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La birra artigianale italiana è un fenomeno di provincia

Buon lunedì a tutti, come avete passato lo scorso fine settimana? Personalmente ho fatto una bella gitarella a Firenze, per un week-end immerso in una delle città più belle d’Italia ma alla quale – e qui faccio mea culpa – non avevo ancora dedicato il tempo che meritava. Ovviamente sto parlando solo degli aspetti turistici del posto, perché dal punto di vista birrario avevo così poche aspettative che ho deciso di saltare a piè pari questo aspetto. Prima di partire avevo chiesto a qualche amico toscano conferma della pochezza birraria di Firenze, ricevendo sempre la stessa deludente risposta. Al punto che mi sono domandato come mai in una città tanto importante sia ancora così difficile trovare locali con birra di qualità. E mentre cercavo un motivo, mi sono reso conto che non è l’unico caso in Italia. Tutt’altro…

In termini generali non è infatti sbagliato affermare che la nostra cultura birraria appartiene in primis alla provincia. Nonostante ormai il fenomeno abbia raggiunto dimensioni ragguardevoli, non è raro rimanere stupiti della pochezza birraria di tanti grandi centri italiani. Per carità, diversi locali interessanti si trovano anche nelle città principali, ma spesso il loro numero è assolutamente ridotto rispetto al potenziale disponibile. Talvolta ciò che manca è proprio un “fermento” locale, persino in realtà dove invece esiste una cultura enogastronomica sviluppata e radicata.

Premesso che non ho avuto modo di dedicare tempo alla birra, l’unica destinazione interessante in una città come Firenze è il pub del birrificio Mostodolce, di cui parlai al tempo dell’inaugurazione. Poi praticamente il nulla, per una città che invece è estremamente attenta a ciò che beve e mangia. Lo stesso discorso può valere per altre realtà, come quella bolognese. Personalmente mi ha sempre lasciato sorpreso sapere che a Bologna non esistessero locali validi dove bere birra artigianale… un trend che fortunatamente sembra essersi invertito proprio negli ultimi tempi.

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Anche per Milano il recente passato ha offerto nuova linfa a un panorama sempre numericamente spoglio, almeno in rapporto al bacino di utenti raggiungibili. E sì che il capoluogo lombardo fu probabilmente la metropoli più importante nei primissimi anni della birra artigianale italiana, con una serie di indirizzi imperdibili e originali nell’offerta. Poi per diversi anni la città si è adagiata sugli allori, offrendo pochissime novità agli appassionati – ad eccezione dei vari BQ, il primo dei quali comunque risale a fine 2008. Negli ultimissimi tempi Milano sembra essere finalmente ripartita, iniziando a vantare un’offerta variegata e divertente.

Per quanto possa sembrare assurdo, anche Roma in un passato non lontano è stata ampiamente al di sotto delle sue possibilità. Oggi è un brulicare di beershop e pub con spine stellari, ma fino a qualche anno fa la situazione era ben diversa. Per tutta la fase pionieristica della birra artigianale italiana la Capitale non ha fatto altro che guardare con invidia alle regioni del Settentrione, offrendo solo pochi indirizzi interessanti agli appassionati. Oggi è la città italiana più ricca da questo punto di vista, ma ricordo ancora quando le mete per i beer lovers si potevano contare sulle dita di una mano, o forse due.

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E ancora Torino e Napoli. In entrambi i casi un numero discreto di indirizzi importanti ha iniziato ad affacciarsi solo negli ultimi due anni, regalando un po’ di freschezza a panorami cittadini decisamente deludenti. Scendendo al sud la situazione è simile, con in più la difficoltà congenita nel fare impresa. Palermo e Bari – per citare le più grandi – sono distanti anni luce da un’offerta soddisfacente e variegata.

Nonostante quindi il successo della birra artigianale in Italia si stia diffondendo a macchia d’olio su tutto il territorio, è curioso notare come le grandi città in molti casi siano state raggiunte solo in un secondo momento. Il movimento italiano è nato in provincia e su questo non ci sono dubbi. Tuttavia la provincia non ha semplicemente regalato i natali al settore, ma lo ha praticamente supportato fino a oggi, mentre i potenziali consumatori delle grandi città restavano praticamente esclusi dall’accesso alla birra artigianale. Oggi questa dicotomia si sta perdendo e non è detto che non comporti grandi cambiamenti futuri per gli assetti del settore.

