La scorsa settimana i più importanti blog birrari del mondo si sono occupati di un tema molto interessante, quello cioè dell’innovazione nel settore birrario. L’argomento è stato sollevato da Ron Pattison sul suo Shut up about Barclay Perkins, dove si è scagliato senza mezzi termini nei confronti del concetto di innovazione connesso alla birra. Questi alcuni passaggi tratti dal suo post:
Non voglio birre innovative. Voglio birre piacevoli e rinfrescanti. […] Birre che siano una gioia da bere piuttosto che un esercizio di resistenza. Non voglio pensare cose come “Oh che abile birraio, come sarà riuscito ad aggiungere quel delicato aroma di albicocca alla sua Pale Ale?”. […] Voglio qualcosa da bere, qualcosa che elevi il mio spirito e che mi riempia il cuore. […] Non è così difficile.
Da questo presupposto è nato un dibattito sul concetto di innovazione, che ha coinvolto alcuni tra i personaggi più conosciuti del panorama internazionale. Rapidamente l’opinione di Pattison è stata integrata con ragionamenti più ampli, che hanno coinvolto il significato stesso di innovazione nel settore birrario. E la discussione è stata alimentata ulteriormente dalla notizia dell’ultima birra di Brewdog, la Nuclear Tactical Penguin, che ha offerto nuovi spunti per il dibattito.
Partiamo allora dalla nuova creazione del birrificio scozzese, che è stata annunciata con un video esilarante che ne rivela la caratteristica principale: essere la birra più alcolica del mondo. La Penguin infatti misurerà 32% vol. grazie a un processo produttivo particolare. La base è infatti un’Imperial Stout, che dopo un affinamento di 16 mesi in cask di whisky (divisi equamente tra Arran e Islay), viene lasciata riposare per tre settimane alla temperatura di -20° C. Questo trattamento causa il congelamento dell’acqua, permettendo invece all’alcol di rimanere allo stato liquido; eliminando di volta in volta il ghiaccio, si otterrà una bevanda con una sempre maggiore concentrazione di alcol.
Il birrificio ha posto grande enfasi sull’innovazione alla base di questa tecnica birriaria, ma molti appassionati si sono trovati in disaccordo. Il processo infatti trae decisamente ispirazione dalle Eisbock, che vengono realizzate proprio basandosi sullo stesso principio – il suffisso eis- significa infatti ghiaccio. Oltre alla mancanza di originalità, in molti hanno quindi chiamato in causa la Penguin per dimostrare come il concetto di innovazione connesso alla birra sia spesso fuorviante.
Ma allora cosa può essere definito innovativo? Probabilmente è più facile decidere cosa non lo sia. A mio parere, ad esempio non è innovativo l’impiego di ingredienti “strani” nella produzione brassicola. Usare una particolarissima radice, o una spezia esotica, o un ingrediente che in teoria niente ha a che fare con la birra, non significa innovare. Più verosimilmente è sperimentare, ma le due cose non sempre vanno a braccetto. E’ innovativa l’idea che effettivamente offre un qualcosa di nuovo, in modo efficiente, riproducibile e con dei vantaggi per i produttori e/o i consumatori. Aggiungere a una birra i chicchi del caffè più raro del mondo (ogni riferimento è puramente casuale 😉 ) non ha niente a che vedere con questa definizione: è questo il concetto centrale del discorso di Pattison.
Diverso discorso meritano quelle soluzioni tecnologiche che permettono di rivoluzionare il processo brassicolo. Nella storia millenaria della bevanda le novità in questo senso non sono mancate: si possono citare in ordine sparso la pastorizzazione, l’impiego dei lieviti a bassa fermentazione, il densimetro, il termometro, e così via.
Queste innovazioni non solo hanno cambiato le tecniche produttive, ma hanno modificato persino la concezione tradizionale di birra. I Lambic e le Rauchbier oggi appaiono come specialità regionali, ma una volta erano “la birra” per definizione. Così come le Ale oggi sembrano prodotti di nicchia, rilegate a uno spazio sempre più risicato con l’emergere delle Lager industriali. Alcune innovazioni hanno permesso di offrire ai consumatori prodotti migliori, altre sono state usate solo per assecondare i principi del mercato di massa. Come sempre la bontà di uno strumento dipende da come si decide di impiegarlo.
Anche per quanto riguarda il servizio le innovazioni sono state diverse, tanto che oggi una birra può essere spillata tramite la tradizionale pompa inglese, oppure con l’ausilio della CO2, o ancora con carboazoto. Una delle più recenti innovazioni riguarda i cosidetti fusti “usa e getta”, che recentemente sono apparsi anche in Italia per le birre prodotte da Brewdog: tuttavia non sono sembrati lo strumento migliore per rimpiazzare i vecchi fusti di metallo.
