro ai toni sapidi, il buon corpo per sostenere la consistenza e la carbonica per ripulire la bocca dai residui lipidici.

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Saint Marcel 24 mesi

Proseguiamo con il valdostano Saint Marcel, sempre con 24 mesi di stagionatura, durante la quale si aggiungono erbe di montagna. Che ritroviamo al naso, assieme a profumi e consistenza da capocollo; in bocca è asciutto e sapido, succoso, di carattere e persistente, con una retrolfattiva che riprende le erbe del trattamento, lasciando una fresca sensazione balsamica.

Gli abbiniamo una Bière de Garde ambrata: toni maltati, asciuttezza, discreta persistenza e grado alcolico sostenuto permetteranno ai profumi del prosciutto di trovare l’opportuna base per esprimersi al meglio, asciugandone finemente la succulenza.

Bassiano affumicato 24 mesi

Terzo prosciutto, Bassiano nella versione affumicata, con 24 mesi di stagionatura. Tipico dell’omonimo comune in provincia di Latina, si può trovare anche non smoked. La nota fumé è apprezzabilmente eterea e valorizza l’insieme olfattivo, in cui si percepiscono anche fieno cotto, erbe, pepe. Un crudo che vive di flautati equilibri boccali: tra grasso e magro, tra dolce e salato, con un lieve e piacevole sbilanciamento verso quest’ultimo; l’affumicato svanisce come in un’elegante dissolvenza.

L’abbinamento è con una Old Ale, con alcol al 7-8% e massimo un paio d’anni d’invecchiamento, per disporre di una quantità sufficiente di zuccheri che tamponi l’affumicato e favorisca il dialogo con la parte sapida. Il pari livello di personalità e le note ossidative e di frutta matura faranno il resto.

Jamon de bellota

Lo Jamon de bellota si ricava da suino iberico a conduzione semi-brada, alimentato soprattutto a ghiande e stagionato 36 mesi: solo se il maiale da cui proviene è un “incrocio puro” viene marchiato come Pata negra. Frutta secca e note proteolitiche al naso; in bocca si compone di grassezza e dolcezza, ha profondità gustativa, sapidità suadente, succulenza, eleganza da vendere.

Lo abbiniamo a una Oud Bruin scelta tra quelle più alcoliche: base maltata solida, note di prugna, spessore caratteriale, ossidazioni, lieve acidità e generosità della carbonica produrranno un incontro straordinario, dalla costante rincorsa gustativa.

Culatello di Zibello

L’ultimo della lista è uno regale prosciutto sui generis, il Culatello di Zibello del Presidio Slow Food: di origini antichissime, tipico della provincia di Parma, viene prodotto con la parte più pregiata della coscia, la noce, bagnato nel vino e gode di almeno 18 mesi di stagionatura. E’ un tripudio di soavi equilibri, tra riguardose dolcezze e fini sapidità, note di frutta secca, nocciola, mielato, nuance vinose, proteolitico e foglie da tè, con grasso profumato e scioglievole.

Per l’abbinamento optiamo per una Doppelbock, scelta tra quelle meno scure e non particolarmente dolci. Potrebbe sembrare un ossimoro gastronomico, finezza contro possanza, raffinatezza contro generosità, eppure, in qualche modo, instaurano un proficuo dialogo che genera una briosa speziatura e deterge la bocca con gran senso di soddisfazione.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è sommelier, scrittore, divulgatore birro-gastronomico e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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