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Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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48 Commenti

  1. Concordo!
    Anche al sud la situazione si rispecchia nelle tue considerazioni.
    I locali di livello si trovano in piccoli centri come Atripalda, Corigliano, Puglianello o al massimo in città di media grandezza come Lecce.
    Palermo è l’unica città che comunque al Sud sta imboccando una buona strada ma pensare ad esempio che una città con delle potenzialità assurde come Catania (tra le 10 città più popolose d’Italia e seconda solo a Milano come rapporto popolazione/locali e vita notturna) non abbia un briciolo di birreria deve far riflettere sul fatto che più che le potenzialità del posto, conta il luogo di nascita del bravo publican.

  2. Assolutamente d’accordo. E’ un fenomeno al quale stavo proprio pensando tempo fa. E’ la riprova che questa piccola “cultura” della birra di qualità non si stia sviluppando a livello omogeneo e quindi nazionale, ma nasce in determinati centri e poi si estende in modo concentrico lì attorno. Probabilmente l’unica rete nazionale di questo fenomeno è quella del w.w.w.

  3. ciao, ti seguo da molto…..
    ma non sono d’accordo su quello che dici a proposito di Torino, perchè quali sarebbero quel paio di nomi interessanti che si sarebbero affacciati sul mercato?
    A Torino la birra buona la trovi nelle cantine degli homebrewers, nonostante la presenza di eataly, dove però ti viene servita la birra con i nomi di bionda, doppio malto e non ti dico spillata come….e nonstante la vicina provincia di Cuneo patria di Baladin. Questo è grave per una città come la mia…..

  4. Credo che a volte l’enorme potenziale di una città cozzi con la paura di non incontrare i gusti di un pubblico mainstream, il che probabilmente ancora frena il fenomeno birra artigianale in città. Ecco perchè a volte i posti migliori con grandi birre sono isolati, ed è l’appassionato che va a cercarli piuttosto che il (brew)pub ad andare a procacciarseli.
    Al Sud, poi, nella mia opinione si aggiunge anche l’inerzia residua di natura enologica…

    • sono perfettamente d’accordo con te angelo….il pubblico beve mojito e ceres (e altri intrugli), però senso che non bisogni per forza obbligare l’appassionato a farsi 2 ore di auto per bere una birra buona, ma nemmeno che succeda la stessa cosa che sta accadendo a Roma, che mi sa proprio di bolla. Per quanto riguarda la cultura del vino, beh qui in piemonte la lotta è davvero dura!!

      • Il pubblico beve quello che gli dai, se t’impegni per lavorare bene qualsiasi piazza prima o poi si accorgerà di te.
        Secondo me è solo mancanza di coraggio (o di soldi, perché è comunque un investimento non indifferente… e più la localizzazione è da grande centro, più gli affitti sono cari).

        • Concordo in pieno. Sono i gestori in primo piano che volendo decidono i gusti delle persone. Se cambi linea e prendi birre di qualità non avrai altro che guadagnarci.
          Forse la considerazione principale è che in grossi centri come Firenze gli affitti dei fondi sono alle stelle ed un gestore a fine mese deve farci i conti.
          Speriamo che la situazione cambi… ma ci vuole buona volontà e soprattutto coraggio. A Greve c’è un esempio… 🙂

  5. @Stefano, veramente non conosci a Torino nessun birrificio artigianale ne nessun locale dove producano o spillino birra artigianale?

    • sì in città ci sono due birrifici (birrificio Torino e piazza dei mestieri che hanno il brewpub, perchè purtroppo san paolo non ha ancora aperto i cancelli del pub) la loro birra è davvero di dubbia qualità….ripeto trovi birra migliore nelle cantine degli homebrewers. Per quanto riguarda la provincia, velocemente mi vengono in mente soralamà, san michele, aleghe, grado plato, gilac…….ed evito di dire altro 🙂

      • aspettiamo con ansia il brewpub di san paolo. per il resto…il deserto attorno a noi…in compenso nella famigerata p.zza vittorio (allo Zero in via Vanchiglia 0) è arrivato qualcosa di potabile (finalmente) con bottiglie di brewdog, meantime,harviestoun e thornbridge..non è molto, ma è già qualcosina..
        sarebbe un’ottima cosa avere qualche spina nei punti nevralgici della città, magari oro birra (in corso regina) si attiverà in tal senso visto che ha già una discreta carta di bottiglie

      • Sono stato circa un mese fa a Torino e ho cenato alla Piazza dei mestieri, dove ho bevuto a mio giudizio (e anche di mia moglie, che alla fine è la vera intenditrice in famiglia) delle buone birre. Posso chiederti cosa non va secondo te con le loro birre?