Per concludere un quesito: le innovazioni birrarie possono essere introdotte dai microbirrifici artigianali? Mi spiego meglio: ripercorrendo la storia delle grandi novità tecnologiche, ci si rende conto di come esse siano strettamente legate alla produzione industriale. Difficile pensare infatti che dei piccoli produttori abbiano le capacità (o anche solo l’interesse) per scoprire soluzioni rivoluzionarie. Ecco, forse vale la pena distinguere le rivoluzioni dalle innovazioni, considerando queste ultime di una portata più limitata. In questo senso è possibile che alcuni microbirrifici abbiano idee interessanti, tali da poter definire una nuova via maestra per i rispettivi colleghi. E’ evidente che in riferimento a una simile accezione il confine tra innovazione e moda possa essere labile, ma penso non sia difficile distinguere i due concetti.
Ripercorrendo gli ultimi mesi, i produttori italiani più innovativi mi sono sembrati due. Il primo è il Birrificio Italiano, che con le sue Muse ha rispolverato e modificato la tecnica delle second runnings. Il secondo è il neonato Revelation Cat, che con le Woodwork Series ha cercato di verificare l’effetto di diversi legni nella maturazione di una birra “neutra” di partenza. Due idee interessanti, sebbene nel secondo caso siamo di fronte più a una sperimentazione che a una reale innovazione.
A livello internazionale, invece, l’innovazione a mio avviso più interessante è la riscoperta delle lattine come recipiente alternativo al vetro, possibile grazie alle nuove tecnologie produttive, tanto che diversi birrifici artigianali americani (e non solo) hanno deciso di puntare su questa soluzione.
E secondo voi, quali sono stati i più interessanti esempi di innovazione nell’arte brassicola? Quale innovazione vi aspettate per il mercato italiano?
da appassinato non ritengo birra ad una gradazione di 32 gradi! nemmeno a 16 ben inteso!
un innovazione ad esempio è il tankov della urquell, anche se non disponibile in Italia, l’urquell non pastorizzata è effettivamente molto meglio, rispetto la sfortunata sorella in bottiglia.
Anche Papazian ne parla qui
tra le innovazioni tecnologiche c’è la microfiltrazione…
forse la questione più delicata dalle nostre parti è: “la microfiltrazione applicata alla birra artigianale”.
be la microfiltrazione non lmi pare una cosa poi così innovativa anzi, nel resto dell’industria alimentare si chiama ultrafiltrazione ed è usata su alimenti fluidi di vario tipo, inoltre è un sistema che aiuta la durata dei prodotti ma ne condiziona fortemente il profilo organolettico
a dimenticavo in alcuni settori alimentari l’ultrafiltrazione è illegale 😀
@ Andrea: Ocio al congiuntivo nella citazione!
L’unica vera innovazione che mi aspetto è di poter trovare facilmente della birra artigianale alla spina sotto casa! Mi trovo in linea di massima d’accordo con Ron!
ops 😉
Suddividerei le innovazioni (o le novita’, o le riscoperte, ..) in tre categorie
1) commercializzazione/vendita
2) produzione
3) prodotto
Il fusto a perdere e la lattina e’ una innovazione (anzi una novita’) per il commercio artigianale ma non per il prodotto, anche se potrebbe avere sentori diversi.
L’introduzione di qualche diavoleria nell’impianto e’ una innovazione di produzione (che puo’ anche avere effetti sul prodotto), un lievito particolare coltivato sulla soyuz magari e’ innovativo per il prodotto.
Io per l’agroalimentare sono per la regressione e non per il progresso, preferisco il formaggio di fossa che il babibel nella cera rossa.
@ pistillone
si, ok, ma turco ha citato pastorizzazione, lieviti a bassa fermentazione, ecc ecc facendo un escursus storico…
di microfiltrazione nella birra artigianale se ne parla poco e forse, in certi casi, non si vuole parlarne… 😉 😀
Da qualche parte avevo letto che la Coors ha appena introdotto un nuovo tipo di carbonazione della birra (microcarbonazione) che, attraverso bolle di CO2 più piccole, secondo l’azienda consente di assaporare meglio luppolo e flavours prodotti dal lievito.
Mah…
@amarillo
Sulla tua ultima considerazione non sono pienamente d’accordo. Nel senso che il progresso non sempre è negativo: ad esempio quando ancora non si poteva essiccare il malto con procedimenti industriali, le birre erano tutte affumicate e questo carattere era considerato un difetto che i birrai cercavano di limitare. Oppure l’introduzione del densimetro ha permesso di realizzare un più ampio spettro di birre e stili. E’ sempre l’uso che se ne fa di una tecnologia a decretarne la bontà
@velleitario
Sì ho citato solo alcuni esempi, ma ho preferito non accennare alla microfiltrazione perché aprirebbe un discorso infinito… magari in una prossima occasione ne discutiamo espressamente
@birra.tumblr
Sì è la Molson M della multinazionale Molson Coors. Ne parla anche Beernews. Però non l’ho citata perché mi sembra una cavolata da marketing industriale
Pure a me…
@andea
beh si, ho voluto estremizzare (non sono mica come celentano) visto che come diceva Flaiano, in Italia tutto quello che non e’ vietato, diventa obbligatorio.