        • mi hanno detto che il birraio è cambiato, io non ci passo da + di un anno.
          tempo fa la birra non era semplicemente all’altezza, a parte questo il locale è bello e ci fanno delle cose interessanti. Magari nei prossimi giorni ci tornerò.
          Poi, fossi in loro eviterei di usare il teku che fa tanto fico, ma svela inesorabilmente i difetti delle birre

  6. Purtroppo è vero. Tuttavia a Firenze puoi andare a berti qualche buona birra artigianale
    anche al Biobistrot in via Pacini (zona viale Redi). Oppure uscire dalla città e andare alla Birroteca di Greve (Greve in Chianti, FI): il miglir posto in assoluto nella zona di Firenze per bere birra artigianale: otto spine + 1 a pompa, con birre artigianali da tutto il mondo sempre diverse… Aspettiamo che si muova qualcosa anche da noi.

    • Il Biobistrot è dove spesso fate le degustazioni, vero?
      So che la Birroteca di Greve è un gran locale, ma in effetti si trova… in provincia! Ed ecco che la tesi del post trova un’altra conferma 🙂

  7. Ciao Andrea, osservazione vera… ma ho sempre pensato che non fosse per nulla un caso. Non pensi sia vero che per l’ipotetico personaggio appassionato sia molto più facile avviare un’attività da zero fuori dalla città con costi minori (uno su tutti l’affitto/acquisto di uno spazio adeguato)?
    All’interno della città o ci sono locali molto piccoli, oppure con una certa organizzazione societaria e disponibilità, anche finanziaria.
    Pronto ad essere smentito! 🙂

    • Sicuramente la provincia costa meno in termini di investimenti, ma non mi sembra abbastanza per giustificare questo ritardo delle grandi città.

  8. Ma il progetto Open non sarebbe dovuto essere un progetto (ho letto addirittura di franchising) che avrebbe portato la birra artigianale italiana in molte città della penisola? Per adesso, dopo Roma è stato replicato solo in provincia di NY…

  9. La birra artigianale italiana è purtroppo ancora un fenomeno da bottiglia. Ed infatti se ne trovano un pò ovunque, tra ristoranti, eno-birroteche, wine bar. Molto spesso chi ha la bottiglia non è così acculturato da saperle proporre nel modo adeguato, nel giusto bicchiere, alla giusta temperatura e con il giusto abbinamento. I clienti perdono entusiasmo, i gestori perdono entusiasmo e dopo un pò si passa alle Samuel Adams o qualche belga, buone, di minor costo e spacciate per artigianali…
    Pochi sono i veri pub indipendenti che possono puntare sulle artigianali perché hanno le spine di proprietà, ma sono sempre le solite 5-6 birre che girano. Nelle grandi città i locali che vanno bene non hanno interesse a cambiare alcunché. Spine vincenti non si cambiano, a meno che non le cambi il distributore. Se non vanno bene figuriamoci se comprano una birra che costa più di 2,50 euro al litro. Concordo sul fatto che chi ha passione spesso ha pochi soldi ed apre in periferia. Chi è in periferia, dovendo scommettere su un bacino più ampio è più aperto alle novità e quindi alle artigianali. Non ho dati sul fenomeno Open, sicuramente non è facile aprire locali a raffica, però devo ammettere che sono i locali dove girano alla spina più artigianali italiane di qualsiasi altro posto, per cui il mio augurio è che ne aprano presto degli altri in Italia.

  10. Il fatto che un locale specializzato in birra di qualità si trovi più spesso fuori centro, secondo me, è abbastanza naturale. Quel tipo di locale cerca appassionati, magari anche fedeli e assidui, con i quali costruire un rapporto di qualità e scambio (idee, momenti piacevoli, eventi culturali) che nel centro di una grande città, specialmente se città di grande attrattiva turistica, non viene assolutamente ricercato (e forse non lo si ritiene necessario). Se si aggiungono poi, i costi maggiori di affitti ecc. dentro un centro città rispetto alla “provincia”, si comprende che il fenomeno è abbastanza normale.
    Secondo me ci sarà uno sviluppo in questo. Alcuni imprenditori o investitori si stanno accorgendo che la birra di qualità può essere un business e riflettono sul fatto di aprire il “mega-birrificio” magari in un edificio storico del centro o comunque in un posto di “movida” serale ecc. Sta succedendo all’estero, dove la cultura sulla birra è più radicata, ma succederà anche qui.. Speriamo, come al solito, di non fare ciò che spesso si fa noi italiani: molta immagine e poca sostanza… Bello un birrificio in un palazzo medievale del centro di Firenze, ma proprio per questo, la sua birra dovrà essere “eccezionale” rispetto ai buoni birrifici di provincia!!

    • Da parecchio mi auguro che questo sia il prossimo sviluppo del settore. Il fatto che a roma stessa non ci si sia ancora arrivati indica che il settore deve ancora trovare maturità.

  11. Secondo me la questione è abbastanza semplice:
    Roma è una bolla legata anche alla moda cittadina. Difficile prenderla come esempio o riferimento;
    Nel resto d’italia è tutto legato a iniziative personali e sempre alle mode del posto. Per questo risulta abbastanza randomica la distribuzione;
    Milano è emblematica in quanto la birra ancora non “tira” e quindi risulta un investimento incerto. Per quanto, non dubito, di sicura riuscita.

    Che poi andrebbe distinto anche chi lavora con i distributori da chi con prodotti di nicchia. Ci sono pub abbastanza stimati che alla fine hanno una selezione di qualità “relativamente” importante ma in realtà, piuttosto banale.
    E roma, facciamocene una ragione, è sempre un passo avanti anche nel proporre e distrubuire il top.

    • quoto

      ma nella disanima dimentichi un fattore importantissimo. la stragrande maggioranza dei birrifici di qualità e “di grido” italiani stanno al nord. ed infatti da queste parti sta prendendo sempre più piede la cultura della birra italiana, locale e possibilmente alla spina, parecchi locali puntano proprio sul all-italian. lentamente ed a macchia di leopardo, ovviamente, non è ancora una moda

      • Vero.

        Però mi son sempre domandato:
        lavorare con la birra italiana è una scelta di campo, di convenienza, o di moda?

        Sicuramente, per come è la situazione attuale, meglio alla spina che in bottiglia nella maggioranza dei casi.

        • di campo (è un forte chiave di identificazione) e di convenienza. in molti casi (ovviamente non sempre) un fusto di italiana alla fonte (e qui viene l’aspetto locale, che è fatto anche di contatti personali) viene a costare pure meno di un fusto belga di qualità (lasciamo perdere altri prodotti esteri non teutonici che non hanno mercato fuori da certi templi birrari)

          se poi la cosa attecchisce, scatta anche un po’ di moda. senza le esasperazioni della capitale (nel bene e nel male), qua in provincia siamo sonnacchiosi e compassati (e spesso con meno soldi in tasca)

          ed è anche una scelta (hai trascurato questo aspetto) di qualità. lavorando con un birrificio locale (bravo) hai un maggiore controllo sul prodotto, se fa pena glielo mandi indietro, hai mediamente un prodotto più fresco. fattori per nulla trascurabili

        • Sicuramente lavorare con birre italiane non è certo una scelta di convenienza 😉
          Credo anche che se vuoi lavorare con birre artigianali, per lo più sconosciute alla massa, ci sia bisogno anche di una buona dose di “carattere” nel proporle al proprio pubblico. Una birra non si vende da sola e se il marchio è sconosciuto, rende il tutto ancora più difficile. Roma è stata sempre diversa in questo, negli attori che non sono normali, cosa che raramente ho visto altrove…A parte i casi noti. Perchè da noi e a Milano no? Eppure ci sono 520km in più per viaggiare, per farsi spedire i carichi…Ma ben pochi si sono sobbarcati questo che è anche il lato più divertente del lavoro.
          La posizione centrale porta magari più spese, ma per il solito fattore “comunicazione” (adesso è più facile perchè i media hanno interesse nella birra, ma prima farsi un mazzo su questo era d’obbligo) l’effetto vetrina è fondamentale, il Macche ci avrebbe messo il doppio degli anni per ottenere quello che ha fatto se non fosse stato al centro…Anche se al nord ci sono miracoli che dicono il contrario…
          Perchènon si aprono locali in grandi città? Secondo voi c’è cultura nell’eventuale publican? C’è una capacità di comprendere il prodotto e anche la sua potenzialità commerciale (costa di più, ma rende meglio alla lunga…se trattato bene)? Il gestore in genere non è capace nemmeno di mettere i piedi in testa al proprio distributore, perchè nemmeno sa cosa sta vendendo. Se non hai buone fondamenta non puoi costruire nulla. A Roma su questo c’è stato l’effetto domino, tanto è vero che gran parte dei gestori si conosceva anche prima di lavorare birra artigianale (beershop compresi)…anche nei casi in cui ci si sta sulle balle, proveniamo tutti dallo stesso ceppo, non vedo locali a Roma di successo che sfuggono a questa regola…