@ pistillone
La pilsner Urquell, pastorizzata o no, è inconfondibile per il suo profumo e sapore di malto..E questo non è buono!!
pilsener urquell pastorizzata e’ un conto ….non pastorizzata e’ un altra cosa! se pastorizziamo la tipo pils(che incubo!!!) cosa verrebe fuori????
@francesco.
hai bevuto la pilsen urquell in tankov ?, a me sembra veramente diversa, cosi buona da far arrossire tante pils artigianali.
senza nulla togliere a Pattinson e soci, che la tendenza a fare birre caricaturali stia sconfinando nella pagliacciata e nella presa per i fondelli qua in Italia più di uno se n’è già modestamente accorto da un bel pezzo…
Certo che buona la Urquell, .. è la migliore Pils al mondo. Noi siamo indietro decenni, se non secoli. Loro giustamente non pagano accise sulla produzione di birra (essendo bevanda popolare, … loro birra, noi vino), … e in qualsiasi locali in Rep. Ceca un mezzo boccalone di Pils Urquell la paghi un euro o poco più… Allora ditemi: in Italia paghiamo l’accisa sulla birra… e non sul vino …(esattamente contrario)…. ma… allora…perchè noi per bere un “calicino” di Nebbiolo, Barbaresco, Brunellino, o Morellino che sia … nelle terre in cui viene prodotto dobbiamo sempre spendere mai meno di 6- 8 euro??? Il vino per noi non dovrebbe essere una “bevanda” del popolo, … Come la birra per i Cechi???… ALLORA… NON SAREBBE BENE FARE UN REFERENDUM PER ABOLIRE L’ACCISA SULLA BIRRA?? Più birra,.. più qualità, … più cultura … a minor prezzo???… Allora caro Francesco, … solo cosi eviteremo di raccontare al prossimo profumi, sapori, amari, …sensazioni personali… e bla bla bla … di un lontano ricordo!!…. Ciao più Pils per tutti.
certamente si può dire che la birra fermentata con pizza ai peperoni in dryhop è più che altro una minchiata 😀
@più pils per tutti
Bah, non concordo con te.
In alcune zone, buoni vini base li paghi anche meno di 4 euro in cantina. La bottiglia però…non al calicino.
@marchetto.
dipende da cosa intendi “buoni”.
se parli di un potabile vino da tavola senza troppi fronzoli lo si trova tra i 5-6 euro in enoteca e 4-5 euro in cantina, vini sotto i 3 euro di solito so porcherie , di solito.
se vuoi un vero vino ,che abbia maturato almeno un pò si và sulle 8-12 carte in enoteca, se poi ci spostiamo su grandi vini be allora altro che birra artigianale..
vini imbottigliati molto economici potrebbero essere anche a rischio per la salute.
è una cosa diversa perchè dobbiamo considerare il prodotto imbottigliato, ma c’è da dire che il vino sfuso preso direttamente dalla cantina sta su cifre molto più basse.
@ Più Pils per tutti.
va bene allora beviamo solo boccaloni di ottima pils senza mai parlare di birra…di nessuna birra…oggi lo sviluppo dei profili organolettici delle birre, dovuti all’utilizzo di ottime materie prime e al lavoro di ottimi birrai, permette anche una piccola riflessione su quello che ci beviamo, senza voli pindarici, ma uno spunto per provare piccoli piaceri dei sensi…
Beninteso che boccali di ottime pils sono comunque un grande piacere dei sensi.
@francesco
non capisco il tuo discorso.
è vero che in rep. ceca a parte qualche fortunata variante (pivorasky dum,club) è molto difficile trovare birre diverse dall’Urquell o la koltz , ma ti assicuro che la pils industiale che fanno da quelle parte non ha nulla a che vedere con le nostre peroni.
li sono orgogliosi di quello che fanno e quando parlano di birra , parlano della birra (luppolo , malto, acqua etc). non dicono la piu amata dagli italiani, birra dei calciofili , la birra delle fighette etc.
da noi c’e’ una distorsione tutta italiana dove la birra nel 99% dei casi serve a sbronzarsi o rinfrescare i muratori.
l’unica birra italiana industriale che puo’ mettere sulla etichetta pils e’ la forst di merano! devo dire provata sul posto (un locale molto bello) e’ veramente buona! poi riassagiata a madonna di campiglio ..imbevibile! bisogna dire che il locale in questione non aveva nulla a che fare con la birra!
@ pistillone
ma io non volevo assolutamente disprezzare, nel mio discorso, le pils ragazzi!! volevo solo dire che è bello bere/assaggiare tutti i tipi di birra, perchè in giro c’è un sacco di roba buonissima, dalle pils alle imperial russian stout..semplice no ??? Certo poi sulla Pengiun ci sarebbe qualcosa da ridire e siamo qui a farlo..ma cmq spero di assaggiarla presto!!
a proposito.. ma se io mi bevo un amaro del capo con una gradazione prossiama ai 30% non mi faccio una pinta!! con la Penguin dovremo farlo??? 😀
Scusate correggo Iron T è Francesco. Cioè io 🙂