          • io una cosa che ho sempre osservato con grande piacere è che nessuno dei publican (seri) che sono passati all’artigianale si è mai sognato di tornare indietro

            anche perchè non si può…

            e quasi tutti quelli che hanno puntato tutto sulla birra (come dice Kuaska da una quindicina di anni) hanno aumentato il volume di affari e ne hanno tratto soddisfazioni

            il problema è che essere un publican serio è ancora più difficile che saperlo trasmettere…

  12. Il fatto che molti dei locali e dei brew/pub italiani siano in provincia denota una serie di aspetti che secondo me sono ascrivibili a due “categorie”. La prima di carattere economico, la seconda di carattere “etologico”. Mi spiego.
    Come si diceva in alcuni commenti precedenti, la provincia offre la possibilità di ideare, progettare ed aprire un locale, di qualunque natura sia, con minori spese. Infatti sia per l’acquisto che per la locazione si hanno dei prezzi di sicuro più accessibili che nel tessuto delle grandi città. In secondo luogo anche i tempi si possono dilatare, per curare i particolari, per le ristrutturazioni…cosa sicuramente meno possibile laddove invece gli affitti sono più esosi e c’è esigenza di aprire da subito i battenti. Personalmente sto’ aprendo un locale, come ben sai Andrea, e mi sto’ trovando ad affrontare alcune problematiche che, con la frenesia ed i costi cittadini, mi avrebbero portato a desistere.
    Altro discorso lo si può fare per quanto riguarda la moda ed i trend. In città si rincorre spesso un modo di fare più “internazionale”, spesso molti locali (come alcuni a Roma) seguono nei prodotti e negli atteggiamenti altre culture, cosa che spesso in provincia non succede. Se uno apre il provincia, magari divenendo un precursore nel suo territorio, può improntare ed educare al bere molte più persone che ancora non sono state raggiunte da alcune manie e mode che imperversano nei grandi centri. L’ho provato personalmente in questo anni, organizzando e seguendo diversi avvenimenti ed eventi birrari in provincia. Forse c’è maggiore campo, se il publican/birraio è capace riesce a crearsi una nicchia, una base di appassionati. Le mode passano…

  13. Le indicazioni date da Turco nell’articolo sono inconfutabili e sono abbastanza ovvie se parliamo di produttori. Meno ovvia la constatazione relativa ai pub di livello nei grossi centri.
    Posso dire che in una città di medie dimensioni come la mia (Bologna), spesso le motivazioni per cui un locale funziona o no sono abbastanza criptiche. Non dimentichiamoci che il pub con le spine particolari diventa una “destinazione” per l’appassionato: il viaggio per raggiungerlo è parte integrante dell’esperienza e se apparentemente il locale di provincia gode di un bacino d’utenza minore in realtà si dilata con più facilità. Esempio: per me che abito nella zona ovest di Bologna arrivare in provincia di Modena o Reggio non è molto diverso rispetto ad andare in periferia ad est.
    Infine: il progetto dei Pub Indipendenti che come Unionbirrai seguiamo e vogliamo incentivare al massimo potrà dare ottimo impulso ad avere anche in città più locali con publican preparati e spine di qualità.

  14. Scusa se leggo e commento con grande ritardo.
    Secondo me Firenze paga diciamo “l’effetto secondario” di un provvedimento del Comune preso diversi anni fa che equiparando la licenza di birreria a quella di ristorante portò alla scomparsa di tutte o quasi le birrerie “storiche” (quelle nate intorno agli anni ottanta) convertite in più redditizi ristoranti. Creare nuovi locali birrari “di successo” con gli affitti fiorentini e il blocco alle nuove licenze di somministrazione non è facile, tuttavia secondo me lo scenario fiorentino sta migliorando a vista d’occhio negli ultimi tempi (…se ci capitavi cinque/sei anni fa chissà cosa scrivevi 🙂 ).

  15. “per una città che invece è estremamente attenta a ciò che beve e mangia” mi sembra una sparata un po’ grossa vista la qualità media della ristorazione cittadina

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